Si svolge quest’anno in Italia We’re Loud Fest, con un’edizione diffusa davvero sorprendente. Parte il 1 ottobre su una barca a Venezia per concludersi, attraverso tappe in treno, a Napoli l’8 ottobre. Passo indietro. Ne ripercorriamo la storia e la struttura con Pete(r) Menchetti, owner dell’etichetta Slovenly Recordings, che lo organizza.
Pete, com’è nata la Slovenly Recordings, etichetta statunitense totalmente indipendente?
La Slovenly nasce a New York nel 2002. Ma già nel 1994 avevo aperto la prima record company, la 702, per pubblicare anche solo singoli di gruppi indipendenti che passavano a suonare nel basement di casa mia, a Reno in Nevada. Sai com’è negli USA, hai una grande cantina, ci fai una sala prove, ci chiami gente a suonare, la voce si sparge e le band ci si fermano per eventi gratuiti. Io sono di New York, a 10 anni mi sono trasferito con la famiglia a Reno, a 19 sono andato a vivere da solo e così ho iniziato questo “giro”; con i primi risparmi, derivanti dall’apertura di una serigrafia che produceva, e produce, merchandising per la cultura underground, ho potuto finanziare il mio sogno di produrre i gruppi che mi piacevano. È accaduto che un giorno una band nella mia cantina mi ha detto Facciamo un 7 pollici? Con la 702 sono usciti 30 dischi, tra 7 pollici e lp, tutto rigorosamente su vinile, facevo uscire tutto ciò che mi piaceva, di qualsiasi genere musicale. Il gruppo più noto sono stati gli Scared of Chakra, con i quali facemmo anche un tour in Europa.
Nel 2002 ho deciso di aprire la Slovenly con un’identità musicale e una connotazione più precisa, ovvero per Garage e Punk. Ho cambiato il nome all’azienda, visto che il nome 702 veniva dal prefisso telefonico di Reno, assegnato poi invece a Los Angeles, quindi perdendo senso per me. L’etichetta è di mia proprietà, ha sede in Nevada ma ha più uffici dove sono dislocati i diversi collaboratori: in Pennsylvania, in Messico, ad Amsterdam, Berlino e Tokyo. La sede resta nella mia città anche perché è qui che continuo a stampare i vinili!
Pubblichi tutto in vinile???
Sì, sempre e da sempre, per tutte le uscite e per tutte le band. Pubblichiamo in più anche qualcosa in cd e musicassetta, soprattutto per le band che fanno lunghi tour e ne hanno bisogno per inserirli nel merchandising. Il digitale a volte è una scelta obbligata prima dell’arrivo del vinile, perché i tempi di stampa sono diventati lunghissimi ultimamente. Tieni conto che però su 250 uscite solo 5 sono state esclusivamente in digitale.
Noi abbiamo sempre fatto tutto in vinile, materiale che le major avevano completamente abbandonato, addirittura rottamando i macchinari di stampa; ora che il mercato è rifiorito, questi colossi dell’industria musicale sono andati a saturare di richieste gli stampatori rimasti in circolazione, mettendo in difficoltà le etichette indipendenti che invece hanno sempre creduto nel disco fisico.
Nella stamperia dove mi servo io hanno 50 macchine e circa 80 addetti, e l’ultima volta che sono stato stavano lavorando solo ed esclusivamente alla ristampa di “Thriller” di Michael Jackson, cosa assurda, perché si trova a 1 dollaro nei mercatini dell’usato… E noi indipendenti dobbiamo aspettare anche oltre 6 mesi per avere le nostre poche copie, quando prima ne bastavano 2. Sai qual è il risvolto più negativo? Che quando il disco arriva finalmente sul mercato è già vecchio, è già stato inciso da molto tempo dalle band, che nel frattempo non sono potute andare in tour per promuoverlo, non hanno potuto vedere un ritorno del loro investimento, e quindi si buttano giù, e a volte non vanno avanti.
Come scegli le band da mettere sotto contratto?
Nel modo più classico di solito: ascoltiamo i demo che ci inviano le band, e ti assicuro che li ascoltiamo proprio tutti, senza preclusioni. E ovviamente io e i miei collaboratori andiamo sempre a vedere concerti da spettatori, a sentire chi si mette in gioco dal vivo, anche in luoghi improbabili. Altre band le ho viste mentre ero in tour con i miei artisti, anche in festival. Scoprire nuove band ascoltandole prima dal vivo ammetto che è la cosa che preferisco, solo così se ne può intuire il vero potenziale.
La nazionalità non ha importanza, ho sotto contratto artisti provenienti da ogni angolo del mondo, e in genere produco 5-6 nuovi dischi all’anno, non di più. Produco anche tour e faccio da tour manager quando posso. Come produttore esecutivo lascio la massima libertà di espressione alle band, mi limito a dare suggerimenti, la mia è quasi un’opinione da fan, solo a volte pongo veti, per esempio sulla grafica delle copertine, che voglio siano belle e significative.
Parliamo dunque del festival “We’re Loud” in arrivo in Italia, un format ormai collaudato …
Il vero unico format è che si fa una volta l’anno e sempre in un paese diverso. Cerchiamo di farlo in luoghi improbabili ma con grandi potenzialità, ovvero dove di solito questa musica dal vivo non arriva. Quest’anno abbiamo scelto Venezia, dove il Garage e il Punk non arriva mai, il 1 e 2 ottobre, per poi proseguire a Napoli dal 6 all’8 ottobre. La line up del festival è ricchissima, la trovate sul sito web dedicato.
Non è un festival facile da organizzare, spostiamo 50 persone da tutto il mondo e poi le portiamo in giro per l’Italia. Ospitiamo anche band di altre etichette indipendenti, in un clima di collaborazione fantastico. La prima edizione risale al 2015 e si è svolta ad Atene, ha avuto un enorme successo così abbiamo deciso di ripetere ogni anno in luoghi diversi: Grecia, Puerto Rico, Messico, Italia, USA, Vietnam, Turchia. Abbiamo sul nostro canale YouTube bellissimi documentari che raccontano tutte le tappe. Devo dirti che secondo me le edizioni fatte in barca sono le migliori!
Quest’anno appunto replichiamo a Venezia… vi aspettiamo!
Articolo di Francesca Cecconi