Ho fatto i salti di gioia quando ho avuto la conferma che il mio anno nuovo, fotograficamente parlando, sarebbe iniziato con l’artista di cui vi parlerò nel mio report: lo vidi l’ultima volta un paio di giorni prima che il lockdown avesse il sopravvento sulle nostre vite, quindi tornare nel pit davanti a lui adesso sa particolarmente di rinascita, di rivincita, un sentimento che ben si sposa con il nuovo anno appena iniziato. Così il 7 gennaio mi vede gasatissima allo Slaughter Club di Paderno Dugnano, Milano, a chiacchierare in coda anche col muro, e l’attesa si fa così più leggera e breve: il concerto targato Hellfire è un ennesimo sold out, e in un battito di ciglia la fila davanti alle porte si perde fino in fondo al marciapiede. Tante persone, mi dicono, sono arrivate anche per gli opener, che nei loro tour in giro per l’Europa sono invece headliner, e questo già la dice lunga sulla qualità della serata.
Compaiono i primi face painting, borchie, tatuaggi a iosa, dischi e foto da far autografare, fan che arrivano in gruppo su furgoncini, e tutti parliamo con tutti, che ci si conosca o meno: il Metal ci fa una grande famiglia. Al mio ingresso la sala è già brulicante e palpitante di attesa, di persone che visitano le ricche zone merch, e le aree attorno al palco sono occupate da attrezzature degli artisti e parte dell’imponente scenografia degli headliner. Come mi era capitato di vedere anche in precedenza, sul palco è presente una batteria che le prime due band condivideranno, mentre la titolare ci osserva tutti dall’ alto della sua postazione. Chiacchierando e gironzolando per il pit posso vedere come la sala stia arrivando rapidamente alla piena capienza, fan misti per età e provenienza cercano un buon posto dove vedere i loro beniamini, e gli ultimi arrivati dovranno accontentarsi di quel che trovano, ben lontano dal palco.
Alcune grida ed esclamazioni spostano la mia attenzione sul palco, dove la prima band è salita a fare un rapido check: sono gli Hellripper, band black / speed metal originaria di Aberdeen, Scozia, attiva dal 2014. Si tratta, in realtà, di una band creata e gestita dal giovane e acclamatissimo James McBain, polistrumentista, coronato “Re scozzese del pogo arcano” dalla rivista Metal Hammer, le cui influenze includono gruppi come Venom, Megadeth, Motorhead, e i cui testi si concentrano sull’occulto e sul satanismo, prendendo a volte spunto da fatti storici come recita il brano “Affair Of The Poisons”, o più semplicemente la scritta sulla sua chitarra “All Hail The Goat”.
McBain si avvale di musicisti aggiuntivi durante i suoi live e tour europei, con i quali mostra da subito grande complicità. L’ atmosfera è elettrica, il set incredibilmente ben eseguito, i fan al settimo cielo, anche se devo dire che mi sarei aspettata più crowdsurfing, anzi ero pronta a ricevere qualcuno di loro in testa, alla luce di quello che succede ai live degli Hellripper.
Certo questo è un genere che deve piacere, agli altri può forse suonare “tutto uguale” o “sempre veloce”: ma questo è uno Speed Metal ai massimi livelli, questo set deve essere veloce. Costantemente, spietatamente, instancabilmente veloce: McBain è incredibile e rade al suolo la sala, con riff pazzescamente densi, aizzato dai fan che gli urlano Faster! Faster! Faster! Basta chiederlo, lui sembra poter accelerare all’ infinito. They want us faster, si rivolge James al suo bassista, e torna poi ai fan: You want us faster? Then we’ll be faster!
La pelle dei musicisti è madida di sudore, il batterista si spoglia rimanendo in pantaloncini (suonava scalzo già in partenza, comunque); io, che nel frattempo ero già uscita dal pit, sento le vibrazioni del pavimento arrivarmi fin nelle viscere, una sensazione assurda. Ci vuole meno della metà della scaletta perché sorga spontanea una domanda: se questo è un gruppo opener, cosa ci offrirà mai la band principale? Poco ma sicuro, McBain ci mostra senza mezzi termini il perché gli Hellripper sono spesso e volentieri gli headliner in festival e live.
Il pubblico si muove come fosse liquido, tutto sommato ordinatamente e senza pogo estremi, anche se vedo una sorta di putiferio nel mezzo della sala; gli altri sollevano in alto i cellulari, mentre le prime file non resistono all’headbanging e continuano a spronare il frontman, ormai in procinto di decollare sul posto. Growla feroce, una voce posseduta dal demonio la sua, mentre il thrash si fonde nel black metal, offrendo di che divertirsi ai fan di molti sottogeneri diversi. McBain ha misurato sapientemente, con grande esperienza, la quantità ideale di ogni sottogenere per consentire un suono che soddisfi il pubblico costantemente durante il live.
Risuona ” Headless Angels” a coronare una performance impressionante, brano del 2019 in perfetto stile Hellripper che offusca la già sottilissima linea di confine tra Thrash e Speed metal: l’urlo in falsetto nei momenti finali del brano manda in estasi tutti coloro che, come me, stavano in quel momento provando per l’ennesima volta la sensazione di un battito metal martellante nei reni. Descriverlo a parole non è semplice, andrebbe vissuto, e il buon James sarebbe ben felice di farvelo assaggiare.
Il loro set si conclude con fan che si allungano il più possibile per ricevere plettri, bacchette, set list e tutto quello che gli artisti fanno cadere dalle mani. Un’ esperienza elettrizzante a dir poco, e ora che i presenti sono carichi, i Toxic Holocaust sono pronti a mantenere alti ed infuocati gli animi. Band thrash / punk metal americana, precisamente originaria di Portland, Oregon, attiva dal 1999 con sette album all’ attivo, come i precedenti Hellripper nascono anche loro come band saldamente nelle mani di un solo musicista, Joel Grind, personaggio imponente ed eclettico, molto spontaneo, che si avvale dei suoi collaboratori per le esibizioni live.
Fin dalle prime note di “Bitch”, prima canzone del loro set, i Toxic Holocaust trasmettono vibrazioni thrash di sapore old school, istintivi, senza fronzoli, che si possono definire solo crude e cattive, dai ritmi galoppanti e riff dall’ attitudine distruttiva. Dai che stavolta qualcuno in testa ce lo prendiamo, questo il pensiero che pervade il pit dei fotografi mentre osserviamo le scatenatissime prime file urlanti, dato che i live dei Toxic Holocaust vedono sempre scenari da bolgia dantesca di fan in volo sulle teste degli altri, circle of death e chi più ne ha più ne metta: invece anche a questo giro le nostre cervicali sono state graziate, e mentre nel centro della sala si scatena un gran mescolone di pogo, la zona pit resta tranquilla finché siamo presenti noi.
Ma da dopo la nostra uscita, sulle note di brani selvaggi e ribelli come “War Is Hell ” e “Nuke The Cross”, il pubblico inizia effettivamente a fluire in un crowd surfing comunque ordinato, senza causare tumulto o senza dover essere richiamati all’ordine dagli uomini della sicurezza: uno dopo l’altro, in loop, atterrano nel pit salutando gli artisti che ricambiano con corna al vento, con Joel Grind che urla Show me those fuckin’ horns! La sala si riempie all’ unisono di mani alzate e grida in uno spettacolo molto bello da vedere.
La loro è una performance in cui è facile fare festa, non si spingono oltre nessun particolare limite, sono orecchiabili e pertanto permettono agli ascoltatori di perdersi nella frenesia e nel caos. A questo mira specialmente il frontman, che si china a bordo palco per farsi fotografare (peccato solo che le luci fossero poco amiche dei fotografi, anzi) e che minaccia simpaticamente le prime file col manico del suo strumento: più che apparire come il malvagio di turno, vuole soprattutto un grande immenso casino in cui tutti possono divertirsi e scapocciare , grazie appunto ai loro brani semplici e immediati, volutamente rumorosi, ma incredibilmente efficaci.
Alla fine del loro set tutta la sala è impegnata in headbanging, il pogo e il circle of death ormai sono pervasi di vita propria mentre Grind si muove rumoreggiando e growlando sul palco: consigliatissimi a chi ama il Metal rumoroso e non può fare a meno di sgranchirsi la cervicale quotidianamente, magari con un gruppo di amici e una birra in mano, un po’ meno consigliati a chi si sconvolge davanti a testi particolarmente coloriti e blasfemi, chitarre distortissime e batteria a mille.
Il pubblico reclama One more song! Mentre allunga mani e berretti sperando di ricevere qualcosa; ma non c’ è tempo, bisogna tirar via tutto e preparare la scenografia degli Abbath, che si prospetta laboriosa e imponente. Ci vorranno quaranta minuti per smontare le attrezzature delle band precedenti, sistemare la grande scritta col nome della band davanti alla batteria, accordare alla perfezione gli strumenti e assicurarsi che sia tutto dove deve essere. In sala non c’ è più spazio nemmeno per uno spillo, l’aria tremante di attesa: quando si intravedono gli artisti spuntare dal backstage per scendere le scale che portano al palco, il boato di risposta dei fan è simile all’ esplosione di una bomba, ben prima che i tecnici possano dare il segnale che è tutto a posto.
Ecco gli Abbath, formazione black metal norvegese attiva dal 2015, prendere possesso dei loro posti, sotto la guida esperta di Abbath Doom Occulta o più semplicemente Abbath, al secolo Olve Eikemo, classe 1973, cantautore, musicista e compositore norvegese, colui che fondò l’influente gruppo black metal Immortal e che vanta, nella sua lunga carriera iniziata nel 1989, innumerevoli album e collaborazioni in gruppi come gli Old Funeral, di cui fu il bassista.
Prendono con sicurezza e decisione il posto che gli spetta come re e progenitori di tutto ciò che è cupo, gelidi come i ghiacci delle terre da cui provengono, emergendo come ombre inquietanti dall’ abbondante e sempre presente nebbia che avvolge tutto il palco, musicisti perfetti sono il contraltare ideale all’ inimitabile Abbath, che domina il pubblico esattamente come fa con la sua stessa band.
Buonnasserra, saluta la creatura demoniaca con la sua inconfondibile voce, più unica che rara, e in una frazione di secondo mi passano davanti agli occhi i ricordi dell’ultima volta in cui mi ero trovata al suo cospetto, e soprattutto quello che è venuto dopo nel mondo; per me che vivo di mille sentimenti diversi all’ora è una bella sfida mettere in tasca le emozioni e cercare di stargli dietro mentre mi dedica una delle sue espressioni ghignanti, a occhi sgranati.
Abbath, la leggenda: qualcuno potrebbe trovare la sua omonima band non eccezionale quanto lo erano una volta gli Immortal, eppure molte delle loro caratteristiche distintive ci sono ancora tutte: ciò include appunto la presenza scenica nebbiosa, onnipresente e sempre fitta, che rende ancora più spettrali gli effetti di luce rossa, come se ci trovassimo alle porte dell’inferno stesso. Tamburi forti come tuoni, chitarre acute, voci graffianti provengono dalla nebbia come nel peggiore degli incubi, in uno spettacolo eccellente. Questo esperto frontman è pienamente consapevole che il motivo principale per cui la gente va a vedere gli Abbath è per lui stesso, icona del Black Metal, e ne è fiero. La prima canzone in scaletta è un ritorno agli Immortal : “Triumph”, dalla batteria devastante e un Abbath che impone i suoi diabolici riff, lasciando voce alla sua forza abituale, con un carico di male maggiore rispetto al solito: l’ Immortale è tornato, ed essendo un veterano dei grandi palchi sa dare alla gente ciò che vuole.
Il suo stile unico produce musica interamente su una scala propria, evocando la grandiosità artica, notti di luna piena, e immagini di fantastiche guerre medievali in pieno inverno. I presenti sono in delirio, molti sono incantati a osservare questo gigante dall’ immensa presenza scenica nella sua armatura, e secondo la sua volontà e ordine hanno alzato le mani, al vento i corni, ululando con lui alla luna invernale: una folla chiaramente sotto il suo incantesimo, e non poteva che essere altrimenti.
Impossibile evitare di essere travolti dal vortice Abbath, che non ha fatto altro che portarci, tutti, all’ inferno e ritorno.
Articolo e foto di Simona Isonni
Set list Abbath Milano 7 gennaio 2024
- Triumph
- Acid Haze
- Hecate
- Battalions
- Ashes Of The Damned
- Dread Reaver
- In My Kingdom
- Tyrants
- The Artifex
- Winterbane
- Nebular Ravens Winter
- Warriors
- Endless