Avevo già visto più volte Ana Popovic dal vivo, sempre in contesto di festival, e non mi sarei lasciata scappare l’occasione di vedere un suo full concert in Toscana per niente al mondo. Sapevo che sarei andata incontro a una serata speciale, gioiosa. E così, nonostante il maltempo, mi sono inerpicata su per l’Appennino per raggiungere Vicchio, piccola cittadina nel cuore del Mugello. Ana Popovic il 24 marzo chiudeva il cartellone del piccolo ma prestigioso Giotto Jazz Festival, un festival boutique sempre aperto ad altre contaminazioni, in questo caso di Blues. Non a caso, poco prima della sciagura Covid, vi avevo assistito allo strepitoso live di Ida Nielsen, quindi puro Funk.
Il teatro, il Giotto, è un piccolo gioiello in stile Liberty, accogliente, e stasera è sold out con aggiunta di posti in piedi per questa speciale occasione. Purtroppo, unico neo, il pubblico è seduto, le poltrone non sono state rimosse, e questo fa temere per una risposta non adatta al 100% alla musica che sarà suonata. Ok stare a sedere per il Jazz, ma per il Blues, soprattutto per il Blues di Ana, mmmmm, sarebbe meglio aver optato per una soluzione più danzereccia.
Comunque fremiamo in attesa dell’inizio, in leggero ritardo a causa appunto dell’affluenza in surplus rispetto ai posti disponibili. Sono le 21:45, la magia ha inizio. Mi è sempre difficile narrare un concerto blues: la tecnica, la scelta della set list, le luci, non fanno parte dell’esperienza, il concerto blues è un’esperienza a prescindere. Ma vedere, ascoltare, Ana Popovic porta questa esperienza blues a un livello totale, immersivo, e immenso.
Saranno oltre due ore ininterrotte di musica, di Blues certo, ma contaminata da Soul, Funk, Jazz. Partiamo dal contorno, la band. Sintonia totale con la sua leader, una backing band che backing non è, è parte integrante e imprescindibile dell’esperienza musicale, dal vivo – e anche in studio. Con Ana i fidi Michele Papadia alle tastiere e organo, con lei da 18 anni; Claudio Giovagnoli al sax e Davide Ghidoni alla tromba costituiscono una sezione fiati indispensabile che colora in modo personale questo Blues; Buthel Burns al basso e Jerry kelley alla batteria sono il groove che sottende il tutto.
Basta uno sguardo, a volte anche solo una nota di Ana perché la band intuisca dove deve andare. Più volte i musicisti vengono presentati come la sua famiglia musicale, molto più che collaboratori, e molto più che amici. Ana lo dice con sincerità, tutto in lei è sincerità, non c’è niente di ruffiano, nessuna frase fatta e confezionata per far spettacolo, ma è chiaro a noi presenti anche senza bisogno di parole che per fare una musica di tale intensità, di tale passionalità, di tale bellezza l’intesa tra musicisti debba essere davvero profonda.
E Ana, Ana è un fascio di emozioni. Sensuale in modo innato, cura la sua presenza on stage con outfit che esaltano questo suo aspetto, ma in modo raffinato e sempre personale. Non riesco davvero a capacitarmi come possa riuscire a suonare oltre due ore sui tacchi 12 a spillo, muovendosi senza risparmio, usando la pedaliera, a volte scansando il cavo dalla chitarra all’amplificatore con un colpo, appunto, di tacco. Tutto i lei è spontaneo, self confident. E riuscire al contempo a cantare, come lei sa cantare, dalle viscere, dal cuore. La cosa più impressionante è però la fusione totale con la sua Stratocaster che è un’estensione non del suo braccio, delle sua mani, ma di tutta se stessa, mente e corpo.
Benché Ana sia super endorsed, e possegga suppongo un numero infinito di strumenti, suona tutto il tempo con la stessa chitarra, la sua Fender scortecciata, se la riaccorda o accorda diversamente da sola via via tramite pedaliera, non ha bisogno di cambi, di roadie che corrono a toglierli dalla spalla lo strumento. Che meraviglia! (Ho dichiarato più volte che odio quando salgono sul palco i roadie a cambiare strumento, trovo sia quanto di più distraente e frantumante l’esperienza concerto si possa avere).
Il suono è perfetto, calibrato, e tutto questo senza che la band abbia avuto modo di fare alcun sound check; sono arrivati in mezzo all’Appennino dalla sera precedente in Germania, giusto in tempo per il concerto. E qui torna il tema non solo dell’immensa professionalità, dell’esperienza, ma anche dell’affiatamento con la band. Va aggiunta anche la professionalità degli organizzatori, è importante sottolineare questo aspetto.
La scaletta pesca dalla oltre ventennale carriera di Ana, e comprende anche brani dall’ultimo lavoro, perché come dice lei, i pezzi vecchi ci piacciono ancora tanto, ma quelli nuovi ancora di più.
Ci sono anche ospiti stasera sul palco: Ana chiama sul palco le due coriste che di solito la accompagnano nei concerti più grossi – tra cui la cantante lirica Letizia Dei – che erano sedute tra il pubblico, e infine per il gran finale sale sul palco anche il direttore artistico del festival, Dario Cecchini, al sax baritono. Tutto questo senza prove e/o soundcheck. Incredibile. Esperienza incredibile. Usciamo con le lacrime agli occhi. Per la felicità che questo concerto ci ha innescato, e per la tristezza che sia finito. Ana ama l’Italia, 3/5 della sua band è italiana; siamo certi che tornerà presto. E noi siamo qui ad aspettarla.
Articolo e foto di Francesca Cecconi
Set list Ana Popovic 24 marzo 2024 Vicchio
- Rise up
- Power
- Ride it
- Queen of the Pack
- Strong Taste
- New Coat of Pain
- Fence Walk
- Love in Touch
- Doing This
- Brand New Man
- Like it on Top
- Lasting Kind of Love
- Turn My Luck
- Slow dance
- Tribe