Il piccolo palco/salotto/biblioteca del Germi a Milano, “luogo di contaminazione”, è stato messo alla prova il 20 maggio dal terzetto anticonformista di Andrea Ra, che ha presentato parte del suo recente lavoro “Urlo Eretico” (la nostra recensione) di cui ci parla anche nella nostra intervista. All’inquietante suono dei cori monastici e di un mix orchestrale ed elettronico in cui era riconoscibile il motivo “Decadence” di Paolo Buonvino avviato a scena aperta, entrano due uomini incappucciati, uno avvolto da un saio monastico, che si pone a lato, e l’altro da uno nero, che resta in piedi al centro del palco, mentre uno visibilmente più giovane che indossa una maschera bianca siede dietro i tamburi della batteria.
È il 1327 e chi a lato del palco impersona probabilmente l’inquisitore frate Accursio Bonfantini recita le sue accuse contro Cecco d’Ascoli, che, reo di aver capito cose che non sono compatibili con lo spirito dei suoi tempi e di aver tentato di divulgarle, malgrado l’aiuto di Andrea Ra che sfidando la dimensione del tempo ha trovato il passaggio fra il monte Shasta e il monte Sibilla, viene condannato al rogo a meno che non risponda di provare sensi di colpa. La risposta dell’uomo incappucciato di nero al centro del palco è no e questa è l’introduzione al primo brano, “Sensi di colpa” che, come recita l’ossessivo refrain, non servono a niente.
Liberatosi del saio nero e imbracciato il basso Music Man Stingray rosso, Cecco/Andrea Ra, vestito di una semplice t-shirt e pantaloni neri, con un piccolo rosario al collo, si avventura in questo ipnotico brano cantando con voce filtrata e schiaffeggiando le corde, mentre il fido Giacomo Anselmi, rivelata la chioma riccia e la camicia waikiki nera a stampa foglie di palma una volta sfilato il saio, ha imbracciato la sua chitarra Ibanez concentrato sui suoi accordi in questo urlo di allarme sui meccanismi-trappola di una vita che è una droga. Le rullate fragorose di doppio pedale del batterista, dietro la maschera il figlio ventunenne di Andrea, James Rio, mescolano un percussionismo metal al sound del gruppo. Il brano, che su album è presentato in due versioni che superano complessivamente i nove minuti, passa attraverso assoli di basso sovrapposto a loop registrati sul momento, suonato con il potenziometro del volume a effetto organo, distorto, con eco, largo uso di tecnica slap o suonato a due dita, in un repertorio virtuosistico ma soprattutto multicolore dal punto di vista sonoro, e prevede silenzi, raddoppi di tempo sottolineati dal doppio pedale della batteria e assoli in sincrono con la chitarra.
Il primo brano è un po’ un libretto di istruzioni per quello che ci aspetta, ovvero riff sostenuti dal basso slap di Andrea, la turbinosa batteria metal di James Rio e la chitarra distorta di Giacomo che tende a contrappuntare o sottolineare con i suoi riff e le sue frasi che spesso non scendono sotto la scansione del sedicesimo (per chi non ha studiato solfeggio: veloci!). Andrea si muove sul palco dagli spazi limitatissimi come il consumato musicista che è, e da tale riesce anche a farci alzare tutti in piedi a cantare “Firenze” sul secondo brano omonimo, introdotto da un urlo tribale a metà fra lo jodel e la zagroutah orientale che Andrea sfodera diverse volte.
A causa delle sue indubitabili doti di bassista virtuoso e creativo, Andrea non è spesso valorizzato anche per come “suona” la voce, dall’estensione notevole e dalla varietà di registri, sulla quale ha sicuramente lavorato molto e che è parte insostituibile del suono della band. I ritmi spezzati della batteria sottolineano questa canzone sulla Firenze che per Andrea significa qualcosa, come sempre citato nella nostra intervista, e il basso, riaccordato, viene suonato a mano aperta, a frasi velocissime a due mani sulla tastiera, e di nuovo su loop registrati live.
Una pausa per presentare la band e Andrea introduce “Capoclown” con una delle sue arringhe ideologiche, che, venendo dal cuore di un personaggio sincero e in lotta con i mali della società, non riescono mai retoriche o ingombranti, riguardo al proprio antifascismo definito pasoliniano, ovvero esteso anche al fascismo del mercato di consumo che orienta anche i gusti e le scelte che dovrebbero essere personali e spontanee, anche se appaiono eresie al mainstream del mercato e delle tendenze. D’altra parte, Andrea ci ricorda che eresia in greco significa scelta. L’immaginario di Andrea è ricco di rimandi fra un brano e l’altro anche di diversi album e del ricorrere di alcuni personaggi archetipici, Mr. Vanni, Borromini, Il Professor Sotuttoio che lo aiutano a ricollegare il suo mondo musicale alle sue narrazioni. Il brano fa largo uso del levare e di fischi sintetizzati provenienti dal basso.
Per presentare “Vestita come Ra” Andrea ricorda il suo passato discografico come compagno di etichetta del nostro anfitrione Manuel Agnelli non senza un’amarezza che, anche se sublimata dall’ironia e dal tempo, lo spinge a farci notare come unendo i nomi dell’etichetta e del distributore che qua censureremo, si ottenga qualcosa che suona come mascalzoni. Piace ad Andrea citare le tonalità delle canzoni a cui attribuisce potere evocativo e per questo brano in Mi minore sfodera il basso G&L color legno naturale che suona anche col plettro e da cui tira fuori un suono da basso fretless durante le parti più tranquille.
Il brano successivo ha un tema forte che gli ha impedito, ancora una volta nell’eterno tiro alla fune di Ra con il mainstream, di essere presentato su palchi a diffusione nazionale durante una certa festa che celebra l’attività umana rivolta alla produzione di cui non facciamo il nome, dove invece sono agevolmente ammessi influencer tatuati legati a multinazionali del commercio elettronico e dell’intrattenimento di cui pure non facciamo il nome. Andrea ci annuncia il brano, “Insieme al vento”, che dietro al tempo allegro andante nasconde il dramma di chi ha finito per togliersi la vita a causa della perdita del lavoro, ed è suonato in Do diesis minore per stare mezzo tono sopra la tonalità che secondo lui che esprime la perdita di ogni speranza, il Do minore, superata solo dall’accordo diminuito di Do minore che proprio, romanescamente, spàrate.
Slap velocissimo ed espressione delle doti vocali di cui parlavamo sopra, e conclusione su raffiche di batteria che poi, alla citazione del riff di basso di “Around the World” ci guida nel brano successivo, in cui i tre di divertono con stacchi alternati di batteria e basso, e sweep picking di chitarra come se piovesse, in quello che credo sia un inedito o un brano solo live dal titolo “Inventare un mondo che non c’è”.
Torna il basso rosso per “Pillole Rosse”, perché viviamo in una specie di Matrix, e se chi sceglie viene bruciato significa che viviamo in un mondo pieno di discriminazioni da combattere, ma quella contro il pensiero secondo Ra è la più pericolosa. Inizio in tonalità di La minore per questo brano, quindi siamo più tranquilli anche se lontani dall’allegria, ma è annunciato il passaggio nel famigerato Do minore perché non c’è speranza.
Durante questo brano ho occasione di notare l’esplicitarsi di un sottinteso di questo concerto e di tanta musica suonata da questo trio, che è l’intesa unica che ci può essere tra padre e figlio che hanno deciso di lavorare insieme all’amico di sempre. Durante un momento di decisione estemporanea che, malgrado la grandissima preparazione e organizzazione di questi brani, è necessaria, dato il carattere improvvisativo di alcuni momenti, colgo lo sguardo del figlio che seduto alla batteria chiede al padre: che faccio, vado ora? In quello sguardo c’è un universo di rispetto verso il direttore dell’esecuzione che però è anche tuo padre, di cameratismo verso il tuo compagno di band più anziano, di intesa fra musicisti che solo Andrea probabilmente ci può spiegare e noi possiamo solo intuire. James Rio si alza e va ad arpeggiare al piano, mostrando l’altro lato, come se il virtuosismo di batterista non fosse sufficiente, della sua preparazione musicale che è lo studio al Conservatorio, per la parte acustica della canzone durante la quale Andrea si permette le sei corde di una chitarra acustica per la parte unplugged del brano.
A questo punto, e non si può di questo accusare la sambuca che Andrea ha chiesto ma riesce a bere solo ora sul brindisi di Anselmi salute al nuovo pensiero, la scaletta pianificata inizia a essere disattesa, e la band va dietro alle scelte estemporanee del leader che prima accenna “Space Oddity”, ma ripreso il G&L color legno si avventura in un’altra cover, sempre in La minore, che è invece “Driven To Tears” dei Police. Qua il chitarrista cambia registro per la prima volta perché l’evidente rispetto per la band gli fa contenere il suo sound distorto in accordi puliti ricchi di effetto chorus che riproducono la poliziottesca versione originale, mentre la norma delle cover di Ra è di reinterpretare i brani con il suono peculiare e più pesante del suo terzetto. Per fortuna durante l’assolo Anselmi supera il complesso di Edipo verso l’originale e si lancia in un assolo dei suoi, per cui ci vorrebbero tre tutorial su YouTube, e ne ha fatti; cercateli, per capire quante e quali note sono state eseguite.
L’anarchia scalettistica è ormai al che volete sentire? E sentiremo “Monte Shasta”, che richiama il momento in cui nel 1420 Andrea è passato dal monte Sibilla al monte Shasta con la chiave data da Ettore Majorana, eminente fisico noto anche per la sua scomparsa misteriosa spiegata anche in modi esoterici, in un viaggio sciamanico fra due luoghi da sempre ritenuti sede di forze soprannaturali. Nessuno ha fatto domande e quindi non fatene neanche voi. Annoto una frase nel mezzo di un discorso fra il surreale e il mistico, in cui Ra ci dice che è minacciato di morte, e che anche se sembra uno scherzo lui lo fa sapere, nel caso in cui. Chi ce la può avere però con chi imbraccia il Music Man rosso regalando questa varietà caleidoscopica di emozioni, suoni, effetti sonori e di tono stile wha-wha, assoli a due dita e slap?
Segue “Dipendenza” in cui Andrea esprime nuove sfumature con un assolo con duplicazione di ottava in cui cava di nuovo un suono simile al fretless da un basso con i tasti, e con sapiente uso di eco. Il vapore di Giacomo che svapa sul palco sono gli effetti di scena e tutto il resto è musica suonata, anche se da dove sono io in prima fila sento preminente il basso e non sempre riesco a distinguere le note della chitarra anche se della velocità delle dita capisco che cosa stia suonando.
Ormai siamo alla libertà esecutiva totale e: questa è bella, annuncia Andrea senza che probabilmente gli altri due sappiano a quale canzone si riferisca quando attacca “Let’s Dance”, devo dirvi di chi è?, stavolta in una versione robustamente Ra-family che rende giustizia al lato rock che l’autore aveva sopito in quegli anni, perché è arricchita di suoni metal e basso funk: si va da assoli slap a suoni synth simil-Paperino, cambi di tempo, fino a una coda improvvisativa in cui Andrea si lancia in una base “Walking bass” e Anselmi fa emergere la sua preparazione jazz, e in cui probabilmente il meno a suo agio è il giovane James che comunque non fa una piega come batterista fusion.
Con la motivazione etico-sociale che la signora che risiede al piano di sopra del club non gradisce che si superi una certa ora, il concerto si conclude, anche se la gente chiede bis e, ormai edotta in teoria musicale dall’autore, lo fa anche per tonalità Mi minore! Andrea, che nel piccolo spazio si deve mischiare con il pubblico appena sceso dal palco, porta nella conversazione la realtà del suo personaggio, con la sua accorata critica a tutto ciò che è regola imposta, e con la sua autenticità e preparazione musicale ci rende felici di non aver scelto di passare la stessa serata in piazza del Duomo dove una lista di musicisti mainstream portava il proprio indubbio talento ma, soprattutto le giovani leve, consegnandocelo in un’omologazione sonora che di sicuro non ha trovato posto in questa serata.
Articolo di Nicola Rovetta, foto di Simona Isonni
Set list Andrea Ra Milano 20 maggio 2023
- Sensi di colpa
- Firenze
- Capoclown
- Vestita come Ra
- Insieme al vento
- Inventare un mondo che non c’è
- Pillole Rosse
- Driven To Tears
- Monte Shasta
- Dipendenza
- Let’s Dance