La grande bellezza, senza paura di abusare di un’espressione che, dopo il capolavoro di Sorrentino, è diventata oggetto di consumo linguistico quotidiano. Il concerto del Balletto di Bronzo il 14 gennaio al Giardino 2.0 di Lugagnano di Sona (Vr), la casa della musica Prog nel Nord Italia, è stata pura grande bellezza sonora. La location, senza tanti fronzoli, consente di godere al meglio degli aspetti sonori. Piccola, non si disperde nulla, e si è addosso ai musicisti, che da lì non possono scappare. Suonare qui non è facile per nessuno, davvero.
Il titolare del locale, nella presentazione della serata, ricorda il passato che lega la band di Gianni Leone a questo luogo. Qui il Balletto è di casa, come gli Osanna e tutto il Prog che conta. Fa presente che, qualche anno fa, in un festival organizzato in paesi vicini, il Balletto di Bronzo fece meno presenze del Banco del Mutuo Soccorso e degli stessi Osanna. Tuttavia, se il Prog è improvvisazione allora Gianni Leone è il Prog fatto a persona ricorda Zorzan. Vista e sentita l’esibizione di sabato 14 gennaio non si può che concordare. Non solo, però, per via dell’improvvisazione, ma per la qualità di quanto si è sentito in due ore e mezza di concerto. Voglio dirlo subito, e non temo critiche: questa è stata un’esibizione prog solo sulla carta, perché quello che Leone e gli altri due componenti del Balletto hanno messo in scena, a Lugagnano, è stato un concerto ricco, con tinte metal, con anima e trazione prog, con passaggi che fanno invidia alle migliori sperimentazioni britpop, e qualità da Musica Colta di grande livello. Ridurre questo concerto alla sola definizione di musica prog è davvero riduttivo, e ingiusto.
Non è un’abiura a quel Prog italiano che tanto, in questi anni, viene celebrato e osannato. Lo dirà anche lo stesso Leone, a metà concerto, con grande intelligenza, e con un discorso che, sbobinato, sarebbe un’ottima riflessione sul valore della musica contemporanea. Ho preso distanza dal Prog nel 1975, e dissi il perché a quel tempo. E ha ragione da vendere quando, riassumendo per comodità, si riferisce al fatto che c’erano stilemi che, alla fine, ingabbiavano una creatività che, per definizione, guardava al progresso, al futuro e, dunque, alla capacità di produrre il nuovo. Senza timore di mancare di rispetto a nessuno, è lo stesso ragionamento che, anni dopo, Brian Eno farà agli U2: niente Blues, andrebbero aboliti quegli accordi dalla storia futura della musica.
Lo racconta Bono nel suo “Surrender” (la nostra recensione). Ancora una volta, insomma, grandi musicisti italiani hanno anticipato rivoluzioni che sono poi arrivate da altre parti del Mondo dove, però, hanno saputo valorizzarle. Noi, schiavi del bel canto e di quanto ne consegue, abbiamo tenuto musicisti e musiche di questo calibro nel mondo del sottobosco e della nicchia. La mancanza di cultura musicale in questo Paese ha davvero dell’incredibile.
Poco male però, perché noi abbiamo ancora la possibilità di avere in giro, e all’opera, artisti come Gianni Leone. Non solo per celebrare il passato, dunque, ma anche per pensare al presente e guardare al futuro. Ed ecco che il concerto di sabato 14 non è nulla di nostalgico, e tanto meno uno show per vecchie cariatidi affamate di musica dei loro anni. In questo spettacolo di quasi due ore e trenta minuti c’è da divertirsi perché si tratta di musica che sa guardare in faccia al proprio passato, sa essere presente e non teme nulla dal futuro che verrà. Anzi, sentiti brani come l’inedito “Labyrinthus”, si capisce che il Balletto, a differenza di altri gruppi dell’epoca, non ha nessuna voglia di celebrare se stesso. Leone guarda al futuro, come ha sempre fatto, e noi con lui.
Il concerto si apre con “Techno Age”, brano strumentale (ma gran parte del concerto sarà così) che fa capire subito che la musica e il suono saranno protagonisti assoluti della serata. Chi è seduto al Giardino sa bene che qui, in questo tempio, non c’è nessuno che ha paura di osare, e di essere se stesso, anche e soprattutto da un punto di vista strumentale. Chi è qui, è qui per ascoltare. Chi suona qui, è qui per suonare. E la scaletta del Balletto di Bronzo non darà tregua a nessuno fin dall’inizio. Dopo “La discesa nel cervello”, da “Trys” del 1999, arrivano i quattro brani che, nel 2008, vennero pubblicati come inediti nel Dvd “Live in Rome”, e cioè “L’Emofago”, “Deliquio Viola”, “Napoli Sotterranea” che strappa applausi e, se ci fosse stata la possibilità, avrebbe portato alla standing ovation per potenza sonora, esibizione e intensità di Leone nel proporla. Per finire poi con “Certezze fragili”. Alta qualità sonora, musica che smuove l’anima ed entra diretta nel cervello.
Non è solo Prog quello che abbiamo sentito. Ha ragione Leone, perché quello che porta in scena è contaminazione di generi, alchimia che crea il nuovo, il suono nuovo, senza cadere mai nel già sentito. Non si tratta di una celebrazione fine a se stessa, neppure quando prenderà fra le mani il sacro lavoro di “Ys”. Questa musica rimanda, richiama, ma è anche capacità di sintesi, e pura espressione di creatività che esonda. Insomma, chi è qui è davanti all’accadere sensibile – come suono, in questo caso – dell’idea, parafrasando quanto afferma Hegel a proposito dell’arte. In poche parole: si assiste al miracolo che trasforma note e armonia in musica, e cioè suono espressivo e comunicante.
Terminata questa prima parte molto tirata, eseguita tutta senza sosta, e per fortuna, perché interrompere questo flusso sarebbe stato un delitto dato che, di fatto, è come se si fosse trattato di una sinfonia di matrice prog-metal, con innesti di stilemi dell’elettronica sperimentale, si arriva alla parte centrale dello show, dedicata al capolavoro “Ys” del 1972. L’esecuzione completa viene evitata, e anche questa è cosa buona e giusta. O meglio, non che sia cosa non apprezzata, ma ormai è trita. Tutti eseguono gli album in maniera integrale. Leone, invece, sceglie di condensare. Per certi versi è un bene perché, lo dice lui stesso, quest’album, quando l’ho ripreso in mano, ha molte cose che apprezzo. Allo stesso tempo, non avrei scritto più l’intro in quel modo. E per un momento si fanno dei calcoli, non tanto per l’età del Nostro, e neppure per capire cosa, nel 1972, abbia rappresentato questo album rivoluzionario. Li si fa per capire e rendersi conto che Leone lo ha scritto e composto quando ancora non aveva 20 anni. Questo consente di valutare il peso specifico del musicista che si ha davanti.
E così “Introduzione” verrà riassunta, ma nel finale, come bis (a quanto pare davvero inatteso), verrà ripresa. “Primo incontro” e “Secondo incontro” sono l’anima di questo album, e sono eseguiti come da manuale; “Epilogo” chiude l’omaggio. Grande musica, davvero. Non serve ricordare che già questo lavoro era fuori canone all’epoca, e per questo è un capolavoro che resiste dopo decenni. Un’opera che contiene tanta musica spacciata ora per nuova in varie salse tanto quanto in varie parti del mondo. Si tratta, per farla breve, di un album – baule, come la “Recherche” di Proust, e cioè opere che contengono mondi, che ne fanno germogliare, e gemmare, di continuo.
Due cover segnano la ripresa, e più precisamente “Bag Lady” di Todd Rundgren, e “Nevermore” dei Queen. Leone, poi, regala un altro brano di Rundgren al pubblico e, in particolar modo, al tecnico del suono del Giardino. Persona gentile, e di quest’epoca è già una cosa straordinaria. Chi scrive, però, ha dovuto alzarsi per sgranchirsi un poco schiena e gambe doloranti. Non certo per colpa della musica, ma dell’età. E così mi sono perso titolo ed esecuzione di questo pezzo. Chiedo venia. Tutti questi brani vengono eseguiti dal solo Leone. Lui, con le sue tastiere. Inutile dirlo, è uno dei momenti più belli del concerto.
Dopo l’esibizione di “Né ieri, né domani”, brano che fa spellare le mani ai presenti, Leone annuncia che c’è spazio per un’esclusiva solo per il pubblico del Giardino. Un brano del nuovo lavoro “Lemures” che uscirà a maggio. Credo sia corretto che “Labyrinthus” resti tale, e cioè esclusiva del Giardino, e così ho deciso di non scriverne. Una sola battuta: si tratta di un brano strumentale che fa ben sperare per il nuovo lavoro. “Donna vittoria” e “Marcia in sol minore” chiudono un concerto che lascia tutti molto soddisfatti. Leone e la band vorrebbero salutare e dedicarsi al pubblico con firme su vinili e memorabilia, ma nessuno ha voglia, questa sera, di non sentire più quella musica. E così il Balletto di Bronzo torna sul palco ed esegue un altro frammento di “Introduzione” di “Ys”. E sarà ancor meglio di quanto si è sentito prima. Davvero.
In chiusura vale la pena ricordare che accanto a un gigante come Leone ci sono due signori musicisti. Al basso c’è Ivano Salvatori. Una vera macchina da guerra, capace di grandi virtuosismi e, allo stesso tempo, di dare anima e colore. Suona come un bassista metal senza però essere un’anima totalmente e solamente metal. Bravissimo. Alla batteria c’è Riccardo Spilli. Sorregge con grande potenza il suono, le trame e tutto quello che esce dalle tastiere di Leone.
Una band affiatata; tre musicisti che si completano a vicenda. Suonare accanto a Leone non deve essere facile, e non per questioni di carattere. Su quello non mettiamo parola, non abbiamo strumenti per farlo. Semplicemente ci rifacciamo a quanto afferma lo stesso musicista. Sono maniacale, voglio avere tutto sotto controllo. Per far questo serve saperne di musica, e su questo non ci sono dubbi, e non ci piove. Allo stesso tempo servono complici. Non solo musicisti, ma dei veri complici. Spilli e Salvatori lo sono. Ecco il valore aggiunto.
Il nuovo brano fa capire molto dell’intesa che ha dato vita al lavoro che uscirà in maggio. Una complicità fatta di grande attenzione alle tre sezioni che i tre musicisti fondono bene insieme. Insomma, come dice il filosofo, si fondono fucili per fare cannoni. E questo è quello che ci si attende dal nuovo lavoro… complici che faranno suonare cannoni.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
Setlist Balletto Di Bronzo Lugagnano di Sona 14 gennaio 2023
- Techno Age
- La discesa nel cervello
- L’emogafo
- Deliquio viola
- Napoli sotterranea
- Certezze fragili
- Introduzione
- Primo incontro
- Secondo incontro
- Epilogo
- Bag Lady
- Nevermore
- Né ieri, né domani
- Labyrinthus
- Donna vittoria
- Marcia in sol minore
- Introduzione (come bis)