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Bloodywood live Milano

Serata all’insegna del Metal indiano! In apertura Calva Louise e Demonic Resurrection

Se io vi dovessi nominare quel Paese lontano e misterioso che è l’India, quale sarebbe la prima cosa che vi verrebbe in mente? I suoi templi antichi, le tradizioni spirituali, il Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo? Oppure le sua moltitudine di etnie, idiomi, danze e cibi tradizionali? Bollywood, magari? Scommetto che pensereste a una moltitudine di cose riguardo a questa terra straordinariamente complessa e affascinante, ma pochi concepirebbero che proprio lì siano nate alcune band metal che spiccano nel panorama musicale mondiale, e proprio di questo vi voglio parlare oggi.


Un piccolo pezzetto di India si è trasferito il 15 marzo al Legend Club di Milano, sotto una pioggia torrenziale che si placa al mio arrivo alcune ore prima, visto l’ennesimo sold out sfornato da Hellfire; tuttavia non sono nemmeno la prima, c’è chi è lì da più tempo ancora. L’attesa dell’apertura delle porte è lunga, ma per fortuna le chiacchiere con i fan la rende più leggera, e scopro che vengono da tutta Italia, da Bolzano alla Sicilia, chi vede questo emozionante gruppo per la seconda volta nella stessa settimana, dopo essere stato alle date estere, di tutto e di più insomma. L’amore per gli headliner trasuda dalle parole, dai racconti, dalle magliette che hanno in tantissimi. Adesso sono ancora più impaziente di incontrarli live; parte la mia corsa al posto in transenna quando le porte si aprono, e nonostante sia consapevole di quello che mi spetta, il mio sentimento è di affetto sincero per esserci. Io e te, transenna, penso tra me e me mentre mi apposto sulla mia familiare mattonella, vediamo stasera quante ginocchiate nei reni collezionerò. Il palco è pronto a ospitare le tre band di stasera; il pubblico beh, il pubblico è quello delle grandi occasioni: già carico, già caldo, già rumoroso, già tanto. Ancora deve iniziare la serata che dopo pochi minuti faccio abbastanza fatica a muovermi.

Demonic Resurrection

Quasi al buio, tanto che inizialmente potevano essere scambiati per roadie, prendono i loro posti i primi artisti, i Demonic Resurrection, che fanno da apripista per l’India, provenendo da Mumbai e facendoci conoscere il loro Symphonic / Blackened Death Metal; attivi dal 2000, vincono dieci anni dopo il Metal Hammer Golden Gods Awards nella sezione Global Metal, hanno pubblicato cinque album in studio dai quali traggono una scaletta niente male e che centra il bersaglio con set micidiale di ferocia pesante.

Demonic Resurrection

L’esperienza sul palco è evidente, il quartetto suona una forma molto intensa di Blackened Death Metal, affilata come un rasoio, grazie al cast stellare, sebbene magari meno conosciuto nel nostro continente.
Il vocalist Sahil “The Demonstealer” Makhija è anche un uomo molto carismatico, il modo in cui parla e interagisce tra le canzoni è divertente e spiritoso, non perdiamo tempo che il tempo a nostra disposizione stringe. Sebbene debba fare la parte del cattivo, è impossibile non intercettare gli occhi dall’espressione amichevole e sorridente, felice di essere a festeggiare sul suolo italico il venticinquesimo anniversario della band. Nulla a che vedere con le evocazioni in norreno antico tipiche del Nord Europa.

Demonic Resurrection

How many of you have seen us already? Oh wow, that’s great! Ten people!  Come si fa a non ridere con lui? Il loro quinto album, “Dashavatar”, uscito il 15 marzo 2017 via Demonstealer Records, consolida ulteriormente non solo il loro status di gruppo leggendario nel loro paese, ma anche come forza da non sottovalutare sulla scala metal mondiale. D’altro canto, ricordiamo che le scene metal in paesi come l’India sono spesso in difficoltà, a causa della natura estrema di questo genere musicale e quindi lontane dall’essere abbracciate dalla società nel suo complesso. Non voglio fare di ogni erba un fascio, ma il fatto che alcuni locali in India vietino questo stile è una prova evidente di pregiudizio, per questo ai Demonic Resurrection va la mia empatia, perché ritengo che la scelta di continuare la loro strada come musicisti metal sia un vero segno di passione e determinazione.

Demonic Resurrection

Così dovrebbero sempre essere la comunità e la mentalità metal. La maggior parte dei brani presentati rivelano la capacità vocale profonda e ringhiante del frontman, ma anche momenti che ritraggono interpretazioni meno convenzionali. I Demonic Resurrection conquistano il popolo del Legend con un’esperienza avvincente, un mondo in cui Blackened, Symphonic e un goccio di Folk Metal si scontrano in armonia perfetta.

Calva Louise

Dopo un cambio set piuttosto rapido, è il turno dei Calva Louise, un trio alternative rock/electronic nato a Londra nel 2016, composto da eclettiche nazionalità (venezuelana la vocalist e chitarrista, francese il bassista, neozelandese il batterista) e chiaramente influenzato dal Rock britannico, americano e latino. Hanno tenuto e tengono concerti sold out in tutta Europa e Regno Unito, e hanno supportato artisti di fama mondiale come Highly Suspect e Razorlight; i loro singoli vengono costantemente proposti su radio come BBC Radio 1 e BBC6 Music, oltre che sulle varie piattaforme.

Calva Louise

Questo trio indubbiamente sa come tirar giù i muri: la frontwoman Jess Allanic, che a un primo sguardo può apparire come una scolaretta dagli occhi dolci, mette tutti in soggezione con la sua voce feroce, ma dai toni sublimi a volte, le sue transizioni sono sempre limpide e senza sbavature. Passa senza sforzo alcuno da growl e urla aspre a clean melodici e bellissimi, il tutto mentre sforna i pesanti riff di chitarra che fanno impazzire la folla. Pause occasionali dai riff si hanno mentre fa scivolare la tastiera dal suo particolare supporto, un meccanismo progettato e realizzato dal bassista Alizon, che ha creato anche il loro logo.

Calva Louise

Jess ha la presenza scenica di una rockstar rodata, ma senza nessuna ombra di arroganza, anzi è incredibilmente umile, e tra un brano e l’altro si assicura di mostrare la sua gratitudine per il supporto e l’affetto dimostrato rumorosamente dal pubblico, profondendosi in una serie infinita di thank you. Si emoziona parlandoci del suo amore per l’Italia, I once had a nonno, e gli applausi le fanno brillare ancora di più gli occhi mentre coprono il resto del suo discorso. Che grande potere quello della musica, quello di renderci tutti più umani.

Calva Louise

I Calva Louise condividono con noi le frustrazioni esistenziali, incoraggiando un’atmosfera accogliente e quasi intima, esperienza davvero bella da vivere. Hanno voluto condividere anche il viaggio musicale che hanno intrapreso, scegliendo una scaletta che unisce sia dove sono ora che dove sono stati. Vari sono i brani tratti dal loro album più recente, il terzo, “Over The Threshold”, uscito il 1 dicembre 2023 via Indipendent, brani contagiosamente groovy, audacemente rock, causticamente heavy, e ballabili all’ennesima potenza. Concludendo l’esibizione con “Oportunista”, dall’ultimo lavoro, la band ha dato una grande lezione su come si termina un set, offrendo una traccia particolarmente elettrica che i fan possono urlare di rimando, lasciandoli in estasi e con la voglia di rivederli quanto prima. Un’uscita talmente rapida che ci ho messo un paio di minuti per realizzare che se ne fossero andati davvero.

Bloodywood

Capisco di essere giunta al momento degli headliner per il semplice fatto che non riesco più a muovermi senza pestare i piedi a qualcuno; l’aria è rovente, la sala stipata fino all’ingresso, le costole premono sul ferro della transenna. Ci siamo, speriamo di uscire vivi di qua. I roadie sgomberano il palco da aste, batteria degli opener, attrezzature varie, e tra noi che vediamo il tutto in prima linea la domanda nasce spontanea: come mai il palco è praticamente vuoto tranne che per la batteria? Dove sono le chitarre, dov’è tutto?  Quello che balza all’occhio sono dei potenti fari, che accecano solo a guardarli ancora spenti, ma il resto?

Bloodywood

Il grido che si leva dalla sala quando le luci si abbassano mi fa benedire il fatto di avere i tappi nelle orecchie. I fari si accendono e lanciano fasci di luce fortissima direttamente nelle pupille, abbagliandoci, e quando finalmente riacquistiamo la vista loro, i Bloodywood, sono già schierati e scatenati di fronte alla transenna. Senza perdere tempo in presentazioni, parole, saluti, monologhi, fronzoli vari, attaccano immediatamente col loro ritmo tribale e selvaggio, e quando parte il suono del dhol di Sarthak Pahwa il popolo del Legend perde definitivamente ogni freno inibitore, ogni vergogna, ogni ritegno, ogni tabù, rimanendo “senza pelle”, con gli istinti allo scoperto. Tra una tirata di capelli e l’altra, li osservo a pochi centimetri di distanza con un occhio aperto e uno chiuso, come quando si osserva il vuoto prima di una discesa di un roller coaster.

Bloodywood

Non c’è modo di resistere, puoi solo lasciarti trasportare: una manciata di minuti solamente e siamo asfaltati dai Bloodywood, formazione folk/rap metal quanto mai graffiante e caustica, fondata a Nuova Delhi nel 2016 e ispirata a Rage Against The Machine, System Of A Down e Limp Bizkit; il terzo, attesissimo album in studio ” Nu Dehli” verrà rilasciato il 21 marzo 2025, per Fearless Records. Unica data italiana per il loro tour europeo “Return Of The Singh” che vede il Legend colmo di fan come poche altre volte.

Bloodywood

In scaletta troveremo alcuni singoli di questo nuovo lavoro e anche una traccia inedita, “Halla Bol”. L’elefante che troneggia sulla grancassa della batteria e sull’abito del vocalist e growler Jayant Bhadula è lo stesso della copertina del disco. Dal primo istante è più che chiaro che i Bloodywood hanno portato a Milano la loro volontà di giocare pesante; la band indiana veramente non perde tempo a offrire il suo caratteristico mix di batteria martellante (il batterista vi assicuro che c’è, anche se essendo stato quasi sempre nell’unica pozza di buio esistente non sono riuscita a immortalarlo) riff e strumenti tradizionali.
Non hanno l’aspetto della tipica band metal: invece dell’abbigliamento nero che siamo abituati a vedere, indossano abiti dai colori vivaci, e questo non impedisce loro di esibirsi in modo molto più divertente, coinvolgente e decisamente heavy di molti dei classici gruppi di nero vestiti.

Bloodywood

Jayant Bhadula, vocalist solista, è una potenza assoluta, la sua voce è perfetta in tutto, brutale quando necessario, ma molto precisa melodicamente e del tutto a suo agio con le scale indiane distintive che rendono unica la musica dei Bloodywood, offrendo sia i classici clean in hindi che il growl, e il pubblico è nelle sue mani da subito. Professionista esperto, coinvolge tutti e incoraggia le persone deliranti a unirsi alla festa metal, chiamando il circle pit, il wall of death, li fa saltare su e giù a piacimento, riesce a farli cantare anche in hindi, ma va da sè che i fan conoscono i testi a memoria.

Bloodywood

Io nemmeno riesco a voltarmi per vedere il putiferio alle mie spalle, sono spinta con la forza di un branco di elefanti sulla transenna, con la fronte che sfiora il ginocchio di Bhadula quando appoggia il piede sulla cassa, e strozzata dalle mie due tracolle. Ma non è solo Bhadula a infiammare lo stage: il rapper Raoul Kerr è una forza della natura, distruttivo come un tornado, e si aggira sul palco furioso come un animale in gabbia mentre scatena le sue capacità vocali con una ferocia che ci lascia tutti senza fiato. Le introduzioni parlate alle canzoni toccano una corda profonda in tutti, sia che si tratti di difficoltà interiori o problemi sociali.

Bloodywood

Il resto della band crea un muro di suono schiacciante, disarmante, che provoca mosh e headbanging senza sosta: da dietro sento arrivarmi sulla schiena e sulla testa i capelli di coloro che scapocciano come i matti. Nel chitarrista e maestro di flauto  Karan Katiyar hanno un compositore e strumentista brillante che porta a passeggio con disinvoltura la sua fiammeggiante otto corde, offrendo riff stretti in stile Wes Borland, e assoli aggiuntivi di flauto stupefacenti.

Bloodywood

Notevole come i Bloodywood abbiano incorporato senza soluzione di continuità strumenti tradizionali indiani nel loro sound, come per esempio il dhol, un tamburo tipico dell’India settentrionale e suonato con una passione estrema da Sarthak Pahwa, che al pari di Kerr si dimena su e giù per il palco, a piedi nudi. Il suono di questo strumento fa impazzire il popolo del Legend, che si scatena nell’essenza più selvaggia, cruda, intima possibile, mentre il bassista sfoggia costantemente un sorriso così ampio che mi ha fatto domandare se gli altri avessero abbastanza spazio sul palco.

Bloodywood

Ci sono vibrazioni e sentori familiari ai fan di Rise Of The Northstar e anche Mushroomhead, ma nella performance dei Bloodywood c’è qualcosa che non si può trovare da nessun’altra parte. Una delle cose che più mi hanno colpito di questa spumeggiante band è il modo in cui si divertivano sul palco, al pari se non addirittura più del pubblico, e il loro apprezzamento sincero per il calore e l’accoglienza. Calore anche nel senso letterale della parola: nonostante i due ventilatori ai lati dello stage, in tempo zero gli artisti sono madidi di sudore che cola sulla pelle, sul pavimento, sugli strumenti, più di una volta si rende necessario asciugarli con un asciugamano. Anche per terra, onde evitare che continuino a scivolare, e hai voglia di aprire le porte di sicurezza per far girare l’aria, il Legend sembra essere stato preso a secchiate d’acqua, e noi siamo ridotti a una zuppa festosa e urlante di metallari seminudi.

Bloodywood

Man mano che la performance va avanti, dal backstage e dai camerini fanno capolino varie persone, che osservano la baraonda di gente che salta, ondeggia, poga, persino il fotografo ufficiale ha il suo da fare a non farsi investire da queste fiammate di energia viva. Quello che loro tiravano fuori, il pubblico lo rilanciava in un ciclo che sembrava volesse far saltare anche il tetto; chi non conosce i testi o non li capisce canta comunque a modo suo.

Bloodywood

I Bloodywood live sono un fenomeno che trasuda umile sicurezza e brillante carisma; nelle pause tra i brani, i due frontmen promuovono individualità, accettazione, unità, sanno essere molto divertenti e, a volte, anche commoventi. Brani come “Machi Bhasad” vantano agganci massicci e testi potenti, ma la batteria fa la parte del leone furioso, mentre Karan raddoppia la sua performance come talentuoso suonatore di flauto.

Bloodywood

“Tadka”, invece, è un grintoso inno metal al cibo indiano: are you hungryyyyy? Ringhia Raoul scatenando quel che ancora non si era scatenato, mentre ci prende a manate in faccia col suo Nu Metal di urla infernali che si scontrano con suoni classici, che riflettono la cultura indiana. Una traccia in cui questi artisti camminano sul confine tra i generi senza rete di sicurezza e senza paura, con un risultato mai sentito prima, per quel che mi riguarda.

Bloodywood

“Bekhauf”, “senza paura” in hindi, nella versione da album vede la collaborazione con le giapponesi BABYMETAL, quindi uno scontro tra le voci gloriosamente roche dei Bloodywood e quelle soavemente melodiche delle ragazze del Sol Levante. Il riff è iper-veloce sul palco, i breakdown feroci come il pogo alle mie spalle, un brano che ci ricorda che il Metal è un linguaggio universale e accogliente per tutti gli stili, le etnie e i generi: qualcosa di davvero bello, e brutale insieme. La fine del concerto arriva ahimè anche troppo in fretta, la scaletta può anche apparire breve, ma sfido chiunque a continuare con questo livello di adrenalina e movimento fisico. Non ne volevano sapere i fan, i cori di Bloodywood! Bloodywood! Non si sarebbero placati facilmente, fino a essere ricompensati con “Gaddaar”.

Anche dopo l’uscita gloriosa della band, il pubblico resta impalato in transenna, si scatta selfie con la batteria alle spalle, beviamo tutti dalla stessa bottiglietta d’acqua, ci si asciuga il sudore, mescolato a quello dei vicini di transenna. Serve l’intervento della sicurezza per convincerli a uscire nella pioggia; stasera i Bloodywood hanno esibito una performance sbalorditiva in un’atmosfera di festa e divertimento, una celebrazione della cultura e della musica, che sarà ricordata a lungo da tutti coloro che sono stati abbastanza fortunati da non essersela persa.

Articolo e foto di Simona Isonni

Set list Bloodywood Milano 15 marzo 2025

  1. Dana Dan
  2. Nu Delhi
  3. Aaj
  4. Tadka
  5. Jee Veerey
  6. Bekhauf
  7. Machi Bhasad
  8. Halla Bol ( inedito)
  9. Gaddaar
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