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Vinicio Capossela, Taneto di Gattatico (RE)

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CCCP Gran Galà Punkettone

La loro storia ha dimostrato che si potevano fare cose diverse con la musica, con l’arte, con la parola, con la performance

Noi c’eravamo, con biglietto acquistato quando il Gran Galà era data unica, e cioè il 21 ottobre 2023, al Teatro Valli di Reggio Emilia. Una sola data, all’epoca, che avrebbe visto i CCCP sul palco, dopo oltre 30 anni dallo scioglimento. Fila 13, posto 9: c’eravamo perché fan; perché questo era, è, e sarà l’evento dell’anno, anche se nel frattempo è raddoppiato (bissato la sera di domenica 22 ottobre, forse per esigenze di registrazione, vedremo…); perché rivedere i CCCP sul palco, nella formazione originale, equivale, per certi versi, a essere stati a Londra nel 2007 per i Led Zeppelin, o a Wembley nel 1986 per i Queen. Il tutto, ovviamente, con le dovute proporzioni.

Quindi, scriviamo essendoci stati al Valli, e dopo aver visto e sentito quello che è accaduto. Non la faremo molto lunga per vari motivi. Abbiamo dedicato ampio spazio all’evento dell’anno, e cioè mostra (la nostra recensione), conferenza stampa (la nostra recensione), album (la nostra recensione), libri (le nostre recensioni di “Il libretto rozzo“, “Felicitazioni – Fedeli alla linea 1984-2024” “Io e i CCCP – Storia fotografica e orale”), e nonostante questo lavoro, spesso abbiamo visto articoli elogiati come se fossero un lavoro inedito. Tanto fa, e poco ci interessa. Sappiamo di aver fatto bene il nostro operato, e ne siamo orgogliosi.

Il Gran Galà Punkettone non si sapeva cosa fosse. O meglio, i quattro CCCP non hanno mai voluto far sapere cosa avrebbero messo in scena al Valli. Era giusto così, fino a quando si trattava solo di una data. Invece, nel momento in cui si è deciso di replicare, si poteva far trapelare qualcosa. Ci sarà un motivo, lo scopriremo solo vivendo. Ciò non toglie che questo è stato un evento nell’evento, e cioè “Felicitazioni”, la mostra in corso a Reggio Emilia, per celebrare i quaranta anni dall’uscita del primo ep.

Due sono stati i momenti epici, veri, di una serata magnifica, senza dubbio, ma che ha mostrato inesorabilmente come quel mondo sia finito, e quanto tempo sia passato. Ferretti è l’unico che lo ha sempre saputo, ma d’altronde è quello che ha sempre le idee ben chiare. Questi due momenti sono “Emilia Paranoica”, eseguita come mai prima era successo. Quando abbiamo deciso di farlo, e cioè di cantare su questo palco, ci siamo detti che dovevamo eseguire “Emilia paranoica” bene, con le percussioni, come avrebbe dovuto sempre essere, ricorda dopo l’esecuzione Ferretti.

Andrea Scanzi, la vera sorpresa della serata, avremo modo di spiegare il perché, lo aveva appena finito di annunciare. Una suite che, dopo “Siamo solo noi” di Vasco Rossi, descrive un’intera generazione. Vero. Scanzi è una sorpresa. Sapere che c’era lui sul palco, detto con il massimo rispetto, non deponeva a favore della serata. Ci sono fior fiore di giornalisti che, negli anni, hanno seguito per davvero la band, e che avrebbero meritato di essere lì sopra. Anche chi, con grande arroganza, sui Social, commenta ogni post definendosi l’unico vero esegeta dei Nostri. Ecco, pure lui avrebbe meritato un poco di gloria. Invece si è scelto Scanzi, polemista, autore di troppe e severe critiche a Morgan, scrittore di un libro che porta come titolo un verso di Ligabue e che, di quella canzone, non coglie neppure di striscio il senso. Invece qui è da applausi veri. Mette in scena un monologo di grande efficacia; piega il suo ego alla storia dei Nostri; spiega al pubblico perché, in cinque punti, i CCCP, sono ancora così seguiti e amati. Sono unici, il senso è questo. Sono musica, arte, perfomance, disciplina e avanguardia, oltre a essere una cosa mai vista prima. Unicità, come si addice alle opere d’arte. Bravo Scanzi, perfetto. Come d’altronde l’intro a “Emilia paranoica”, definita appunto la suite perfetta che descrive la generazione che non ha più santi né eroi.

L’altro momento epico è Ferretti che si commuove su “Amandoti”, cantata da solo, davanti al suo pubblico, con alle spalle i suoi compagni di palco, e cioè i CCCP, e i musicisti che li hanno accompagnati durante la serata. Sbaglia, abbraccia in modo fraterno Zamboni, sembra piangere, poi riprende la disciplina del corpo, una delle caratteristiche che hanno sempre fatto la differenza in questo gruppo, parole sue nella presentazione della serata, e porta a casa una versione che paralizza il pubblico che non canta, non perché colpevolizza Ferretti per l’errore, ma perché capisce che quello è il vero ultimo saluto. Deve essere così, non ci può essere un dopo. Questa storia è finita 30 anni fa, è stato giusto farla rivivere ora, così, in una mostra spettacolo, in due serate (alla fine) uniche, ma che hanno mostrato come sia passato il tempo, si sia modificato lo spazio, e questa avventura artistica, musicale e d’avanguardia sia ormai legata alla sua epoca, per nell’unicità del suo essere. A tutti, e sono convinto anche a loro quattro, piacerebbe che il tempo si fosse fermato, ma non è così. Purtroppo.

E pensare che il tutto era iniziato con i quattro in abiti di gala. Fatur esce in abito da sera, Zamboni pure, con chitarra. Dal fondo del teatro, passando in mezzo alla platea del Valli, Annarella e Ferretti, entrambi in abito di gala, arrivano cantando appunto “Annarella”. Per tutti, dunque, è chiaro che quello sarà il gran finale, e l’unico omaggio musicale. Così avevano detto e spergiurato, pur se Zamboni, alla presentazione della mostra l’11 ottobre, aveva tentennato, come d’altronde Annarella.

Poi si è parlato, con Daria Bignardi, altro corpo estraneo, ma nel suo CV vanta un’intervista a Vasco Brondi e Giorgio Canali, competenze che, forse, le hanno permesso di essere lì, fra i quattro, seduti in un Daria Bignardi Show, dove manca solo il piano di sottofondo. Rispetto a quanto detto alla presentazione della mostra non ci sono aggiunte: cellula dormiente risvegliata, siamo amici che ci siamo ritrovati, stima, consapevolezza di aver fatto tanto e molto, affetto delle persone per tutti. Qui, in questa fase della serata, solo Fatur conferma la sua presenza, rispondendo con grande ironia alle domande poste. La vodka del regime sovietico era buona, teneva tranquille le persone. Ero nudo perché avevo un bel culo. Entro nei CCCP perché nella vita facevo il facchino. Spostare cose nei magazzini e farlo sul palco dei CCCP, era uguale. Strappa veri applausi, e Ferretti consiglia la lettura del suo libro. Lo facciamo anche noi, ne vale la pena.

Ferretti e Zamboni, invece, confermano di essere i pilastri della musica d’autore italiana degli anni ’80 e ’90. Riassumere quello che raccontano è impossibile, serviva esserci, ma una cosa è chiara: i due hanno ben presente cosa sono stati insieme, in due, in quattro, e in sei. Bignardi si ritira, non può che fare questo, qui c’è dello spessore vero, non delle chiacchiere. Il resto è musica, del tutto inattesa.

“Annarella” in apertura, come già detto, poi “Morire”, con il produci, consuma, crepa, e un’aggiunta attuale – bravo Ferretti – tatuaggi, piercing, moda, crepa, crepa, crepa… Come sempre, come dirà anche Scanzi, Ferretti sceglie le parole giuste, le lima, e sa dove metterle. Poi “Battagliero” e “Stati d’agitazione”, vero e unico pezzo punk d’ordinanza, con suoni duri e acidi. “Libera me domine” è ciò che più si avvicina al Ferretti attuale che, ricorda la Bignardi, Canali sostiene essere sempre stato così. E Ferretti finalmente, lo dice in modo chiaro: mi stupisco che le persone non se ne siano mai rese conto. Il finale della canzone vede un bel passaggio di violino, che serve per cambiare la scena, mostrare alcuni pezzi del film documentario “Kissing Gorbaciov”, che uscirà a novembre, e racconterà il concerto-viaggio in Russia, quello che ha decretato la fine dei CCCP.

A quel punto, dopo Scanzi, l’epica davvero di “Emilia paranoica”, con tamburi e percussioni, che ne danno quel tono sublime che ha “Kashmir” nella versione del 2007. Il finale sarà con “Radio Kabul”, adattata ai tempi che corrono, con un pensiero ai Curdi e al Donbass. I CCCP non sono mai stati lontani dall’attualità, e le idee le hanno avute sempre chiare. Forse, mi sia concesso, il pubblico non sempre. Lo dimostrano le critiche, continue e severe, di molti, a Ferretti, e la battuta stessa della Bignardi a Zamboni quando parla di impero del bene e del male. Quali sono? Eh, te lo spiego dopo…

Poi si arriva, a fine serata, già smessi gli abiti di gala (con “Emilia paranoica” i vestiti da sera erano già spariti), con i CCCP che, da dietro, guardano Ferretti salutare con “Amandoti”. Canzone ormai di tutti, dalle curve dello stadio ai Maneskin. Ferretti è solo, con davanti e dietro tutti quanti. Si emoziona, sbaglia, abbraccia l’amico, cerca l’abbraccio nostro, che gli arriva. È la canzone che sapevamo ci avrebbe dato problemi, ed è stato così. Le emozioni sono tante, per tutti. Un bene, solo una terapia. E così doveva essere. La speranza è che, dopo la inevitabile ristampa di parte del catalogo, una raccolta che nulla aggiunge, tutto materiale che sta andando a ruba anche grazie ai collezionisti, ci sia spazio per inediti o live dell’epoca, quella sarebbe una bella operazione, come insegnano i Rolling Stones e Bruce Springsteen.

Una fortuna esserci stati. Questa storia ha senso se non diventa altro, e cioè una parodia, ma resta epica, figlia cioè di un tempo andato, ma che ha dimostrato che si potevano fare cose diverse con la musica, con l’arte, con la parola, con la performance e, a ben vedere, con tutto ben mescolato insieme. Oggi, con la sola musica per esempio, qualcuno sarebbe capace di rifare anche solo una parte di tutto questo? Questo il grande messaggio di sfida che lanciano i CCCP alla nostra epoca.

Articolo di Luca Cremonesi

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