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CCCP live Bologna

Tutti i generi musicali, presenti nel Dna della band, vengono fatti esplodere nelle varie sezioni del concerto

Questa volta è stato un concerto vero. Lo show live di debutto del tour “In fedeltà la linea c’è”, il ritorno sui palchi dei CCCP, che è andato in scena il 21 maggio a Bologna, ha restituito ai fan uno spettacolo vero, dopo le performance di Reggio Emilia e Berlino, in tutto cinque serate, nate all’interno del contesto mostra “Felicitazioni!!!”. In quel caso era giusto così, nell’economia dell’evento complessivo. Questa volta, invece, le cose sono diverse, sotto tutti i punti di vista.

La band dimostra di essere in grande forma, e l’innesto dei musicisti di supporto ha permesso una maturazione musicale incredibile, frutto anche di esperienze che Ferretti e Zamboni hanno poi accumulato negli anni successivi al congelamento della band. Paradossalmente – ma come tale deve essere letto – i più estranei sono apparsi, all’inizio, Fatur e Annarella. Recupereranno nel corso dello show, e il loro apporto sarà chiaro dalla seconda metà del concerto in poi.

In sostanza, poche chitarre grattugiate; niente drum-machine; apparato ritmico da vera band rock; tanta maturità sonora; e tutti i generi musicali, presenti nel Dna della band, che vengono fatti esplodere e sono resi chiari nelle varie sezioni del concerto. Tuttavia, per questo racconto tentiamo, o almeno ci proviamo, a percorrere una strada leggermente diversa da quella degli altri. Il tutto per non ripetere quanto in tanti hanno già scritto nelle ore dopo il debutto bolognese del tour “In fedeltà la linea c’è”.

Terremo fermo l’asserto che si tratta di una serie di concerti veri, e di uno show completo, composto da 28 canzoni in scaletta (un’enormità, davvero), per uno spettacolo che supera le due ore di durata. Come fu per i Led Zeppelin nel 2007, i nostri quattro CCCP hanno messo in scena un concerto che non celebra, ma diventa un tassello che si aggiunge alla loro storia. Esattamente come fu per Page, Plant e Jones.

Per questo motivo, proviamo ad analizzare questo spettacolo da quattro punti di vista differenti, e cioè quello di Ferretti, Zamboni, Fatur e Annarella, gli eroi – non più giovani, ma comunque belli – che hanno fatto l’impresa. Quale? Quella di far vivere – e non rivivere – oggi i CCCP, cellula dormiente che si è risvegliata, come ha ricordato Annarella in apertura di concerto, facendo suo il mantra che Ferretti ha creato per questa operazione che ha avuto origine con il documentario “Kissing Gorbaciov” (attenzione: lo troverete in vendita al concerto, questo lo dico per chi fosse interessato e, giustamente, storce il naso per le eccessive spese di spedizione sul sito).

La “prima” di Bologna ha fatto capire che il tour estivo sarà onesto e reale, e non un’espediente. Dopo gli spezzoni suonati a Reggio Emilia, e le serate berlinesi, questi CCCP hanno portato sul palco se stessi, e hanno mostrato a tutti e tutte come siano maturati, e sia siano affinati in questi anni di silenzio. Nessuno di loro è rimasto con le mani in mano; il tempo gli ha permesso di fare sintesi di tutte le esperienze vissute. Ed ecco che, citando a braccio, entrano in questo tour il violino, usato in “A cuor contento” di Ferretti; le percussioni, “scoperte” nei C.S.I.; gli Ustmamò, una delle band del C.P.I.; la chitarra suonata, e non più grattugiata, e suonata da Zamboni come tutto quanto fatto e prodotto dopo l’esperienza dei CCCP; l’elettronica di Fatur (e vi consiglio di ascoltare i suoi lavori da solista, spesso snobbati, in particolar modo “Strafatur”, oltre all’ultimo singolo); e, infine, un’Annarella consapevole del ruolo di Grillo Parlante e Pensante – la “e” unisce, non separa – di una generazione che, in quella musica, ancora si riconosce.

Infine, prima di partire per il viaggio seguendo i quattro punti di vista, il pubblico. Ribadiamo quanto scritto a proposito della mostra. Lì i quattro ci guardavano, nella sala di Fellegara. A Bologna la band ci attendevano, e questa volta senza provocazioni, senza Scanzi (oscuro oggetto del desiderio, o giustificazione a posteriori di un qualcosa che non doveva essere come è sembrato? Mai lo sapremo…), e qui ci siamo stati, e ritrovati. Una piazza che aveva voglia di musica, perché di questo alla fine si tratta. Di una delle ultime occasioni, in Italia, per ascoltare un gruppo che ha saputo creare musica, dare corpo a veri contenuti – che sono sopravvissuti, e che la mostra di Reggio ha ben raccontato – e, allo stesso tempo, ad essere ancora fenomeno collettivo generazionale.

In piazza a Bologna c’era il pubblico della band, con qualche figlioletto al seguito (la terza generazione, ma non ancora consapevole, quindi lì a riporto). Di giovanissimi pochi, perché questa musica, questa modalità di fruizione, e questo valore alla musica oggi non esiste più. Vedere come i CCCP siano riusciti a fare breccia, ancora una volta, è davvero il successo di un’operazione che, ora, si può dire che di nostalgico non ha davvero nulla. In fedeltà, la linea c’è, ribadiscono sia Ferretti che Annarella e i CCCP. Ha ragione chi, in sintesi, afferma, a battaglia finita, che da lontano il palco li ringiovaniva; da vicino, poi, si vedeva che erano loro. Sintesi perfetta.

Il punto di vista di Ferretti
Non c’è niente da fare. Ognuno la pensi come vuole; ognuno vada dove gli pare, ma Ferretti resta un gigante. Canta per oltre due ore, con sapienza. Esordisce con una versione lenta di “Depressione caspica”, più figlia del suo progetto “A cuor contento” che dei CCCP. Scalda la voce con pezzi che lo portano a essere pronto, e in condizione ottimale, per la parte centrale del concerto. Resta sempre concentrato, forse troppo. Non dirà una sola parola tutta sera. Lascerà spazio alle canzoni. Lo aveva detto. Lo ha fatto. Ha mantenuto la promessa. Quando sono con i CCCP, sono il cantante dei CCCP. Così è stato.

Idolo non lo vuole essere, e lo sappiamo, ma voce non può cessare di esserla. Quando canta alcune parole, in realtà le incide, le incista, le tatua sul corpo delle persone. Lo ha sempre fatto, ma questa volta c’è una consapevolezza diversa, quella del peso dell’esperienza di una persona che sa quanto la parola significante sia sempre creativa e incisiva. Merito di quello che è diventato in questi anni, con buona pace dei detrattori. Vadano a sentirlo, anziché trincerarsi dietro ad inutili giudizi. Si accorgeranno della qualità intrinseca di questo grande artista, che non ha eguali, non può avere epigoni, e che ha saputo, ancora una volta, stupire, rinnovandosi senza tradire se stesso e gli altri.

Semplicemente perfetto in “Stati d’agitazione”; sublime nel dittico “Maciste contro tutti” e “Valium Tavor Serenase”, dove quel E voi cosa volete? Di che cosa vi fate? / Dov’è la vostra pena, qual è il vostro problema? scandito con lentezza e potenza, diventa la risposta a tutto quello che c’è stato prima, durante (pur se poco, e solo alla fine), e dopo. “Morire”, attesa da molti, viene scandita con lentezza… produci, consuma, crepa… come fosse lo speaker di un Tg, o la voce al supermercato, mentre si è in coda. Quello che aggiunge al testo, ve lo lascio scoprire.

L’unico peccato sta nel fatto che la band non abbia colto il suo suggerimento di aprire il concerto con “Maciste contro tutti”, ma è anche vero che la sua voce non sarebbe – forse – arrivata così ottimale come è successo nell’eseguirla dopo 10 pezzi. Tutta questa seconda parte esalta la voce di Ferretti, da “Radio Kabul” a “Emilia paranoica”, eseguita senza la spiegazione di Scanzi, ma con il muro sonoro già sentito a Reggio Emilia. Così questa è tornata ad essere una canzone, e non più una suite con tutti gli orpelli tessuti da Scanzi che, ben inteso, ha ragione sul fatto che descriva un’epoca, ma forse l’ha messa giù troppo spessa sul valore generazionale. Poco importa, Ferretti fa capire, con il suo canto, di cosa si tratta davvero in questo testo. Stessa cosa in “Guerra e Pace”, dove la sua parte non solo è di attualità, ma è la sintesi dei tempi che viviamo… da sempre. Su “Radio Kabul” strappa applausi, dimostrando, nel finale, come la sua intelligenza sia di gran lunga superiore a chi gli mette in bocca parole, e in tasca tessere.

Ultima nota positiva, ma ci sarebbero da scrivere pagine e pagine su questo gigante silenzioso e mesto, che esce per primo dal palco, alla fine del concerto, e si concede solo un gesto amichevole, togliendosi il giubbotto da montanaro, sul finale di “Emilia paranoica”, riguarda “Annarella” e “Amandoti”.

La prima, è l’ultima canzone dei CCCP, quella con la quale avevano aperto lo show di Reggio Emilia. Qui viene eseguita in acustico, ed è un momento molto intenso. “Amandoti” è presentata nella versione dell’ultimo Ferretti solista, e cioè con il solo accompagnamento del violino. La piazza canta, e questa volta il Ferretti le emozioni se le è portate tutte via, senza cedimenti, come avvenne nella prima serata a Reggio. Non penso sia rimasto indifferente a 9 mila persone che cantavano in coro questo testo, ricordiamolo, che è dedicato al suo amore per la nonna, che ha curato e accompagnato fino alla dipartita.

Il punto di vista di Zamboni
Sereno, finalmente. È in una grande piazza, di nuovo con un grande pubblico. Era ora. Dopo anni con progetti belli, intensi, ma che spesso non lo hanno valorizzato nel percorso di crescita che ha svolto. Senza tanti forse, è dei quattro quello che è maturato di più. Come stile. Come pensiero. Come suono. Come intellettuale. L’aver dato vita a un sogno, e cioè tornare sul palco con l’amico Ferretti, al netto dei rapporti privati, lo rende davvero completo. Suona come non ha fatto mai. Perfetto, pulito, senza sbavature. Accompagna il canto di quel Ferretti con il quale, da quella stretta di mano a Berlino in discoteca, negli anni ’80, è cresciuto. Nella vicinanza e nella lontananza. Ora le strade sono tornate a unirsi. Cosa accadrà, si vedrà. Per ora c’è questo progetto. Se i CCCP, oggi, sono e saranno, questa estate, su molti palchi, è perché lui ci ha sempre creduto e sperato, sostenuto poi da Annarella, di cui diremo.

Non grattugia più la chitarra, ma suona con piena maturità. I pezzi punk diventano punk-rock, con predilezione per un mondo sonoro meno dozzinale e più pulito. Lo si sente nei due pali portanti di questa impalcatura sonora, e cioè “Maciste contro tutti” ed “Emilia paranoica”, che sono diventate vere canzoni, e non più sfoghi giovanili. Ma anche nei pezzi storici Zamboni fa la differenza, “Stati d’agitazione” è tutta nella sua chitarra; “Spara Jurij” anche; come pure “Radio Kabul”, con suoni ripetitivi, da mantra, che portano a quella maturità che è arrivata con “T.R.E.”. Senza dimenticare le esperienze minimali del suo percorso da solista, libere dall’assenza dell’amico Ferretti, e che sono convogliate nei suoni di “Depressione caspica” (ascoltate “Sorella sconfitta” e vi troverete a casa…), “Annarella”, “Madre”, “Libera me domine”.

Nel finale si diverte anche a cantare “Kebabträume”, dimostrando quello che è un suo limite, con il quale ha convissuto, in questi decenni, con grande serenità: il cantare. Eppure ora anche questo cerchio si è chiuso, in bene. Per capire la maturità raggiunta da Zamboni, ascoltate con attenzione “Andare via”, registrazione live di recente pubblicazione, e leggete i suoi libri. Poi andate a sentire questo concerto. Tutto è lì da vedere, e da ascoltare, sempre se si amano le evoluzioni e le crescite degli artisti. Se si resta legati al passato, alla mano baciata d’un tempo, e si è dei semplice fedeli a oltranza, allora si perdono le sfumature che contano, e che fanno grande una personalità.

Il punto di vista di Annarella
La grande tessitrice. All’inizio appare nervosa. Sa che se questa faccenda non decollerà, una parte di colpa sarà sua. Non per i fan in piazza, catalizzati dal Ferretti che vorrebbero che fosse, non da quello che è. Tutta questa operazione – mostra e réunion – hanno in Annarella l’anima. Aristotelicamente parlando, lei è la funzione razionale, gli altri tre sono, a diverso titolo, quella sensibile e quella vegetativa. Nei primi pezzi si muove. Di più non fa. Poi la quadratura arriva.

Diventa Grillo Parlante e Pensante, e cioè coscienza di una band, di una produzione artistica che i contenuti li ha, e li ha già mostrati, e deve solo rimetterli in scena. Il tutto non come revival, ma nella consapevolezza del presente. Così è stato. Da Benemerita Soubrette, a unica voce della band. Non risparmia nulla a nessuno, nemmeno quando afferma che this is the program, a caro prezzo, dopo aver elencato i famigerati cittadini e cittadine, suo cavallo di battaglia, ai quali aggiunge, teenagers e babys. È finito il moderno, ecco l’età di mezzo. Un calcio alle polemiche. Perché se ha pur senso la polemica del caro prezzo dei concerti, è pur vero che chi fa questo lavoro – non chi suona, ma chi organizza eventi – può capitalizzare ancora per poco.

Chi potrà riempire piazze in questo modo, fra qualche anno? La domanda dell’età di mezzo è questa… Forti del fatto che, dietro alle reti del concerto, un gelato costa 6 euro; un bicchiere di vino 8/10 euro; 2 euro sedersi a un tavolino; 12 un piatto di pasta, e 6 un trancio di pizza. Cittadini e cittadine, parafrasando Annarella, forse davvero c’è da girarsi e capire che l’epoca moderna, quella della classe media forte, è davvero agli sgoccioli.

Ha dell’incredibile che in questa Italia lo debbano venire a dire i CCCP. O forse no? Per il resto, cambia abiti, porta oggetti, e la sua vera performance, che resterà agli atti, è quella preparata per “Curami”: vestita con il Tricolore, accentua ancora di più il senso intrinsecò di quella canzone, che Ferretti canta con tanto di elmetto.

Il punto di vista di Fatur
Lunga vita all’artista del popolo, soprattutto quando il popolo non c’è più. Ed ecco perché appare quello più estraneo ai fatti. Non è colpa sua, ma della desertificazione che c’è stata sul tema del corpo, della performance come forma d’arte, del teatro e della sua esposizione. Che nessuno interpreti questo come un dire, fra le righe, che Fatur non è più in forma. Il suo corpo invecchiato fa da contraltare a quanto Ferretti ha affermato in conferenza stampa: siamo vecchi. Ciò non toglie che si abbiano idee, contenuti e forza espressiva anche in questa età. Lo dimostrano tutti e quattro, ma la nostra epoca è quella della sovraesposizione del corpo. Una stagione di tecno corpi, di cyborg di carne, che pedalano per 6 ore; che fanno ginnastica; che praticano arti marziali o discipline militari. Il tutto per non invecchiare. Fatur è invecchiato, e non se ne fa una colpa, e neppure teme il pubblico. Semmai è il pubblico che guarda a Fatur come oggetto misterioso. Ed è sempre stato così, a ben vedere. Fatur faceva cose, spiegava Ferretti a Reggio Emilia. Così è stato.

Anche per lui due momenti che resteranno. Fatur cyborg e terminator, e cioè soldato tecnologico, su “Guerra e pace”; e Fatur performer/vocalist-cantante in “Vota Fatur”, pezzo mescolato con il classico dei CCCP, e con un poco del suo mondo sonoro. Consiglio vivissimo: ascoltate con attenzione i suoi album da solista. Farete una bella scoperta.

In conclusione, non andate a sentirli se sperate di ascoltare la copia dei CCCP degli anni ’80. Per far quello prendetevi il live inedito “Altro Che Nuovo Nuovo” uscito qualche mese fa (la nostra recensione). Quello al quale assisterete è uno spettacolo rock vero; un vero concerto di una band che, pur se disseminata, negli anni ha lavorato per evolvere, crescere e migliorare, in silenzio. Come cellula dormiente. Ora si è risvegliata, ed è in giro con una proposta musicale da far invidia a chi cerca di fare Rock in questa dannata epoca.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana

Set list CCCP a Bologna 21 maggio 2024

  1. Depressione caspica
  2. Rozzemilia
  3. OH! Battagliero
  4. Tu menti
  5. Per me lo so
  6. Morire
  7. Stati d’agitazione
  8. Libera me domine
  9. Madre
  10. Maciste contro tutti
  11. Conviene
  12. Valium Favor Serenase
  13. Radio Kabul
  14. Punk Islam
  15. Reclame
  16. And the radio plays
  17. Guerra e pace
  18. CCCP
  19. Curami
  20. Emilia paranoica
  21. Bang bang (My Baby Shot Me Down)
  22. Spara Juri
  23. Vota fatur
  24. Annarella
  25. Annarella
  26. Mi ami?
  27. Allarme
  28. Kebabträume
  29. Amandoti
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