A masticare un po’ di Punk Rock, i Dropkick Murphys sono una di quelle band che hai sempre come minimo sentito nominare. Per questo, quando l’unica data italiana del loro tour estivo è stata annunciata per il 9 agosto scorso al Parco della Musica di Padova, mi sarei aspettato di sentire per le vie della città discorsi entusiastici, frotte e frotte di appassionati che fanno a gara per accaparrarsi gli ultimi biglietti, alberghi intasati e lunghe file di fan a piedi a bordo strada in lento avvicinamento al parco la sera del concerto. Invece così non è stato. Niente discorsi entusiastici ma di calda approvazione, di compartecipazione, quasi si parlasse di qualcuno di famiglia.
Molte persone ai cancelli, sì, ma non folle oceaniche. La ragione, anche se paradossale, è abbastanza chiara, ma la si riconferma parlando con chi al concerto ha partecipato: I Dropkick sono dei vecchi amici, mi spiega Enrico sarà la quinta volta che li vedo dal vivo. Giovanna mi parla della prima vola che li ha visti, sempre a Padova, a un altro importante festival appena qualche anno fa, e Alessandro ricorda quando ha cercato la colonna sonora di The Departed, che aveva visto al cinema, solo per la canzone “Shipping up to Boston”. La ragione è tutta in queste parole: delle band di alto livello, forse nessuna è presente e sollecita nell’immaginario e nell’esperienza del proprio pubblico come i Dropkick Murphys.
Contare quanti concerti abbiano fatto dalla loro fondazione nel ’96 fino ad oggi è tanto superfluo per loro quanto lo è per qualsiasi altra band, ma la capacità dei Dropkick Murphys di coprire più volte negli anni ogni più remoto angoletto se non altro degli Stati Uniti e dell’Europa è davvero impressionante: Padova non è certo New York, eppure, parlando con le persone durane il concerto, ci si rende conto di quanto ognuno di loro ricordi almeno altri due concerti dei Dropkick in città, e ancora altri nei paraggi, negli ultimi vent’anni.
Quindi il paradosso è questo: malgrado sia una band che senza la minima ombra di dubbio vale la pena di vedere, famosissima e genuinamente amata, non suscitano entusiasmo estremo nei loro appassionati, perché con ogni probabilità la maggior parte di loro li ha già visti, e se così non è, si ha quasi la certezza che li si potranno vedere ancora.
I Dropkick Murphys sono così una specie di stella, sempre fissa nel cielo, la luce sempre brillante con pari intensità di anno in anno, troppo inamovibile ed eterna per poter perdere un briciolo di luminosità… E poi c’è un’altra questione. Al di là dell’irish Folk in salsa Oi!, che, per lo meno in Europa, fa sentire a casa anche se non si è irlandesi, i Dropkick sanno parlare alla pancia di chi nella periferia di una grande città industriale ci è cresciuto.
Riportano la mente di chi li ascolta ai concerti incasinati nei capannoni occupati di qualche festival vissuto in gioventù, ti sbattono dritta in faccia quell’energia da ragazzi un po’ rudi e un po’ di cuore che ognuno vorrebbe poter dire di essere, sempre che non lo sia davvero.
Ora, non c’è bisogno di dirlo, si tratta di una costruzione, di un immaginario evocato per chi ascolta… ma sarebbe ingenuo credere che non ci sia qualcosa di reale dietro una simile immagine per la band che l’ha creata. Se si deve dar retta a Wikipedia, i Dropkick Murphys “non hanno mai fatto musica politicamente schierata”. Ecco, questa è ingenuità… o forse superficialità e necessità di aggiornamento, visto che il penultimo album della band di Boston è intitolato “This Machine Still Kills Fascists” (la nostra recensione).
E ci può stare che qualcuno dica che si può universalmente deprecare il fascismo senza essere schierati politicamente. Ma, a parte che bisognerebbe capire cosa si intende per “essere schierati”, se significhi prendere la tessera di un partito o parlare di ingiustizie e soprusi chiamando le cose col loro nome e indicando la direzione da cui arrivano, non occorrono gli sfoghi pubblici di Ken Casey contro il complottismo di estrema destra negli Stati Uniti per capire che la realtà è diversa da quella che racconta Wikipedia.
Basta ascoltare i testi delle loro canzoni, o sapere che alcuni dei loro più grandi successi li hanno mediati da Woody Guthrie, che per chi ha vissuto sulla luna negli ultimi 60 anni è IL cantore americano del socialismo e dell’antifascismo. Basta ascoltare anche il loro ultimo lavoro “Okemah Rising” (la nostra recensione) per capire.
Per questo a una band come i Dropkick Murphys si perdona anche un pelino di fiacca che non può mancare, al culmine di un tour europeo che non si arresterà prima della fine di agosto, con date a cadenza quotidiana a centinaia di km di distanza l’una dall’altra. Che dire… consigliatissimi: se non li avete visti fiondatevi la prossima volta che passano vicino a voi. E succederà: la parola “rallentare” i nostri non sanno neanche cosa vuol dire!
Articolo di Riccardo Cecconi, foto di Roberto Fontana
Set list Dropkick Murphys 9 agosto 2023Padova
- Lonesome boatman
- The boys are back
- Prisoner’s Song
- I know how it feels
- Johnny, I hardly knew ya
- Sandlot
- Paying my way
- Citizen C.I.A.
- You’ll never walk alone
- The warrior’s code
- Never git drunk no more
- Flannigan’s ball
- Gotta get o peekskill
- Run Hitler run
- The bonny
- Going out in style
- State of Massachussets
- Sunshine Highway
- Skinhead on the M.B.T.A.
- Out of our heads
- Worker’s song
- Rose Tattoo Barroom hero
- Shipping up to Boston
- Until the next time