Sentire Duff McKagan dal vivo in una situazione tutto sommato intima come i Magazzini Generali a Milano il 16 ottobre è stato un toccare base, come dicono gli americani, con il viaggio di una persona più che con la Storia. Infatti lo spettacolo dell’ex Guns N’ Roses, ed ex molte altre cose, è ben lungi dall’essere un revival dei bei tempi andati, ma è la messa in scena del percorso musicale che McKagan, polistrumentista, autore e cantante, ha saputo allestire a valle dell’esperienza anche devastante fisicamente della militanza nella band californiana. Abbiamo parlato qui del suo album “Lighthouse”, sul quale il concerto si fonda in gran parte, che restituisce una dimensione musicale più soft Rock e intimista e tematiche personali e sociali alle quali l’ex bassista – non ha imbracciato il basso neanche per un brano – ci ha abituati.
Nessun gruppo di supporto, al saluto della folla appare la band con Duff nel suo metro e novantuno, capelli con colpi di sole, viso spiegazzato dai passati abusi, occhiali scuri e completo nero con camicia e giacca. Imbraccia un’acustica fiammeggiata rossa e apre con “Forgiveness”, inno corale al perdono con doppie voci da parte della band, che si mostra navigatissima anche perché siamo in una fase inoltrata del tour, e propone un sound pieno e ricco basato sulle chitarre di McKagan, che pur cantando tutti i brani non sta mai senza una chitarra in spalla, Tim Dijulio e Jeff Fielder, che si divide fra una chitarra “diavoletto” e le tastiere, e sulla batteria di Michael Musberger.
Menzione a parte per il basso semiacustico di Mike Squires che è in realtà un chitarrista, prestato qui a linee di basso che però fanno vibrare la sala. Chissà perché il bassista di un bassista che suona la chitarra è un chitarrista che suona il basso? Ossessione chiastica, legge del contrappasso o deliberata esclusione dei bassisti purosangue? Ai poster, o “poste” come dice il diversamente italiano all’uscita dei Magazzini Generali che vende stampe non autorizzate della band, l’ardua sentenza.
Si prosegue senza annunci in mood classic rock con “Chip Away”, con l’headliner che si staglia fra luci blu e chiama il pubblico a partecipare battendo le mani. “This Is the Song” è il terzo brano, ballad country acustica con un crescendo fino a un pieno musicale che vede Duff molto preso nel ruolo di interprete, forse perché canta di una catarsi musicale che nella comunione con il pubblico si compie ogni sera. Finalmente, prima di “I Saw God on 10th St.” il pubblico sente pronunciare una parola, un “grazie” in stentato italiano. In questo brano finalmente ritmico si scatena Dijulio con la sua Les Paul Junior anche se con un “obbligato” di accordi. McKagan si rivolge finalmente al suo pubblico ringraziando in italiano la sua “Malano”, ma chiedendo esplicitamente di poter passare all’inglese, e fa male, perché dalla posizione in cui sono non riesco a cogliere la dedica della prossima canzone.
Tolti gli occhiali scuri vediamo finalmente quanto può essere cool un uomo nei suoi 60 anni malgrado tutte le sfide che il suo corpo, oggi allenato dalle arti marziali e dal mountain biking, ha dovuto affrontare. “Tenderness”, dall’album omonimo, che musicalmente può ricordare “Knocking On Heaven’s Door”, è in realtà un richiamo e un grido di aiuto alla Tenerezza, forse scritto durante la malattia della madre che se ne è andata un anno dopo l’uscita dell’album, o più probabilmente invocazione universale visto l’album socialmente e politicamente impegnato da cui proviene. La romantica “Feel” viene attaccata direttamente senza pause, ed è seguita da “Holy Water”, meno soft ma sempre in area rock pre-metal con sonorità stonesiane, per proseguire con la cover di “I Wanna Be Your Dog” degli Stooges, in cui la band e il pubblico si accendono, lasciando McKagan però sempre molto composto, e con “I Just Don’t Know”, incisa con Jerry Cantrell degli Alice In Chains, ballata country acustica. Dijulio si è liberato di giacca e cappello ma lascia l’assolo di chitarra a Jeff Fielder.
Per “Fallen Ones”, epicedio per i caduti della società, viene abbandonata la acustica sunburst in favore di una nera Gretsch Rancher Falcon, dimostrando un’attenzione per strumenti particolarmente ricercati anche nell’estetica, e sprecata qualche parola per ricordare che all’autore piace scrivere di cultura, storia e società ma che la cosa più bella è vedere persone insieme che “give a shit about each other”. Anche Dijulio ha cambiato “ascia” e si lancia nell’assolo su una Telecaster. Però per il brano seguente, “Fallen”, Duff ci tiene a precisare che OK la storia e la cultura, ma lui ha un cuore così per sua moglie Susan, e che in questa canzone vuole celebrare la loro unione. Malgrado l’argomento sdolcinato, l’assolo nella “coda” è epico e ricco di effetti. Con “Wasted Heart” si torna all’album “Tenderness” e Dijulio torna alla Gibson, mentre Fielder, che ha decorato la canzone con tirate di corda che suonano come pedal-steel, chiude con il suo assolo.
A questo punto il caldo si fa sentire sul palco, o forse la parte più ritmica del set chiama il cambio, e McKagan toglie la giacca restando in elegante camicia nera. Ci fa notare come ci abbia tenuto a vestirsi bene per presentarsi a un pubblico italiano, con approvazione della moglie che nel suo racconto autorizza l’outfit: “Cosa ti metti a Milano?” “Mi metto la giacca” “Ah, OK”. Ma malgrado il fatto che ci troviamo nella terra di Armani e l’uomo che abbiamo di fronte sia un family man sessantenne, il tatuaggio fatto nel 1987 con le pistole incrociate sormontate da una rosa è incancellabile e al grido “Are you ready to fucking rock?” imbraccia la sua chitarra perlata e lancia la band in “Longfeather”, brano sui nativi americani che apre la parte più ruvide del concerto. “Just Another Shakedown”, “I Fought the Law” dei Crickets, e finalmente l’unica concessione al passato “You’re Crazy” dei G’n’R fa scatenare inevitabilmente il pubblico ma anche gli strumentisti sul palco.
Si torna a sognare con la onirica e marina “Lighthouse” e la acustica rossa fiammata, mentre Fielder si alterna fra organo e chitarra, e una persona sul palco di cui ignoro l’identità ma sospetto sia un addetto a basi registrate fa in questo brano in modo abbastanza distinguibile partire un coro di voci registrate che rafforza il lavoro ai microfoni dei tre chitarristi. Su questo brano viene presentata la band e fatto cantare il pubblico, che fa dimenticare le voci supplementari, e ancora una volta Dijulio dà l’anima con un assolo ricco di carattere. La canzone che segue è una cover, “You Can’t Put Your Arms Around a Memory” del compianto Johnny Thunders, che sfocia senza pausa in “Heroes”, altra cover del brano di David Bowie che è uno dei momenti interessanti dell’album anche se forse per timore reverenziale viene eseguita molto fedele all’originale, quasi si trattasse di una anonima cover band.
“Don’t Look Behind You” è un’altra ballad che vede prima il solo di Fielder con la sua chitarra diavoletto, poi un duetto fra lui e Dijulio e infine un solo di quest’ultimo, durante il quale la star si concede il contatto col pubblico scendendo senza chitarra a salutare le prime file per poi risalire atleticamente sul palco e ringraziare ripetutamente. Al lancio di plettri, bacchette e altro segue il frettoloso smontaggio del palco senza concedere nessun bis, e mi chiedo se i fan fedelissimi di McKagan non siano rimasti, anche se nutriti da ottima musica con pochissime sbavature, un po’ delusi da un calore solo quasi da copione e da poche concessioni extra, sapendo delle ospitate e delle esecuzioni avvenute in altri momenti del tour.
Articolo e foto di Nicola Rovetta
Set List Duff McKagan Milano 16 ottobre 2024
- Forgiveness
- Chip Away
- This is the Song
- I Saw God On 10th St.
- Tenderness
- Feel
- Holy Water
- I Wanna Be Your Dog (The Stooges cover)
- I Just Don’t Know
- Fallen Ones
- Fallen
- Wasted Heart (Duff McKagan’s Loaded)
- Longfeather
- Just Another Shakedown
- I Fought the Law (The Crickets cover)
- You’re Crazy (Guns N’ Roses)
- Lighthouse
- You Can’t Put Your Arms Around a Memory (Johnny Thunders cover)
- Heroes (David Bowie cover)
- Don’t Look Behind You