Nella botte piccola c’è il vino buono. Così si dice. Se applichiamo alla musica il noto adagio possiamo affermare che nel piccolo Teatro Comunale Ferdinando Bibiena di Sant’Agata Bolognese (Bo), all’interno di una stagione teatrale di alto profilo, c’è stata una splendida serata con la buona musica di Enzo Gragnaniello. Espressione del cantautorato classico italiano, e cioè quello dove la parola cantata ha senso e significato, Gragnaniello porta con se anche l’eredità della ricerca musicale. Questo mix, che lo avvicina di più a De André che a Guccini, fa di Gragnaniello uno dei tesori nazionali che, per essere visto e ascoltato dal vivo, va ricercato fuori dai grandi circuiti. Terzo elemento di ricchezza, poi, l’uso della lingua madre, il napoletano. Un volgare, per volare alti, dove l’eloquenza è garantita, perché il nostro è uno dei grandi eredi della musica nato all’ombra del Vesuvio e, allo stesso tempo, uno di quelli che hanno saputo traghettarla ben oltre i suoi confini.
Il concerto di venerdì 3 febbraio, dunque, è stato un vero gioiello, per parole e musica, incastonato all’interno di una grande corona che è quella della musica partenopea. Vale la pena ribadirlo. Palco contenuto, giusto per ospitare Gragnaniello al centro, con chitarra, e i fedelissimi Piero Gallo (mandolina elettrificata) ed Erasmo Petringa (violoncello, ma non solo); platea e galleria intime, giusto per dare ospitalità un pubblico preparato, composto e rispettoso del clima che necessitava questa esibizione. La scaletta, poi, è stata un ottimo condensato della musica del cantautore napoletano, arricchita dai brani che sono eredità della sua preziosa collaborazione con Mia Martini.
Non si perde in grandi chiacchiere Gragnaniello. Saluta con un cenno della mano, alza il cappello come gli artisti di strada, e si parte. Farà parlare la sua musica, la sua poesia e la sua arte. Sì, qui serve scomodare i termini alti, senza timore di naufragare, perché di artisti così, in Italia, ne sono rimasti pochi, anzi pochissimi, e sono ciò che resta di una stagione nella quale la musica non era solo intrattenimento, ma veicolo di pensiero. La poesia per me è disinfettante dell’anima dirà lo stesso Gragnaniello durante l’unico momento parlato della serata, quasi timoroso di aggiungere altro a quanto già di profondo sta proponendo.
E chi pensa che la lingua madre sia un limite – la maggior parte della scaletta prevista per il concerto è di brani in napoletano – sbaglia, perché quando la fusione è perfetta, come nel caso della proposta musicale della serata bolognese, allora il senso emerge, si diffonde, e si dà a sentire (in questo caso) senza alcun bisogno di traduzioni, sottotitoli o declinazioni. E così il napoletano, lingua musicale per eccellenza, diventa lingua universale che racconta una poetica del mare, dell’amore, della solitudine e delle vite che sono degne di essere cantate.
Ecco la chiave interpretativa di questa musica, eseguita non unplugged, come può sembrare dalla formazione, ma come esperienza sonora che passa dal cantato al suonato, senza sosta alcuna. Un divenire melodia che è sempre stata una delle cifre stiliste del nostro. Un cantato quasi a cantilena, come un mantra, come una preghiera che chiama a sé i fedeli. Una vera esperienza sonora. Qui, questa sera, si parla di sentimenti e di vite che si sanno meritare questo canto. È il caso della bellissima “Vasame”, ma anche di “Lo chiamavano vient’e terra”. E l’inizio, dunque, è già presenza che conta, che chiede attenzione perché la musica avvolge, mentre le parole scavano.
L’interpretazione di “Cu’mme” – presente anche nel live di recente pubblicazione per Hydramusic (credete a ‘mme, prendetelo!) – è davvero pura bellezza. Non c’è altro da dire. Il testo è una poesia. Nelle orecchie tutti abbiamo la versione immortale – ovviamente – di Murolo e della Martini, ma quella proposta da Gragnaniello è ancora più intima. E ancor più lo è qui, in questa versione essenziale con la quale voglio ricordare un grande cantore del Sud. La sua voce, trascinata su alcuni passaggi, soprattutto quelli del ritornello, danno corpo e linfa a una condizione esistenziale che questo brano ha reso eterna: Ah come si fa / a tormentare l’anima che vuole volare / se tu non scendi in fondo / non lo puoi sapere. Un condensato di quello che la filosofia esistenzialista ha cercato, in pagine e pagine, di descrivere. Qui sono bastate poche parole. Pura bellezza, l’ho detto subito. E dove dire che questo ritornello, cantato in solitario da Gragnaniello, ha il merito di brillare di luce propria, nel vero senso della parola. In lui, infatti, tradizione e innovazione convivono in perfetto equilibrio. Ecco la parola giusta, equilibrio. Quello di Sant’Agata Bolognese è stato un concerto di perfetto equilibrio, sapientemente fatto emergere dai tre sul palco.
Altri due omaggi a Mia Martini saranno fra i momenti davvero più intensi della serata. Non fraintendiamo, Gragnaniello ha scritto per Mia Martini e, dunque, non ricorre al lavoro d’altri, ma al suo, e che qui viene proposto come è stato pensato e partorito dallo stesso artista generatore. “Donna”, dunque, è un testo da far riscoprire. Solo a gennaio già sette sono le donne che hanno perso la vita in modo violento. Quella che fu una canzone fuori coro, anni fa, oggi è purtroppo pura attualità della nostra quotidianità. Questo, che piaccia o no, è il compito dell’arte, e anche della musica dunque, quello cioè di saper intercettare i grandi temi dell’epoca nella quale si trova a vivere. Non è possibile che ci sia sempre e solo glamour, vetrina, brillantini e tormentoni. L’arte ci deve dire qualcosa, e la musica di Gragnaniello ha sempre avuto anche questa finalità, e cioè di non essere solo superficie, ma vetta, cima, ricerca di un senso. E il cantautore napoletano, non va dimenticato, è fra gli artisti in grado di fare questo, di produrre la differenza.
Non è un caso, dunque, che il connubio con la Martini funzionò bene, dando vita e voce anche a questo testo particolare che, oggi, risulta ancora purtroppo attuale. Sentirlo poi in questa esibizione solista consente di capire che Gragnaniello ha scritto sì per la Martini, senza dubbio. Ma la sua produzione, lo sgorgare del senso della sua poetica, non era limitata a lei. C’è chi scrive per una voce sola, e c’è chi scrive musica eterna. Per tutti. Popolare. Questo il senso, insomma. La canzone, dunque, è davvero di tutti, sua, tanto quanto della Martini. Allo stesso tempo nostra, e cioè di tutti. Popolare. Nel senso di canzone del popolo e per il popolo.
Come “Cu’mme” d’altronde e, per certi versi, quello che sarà il vero bis finale del concerto, e cioè “Rose’”. Il suggerimento arriva diretto dal pubblico, e a differenza di altri brani che sono richiesti a voce alta nell’unico momento indisciplinato (si fa per dire…) degli astanti, questo viene accolto dal cantautore che, ottenuta la conferma dai suoi sodali, parte a suonare. Sarà un bel dono, anche se non del tutto inatteso ai molti fans assidui (c’è anche nel recente live di Hydramusic), e che rimanda inevitabilmente all’ascolto, sulla via del ritorno, della versione a due voci.
Nel mezzo, e cioè fra questi grandi macigni, Gragnaniello distilla pezzi suoi fra i più noti, come la splendida “Alberi”, brano proposto con Ornella Vanoni, preso dall’omonimo album del 2003. Uno dei suoi capolavori, un’opera matura e ricca, anche in questo caso, di grandi temi d’attualità. In scaletta, poi, c’è anche “Indifferentemente”, canzone nata forse con l’intento di trovare un ritmo commerciale, e per avere gloria in circuiti musicali che, però, hanno sempre tenuto Gragnaniello ai margini. È il caso anche del penultimo album, “Lo chiamavano vient’ ’e terra”, un vero concentrato di poesia e pensiero; un lavoro che ha ottenuto successo, come sempre, al Tenco, ma che avrebbe meritato riconoscimenti al pari dei grandi album ormai celebrati dalla critica di settore.
La serata vola via, letteralmente. Però si esce più ricchi di quanto lo si era entrando. Si esce ricchi di bellezza. Di buona musica. Di arrangiamenti nient’affatto minimali. Di suoni significanti. Il tutto in un piccolo teatro – un gioiello – di un piccolo comune. Ci sarà spazio, poi, per un saluto ai musicisti, con un tè caldo fra le mani, sotto i portici di questo piccolo paese bolognese, patria della Lamborghini e, per questa sera, capitale della buona musica d’autore.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Moris Dallini
Set list Enzo Gragnaniello Sant’Agata Bolognese 3 febbraio 2023
- Lo chiamavano vient’e terra
- Mare
- Continuerò
- Vasame
- Cu’mme
- Indifferentemente
- Brano strumentale
- Intermezzo
- L’erba cattiva
- La casa con il cancello
- Donna
- Senza voce
- Passione
- Alberi
- Guardo il mare
- Rose’