Quando ho avuto la conferma che avrei partecipato al concerto degli Escape The Fate, il 1 giugno alla loro seconda e ultima data italiana tenutasi al Legend Club di Milano, ho subito avuto la sensazione netta che avrei iniziato la stagione estiva col botto, e il mio sesto senso non mi ha mentito nemmeno questa volta: l’evento di casa Hellfire Booking ha, per l’ennesima volta, dato una bella scarica di adrenalina al circondario e a tutti coloro che erano presenti, venuti anche da molto lontano; chi non c’era si è perso veramente qualcosa di forte. Arrivo in anticipo, decisamente, sia perché è nel mio modus operandi sia perché non voglio assolutamente perdere il mio posto in transenna: molti fan hanno avuto la stessa idea e siedono ai tavolini del giardino esterno in attesa di entrare. I più fortunati hanno incontrato anche alcuni componenti della band, come il frontman Craig Mabbitt e il chitarrista Matti Hoffman, che si prestano amabilmente per selfie e strette di mano, per la gioia di chi ha incrociato il loro passaggio in giardino.
Con l’avvicinarsi del momento dell’apertura, i fan si mettono in coda scalpitando e facendo pronostici sulle canzoni che saranno in scaletta; la sala del Legend ci aspetta, è subito una corsa al posto migliore, e vi assicuro che andrà custodito coi denti. Tre, tutti italiani, gli opener che hanno il compito di scaldare gli animi: partono i Fragments Of Sorrow, giovane ed energica band metalcore milanese, formata nel 2018, i cui brani in scaletta sono caratterizzati da potenti riff, voci sia melodiche che gutturali e tutte le sonorità tipiche del Metalcore moderno. Anche se la sala concerti non era ancora strapiena, questi ragazzi hanno saputo tenere e riscaldare per benino il pubblico presente, comunque in discreto numero.
Grande coinvolgimento e carisma da parte del gruppo successivo, ossia i Deaf Autumn da Frosinone: nascono nel 2013 da tre vecchi amici musicisti che si riuniscono in un power trio post- hardcore dalle influenze punk, rock e nu metal, nel tempo si aggiungerà anche un quarto elemento. Il loro intento è chiaramente quello di coinvolgere i fan e stabilire un contatto con loro attraverso musica e testi: vivaci e sempre in movimento sul palco, ci riescono molto bene, anche grazie alla loro simpatia e le risate che ci strappano con le loro battute tra un brano e l’altro. Tra l’altro, accontentano il più possibile le richieste di un souvenir da parte del pubblico, fioccano plettri finché ce ne sono, e quando questi finiscono arrivano anche delle carinissime spillette.
Il cambio palco per i terzi opener, i Deep As Ocean, è meticoloso, seguito personalmente dagli stessi artisti e davvero nulla è lasciato al caso. Moderna band della scena milanese, meglio descritta come una miscela di Nu e Metalcore melodico, dal 2016 si impegna per consolidare il proprio posto nella scena musicale mondiale. Co-fondati dai due fratelli Buttò, batterista e chitarrista, ai Deep As Ocean si aggiungeranno poi il carismatico vocalist, il bassista e un secondo chitarrista. Vantano, a oggi, più di 2,5 milioni di stream collettivi su Spotify e si sono esibiti con rinomate band metal come i Sharks In Your Mouth e i Blood Youth; durante la loro esibizione al Legend, scaldano animi e ambiente chiamando il wall of death e facendo saltare tutti con la potenza dei loro suoni.
Si stanno ancora smontando gli strumenti dei Deep As Ocean e già il pubblico freme per gli headliner, gli Escape The Fate; è tutto un sussurrare Sei pronto? Sei emozionato? Che gira per la sala, che nel frattempo si è riempita in modo significativo e altri continuano ad arrivare. Il service non fa neanche in tempo a posizionare la scaletta cartacea nei pressi della transenna che tutti allungano i cellulari per fotografarla, chi non ci arriva passa il telefono a quelli davanti, chi fotografa i cellulari altrui, chi chiede ad alta voce se è presente questa o quell’altra canzone. Dalla porta del camerino, rimasta leggermente socchiusa, si intravedono gli artisti che si preparano a entrare in scena, lunghi capelli che vengono slegati, un passaggio veloce del frontman che fa sì che tutti inizino a reclamare il loro ingresso.
Gli Escape The Fate sono una band post- hardcore con una chiara impronta emo di Las Vegas, attivi dal 2004 e tornano in Italia dopo quattro anni. Vantano collaborazioni con Travis Barker dei Blink 182, guadagnano più volte un posto nelle varie classifiche Billboard, vincono un contest radiofonico che vede come giudici i My Chemical Romance, hanno all’attivo sette album e stanno lavorando, come riveleranno durante il concerto, all’ottavo che uscirà nel settembre di quest’anno. Ed ecco che i tanto attesi artisti fanno il loro ingresso, accompagnati dall’intro di “Choose Your Fate”, sorridenti, freschi e carichi come molle.
Quando hai già perso metà della voce ancor prima che inizi l’esibizione, tanto sono forti le urla che accolgono questa potente band, sai che sarà una buona serata. La folla darà il massimo, per tutta la durata del concerto, esattamente come gli Escape The Fate. Un set impeccabile, il loro, eseguito alla perfezione (seppur con qualche iniziale problema per il microfono del vocalist) da musicisti esperti e preparati.
Ognuno di loro rappresenta le varie sfaccettature dello stile di questo gruppo: il lato emo con il giovane chitarrista Matti Hoffman, cresciuto egli stesso ascoltando questa band durante la sua adolescenza, suoni potenti e dolce espressione del viso assorto in esecuzioni sempre perfette, vestito di nero come l’energico bassista Erik Jensen; gli altri tre componenti illustrano meglio il lato viscerale e metalcore del gruppo, come il chitarrista Tj Bell, classe 1989, vigoroso concentrato di energia e muscoli che guizzano sotto la pelle tatuata e lucida di sudore. Ragazzo ribelle, mi riserverà un dito medio alzato al suo accorgersi di essere inquadrato, con tanto di linguaccia e sorriso compiaciuto: lo prendo come un privilegio, essendo l’unica a cui si rivolgerà in questo modo in tutta la serata.
La scaletta propone alcuni tra i migliori brani della loro carriera, come “Broken Heart”, ed è impressionante assistere a una performance così pulita. Gli artisti mantengono un’ottima presenza scenica, il pubblico è entusiasta e non potrebbe essere che così, data l’ottima e costante interazione con loro, con Craig Mabbitt che racconta, durante uno dei brevi e rari momenti di pausa, aneddoti della cena e si diverte un mondo a veder rabbrividire i fan al sentir nominare improbabili accostamenti di pasta e pizza. Si diverte anche a posare davanti ai cellulari di chi sta facendo video, con smorfie e sorrisi infiniti per tutti. Dietro a questi sorrisi, però, c’ è una preparazione tecnica di alto livello, con passaggi tonali decisi e senza ombra di sbavature o cali di prestazione in una di quelle che è senza dubbio una delle migliori performance vocali di Mabbitt.
Non c’ è brano in cui il pubblico non partecipi calorosamente, li conoscono tutti, li cantano tutti, li amano tutti, ma chissà perché, le prime note di “Ashley” vengono accolte da un frastuono che non mi stupirei si fosse sentito fino in centro città. Un terremoto vero, fatto di anime in tumulto e urlanti, pervade il Legend in quel momento, e non c’è telefono che non si alzi a fare un video, non c’è persona che non urli le parole ; persino da dietro il backstage, dal camerino, si vedono spuntare artisti precedenti armati di telefono, chiunque era lì per “Ashley”.
Let’s make this place wonderful, dice Mabbitt al microfono chiedendo di accendere le luci dei cellulari, che ondeggiano nel buio in uno spettacolo emozionante. Dal canto mio, mi ritrovo di consueto spalmata in transenna, a reggere una macchina per mano; l’alternativa sarebbe spalmare anche loro , ma mi prodigo sempre perché questo non succeda. Ho temuto però quando Tj Bell, proprio di fronte a me, decide di mettersi in piedi sulla transenna, con la chitarra a tracolla, e chinarsi per salutare e stringere le mani ai fan alle mie spalle: tenetelo forte, supplicavo tra me e me, che se cade è un disastro.
Il frontman percorre più volte il palco osservando attentamente la sala, durante “This War Is Ours” : ha tutta l’aria di voler effettuare uno dei suoi crowd surfing, che invece non farà, purtroppo. Il concerto volge al termine senza nemmeno rendersene conto, dopo l’ultimo brano gli Escape The Fate tornano dal backstage in un tripudio di applausi; Tj Bell si attarda a salutare e assorbire ancora un po’ dell’energia esplosiva del Legend, si distoglie dal microfono e chiede, ad alcuni fan alla mia destra, suggerimenti per tradurre I love you in italiano. Gli viene detto, e quindi esordisce con un fortissimo Ok, ti amo! e nel delirio generale segue i suoi compagni in camerino.
Per concludere in bellezza, il potente motore della band Robert Ortiz, che con la sua bandana da pirata si è impegnato con l’anima sui tamburi , rende omaggio al direttore d’orchestra che è in lui e sulle note di “We Are The Champions” , con le bacchette in mano, finge di dirigere la musica, per poi lanciarle a sorpresa creando non poco scompiglio nel pubblico.
Un concerto così non è stato sufficiente a nessuno, dovranno tornare da noi. Tutti restii ad allontanarci dalla transenna, ancora vibranti di musica, credo che saremmo rimasti l’intero fine settimana chiedendo a gran voce (mi correggo: chiedendo con quel poco di voce residua) one more song! fino a quando non saremmo crollati dalla stanchezza. Ne sono sicura.
Articolo e foto di Simona Isonni
Set List Escape The Fate Milano 1 giugno 2023
- Gorgeous Nightmare
- Issues
- The Flood
- Lightning Strike
- Just A Memory
- Ten Miles Wide
- Ungrateful
- H8 Myself
- Low
- Something
- Ashley
- Broken Heart
- This War Is Ours
- One For The Money