First impressions are hard to erase. It’s in my mind and it just won’t go away …
Questa strofa, tratta da una canzone della magnifica band che andremo a ritrovare oggi, la dice lunga sul sentimento che si prova quando la si incontra live per la prima volta (il nostro report): resta nella mente, e nel cuore ti lascia un graffio che non se ne andrà, lo porterai per sempre con te. Dal quel momento in poi aspetterai solo di incontrarla di nuovo, e oggi vi parlerò di quanto sia stata emozionante e indimenticabile la mia seconda volta al loro cospetto. Come per la prima volta, il concerto si terrà al Legend Club di Milano, domenica 14 luglio: è un pomeriggio estivo di una luce accecante, non c’è nessuno nel Parco Nord, solitamente affollato di bambini, sportivi, persone che semplicemente cercano un momento di relax nella natura. Le uniche persone presenti e che arrivano alla spicciolata sono i primi fan della serata, riconoscibili dall’abbigliamento emo, goth, ciuffi colorati, trine nere, calze a rete, e soprattutto l’espressione di chi vorrebbe prendere a calci l’orologio per mandarlo direttamente all’ora X
Aspetto davanti alle porte di incontrare questi purosangue della scuderia Hellfire, ma dopo il loro soundcheck gli Escape The Fate scorrazzano liberamente nel prato attorno al locale, belli come il sole, mostrando immediatamente quel loro lato umano ed estremamente disponibile al contatto con i fan: posano con loro per mille selfie, firmano mille autografi, dispensano abbracci, sorrisi, ascoltano chiunque abbia da raccontare loro qualcosa e rispondono amabilmente a complimenti e gridolini. Anche per questo ne siamo innamorati perdutamente. Simona, sarai mica di parte? Eh, un pochino sì, concedetemelo. Cuori accelerati già molto, molto prima della loro esibizione dunque, per la quale dobbiamo però aspettare ancora una manciata di lunghissime ore, ma tre band ci aiuteranno a ingannare l’attesa, rendendola meno pesante.
Partono per primi i giovanissimi Orbitlane, che ci presentano il loro Metalcore made in Venezia: giovanissimi sì, ma con tanta voglia di crescere e con le carte in regola per riuscirci. Ispirati a grandi nomi come gli Architects e i Polaris, salgono sul palco con la freschezza dei loro verdi anni e l’emozione di infiniti sogni da realizzare, eseguendo i loro brani con tanto tanto cuore e impegno, come si addice a formazioni più mature.
Cinque le tracce in scaletta, si parte con “Tidal Waves”, il cui inizio melodico e suggestivo, seguito subito dopo da tonanti riff, un growl di tutto rispetto e ancora da parti melodiche, ricorda appunto l’andamento della marea e crea un primo contatto col pubblico, per buona parte del quale questi ragazzi sono una novità assoluta.
Più malinconica “Daybreak”, mentre “Bathe Me In Gold”, title track di quello che sarà il loro debut album ancora in fase di lavorazione, vede la sala del Legend esibirsi in salti, primi pogo e headbanging della serata: buoni ed energici i breakdown, parte vitale del live, strofe aggressive e un’interazione col pubblico condita da sensazioni forti. Che dire, grandi applausi e un sentito in bocca al lupo a questa formazione che ha dimostrato il suo carattere e a cui auguro di far parlare di sé in un futuro non troppo lontano.
Dopo di loro va ancora in scena il Bel Paese con i grintosi Deaf Autumn, nati nel 2013 a Frosinone: trio verace e sincero post – hardcore, con sentori nu metal e punk e richiami allo screamo e all’Hardcore più moderno, presentano brani costruiti in maniera molto istintiva e personale, anche nei testi, aggressivi e ben scritti, che spingono genuinamente senza il bisogno di stratagemmi o marchingegni vari.
Oltre l’innegabile esperienza sui palchi e cinque album all’appello, i Deaf Autumn portano sul palco una simpatia divertente e contagiosa dovuta al grande affiatamento e all’amicizia che li lega da anni: si prendono in giro, fanno battute a cui non si può non ridere, come quando il vocalist e bassista Davide Torti si scusa perché gli cola il sudore in faccia, non disponendo di un ciuffo in testa come quello del suo compare Davide Ricci: beh, per asciugarti hai pur sempre il polsino, controbatte questo.
Tra una battuta e una risata, carismatici, i Deaf Autumn cercano l’interazione viva coi fan, lanciando messaggi positivi, di speranza nonostante le avversità si possano incontrare sul cammino: Ce l’avete una cazzo di ragione per stare qui! , giusto per riprendere il senso profondo del singolo “A Reason To Stay” del 2019 . Insieme, ragà! Sprona Davide R. – per una particolarissima omonimia, i tre membri si chiamano tutti Davide – incitando i fan a cantare Adesso è arrivato il momento di farvi cantare, perché abbiamo notato che le nostre canzoni non vi piacciono.
Attaccano con una cover che tutti cantano in coro, facendo divertire la band: Ah, allora cantate eh? E rivolto al suo collega bassista Hai visto che questa la cantano? Sono undici anni che suoniamo solo le tue canzoni, ma questa la cantano! I Deaf Autumn fanno al caso vostro se vi piace divertirvi mentre ascoltate potenti flussi vocali e breakdown sconvolgenti.
Salutiamo questo trio e l’Italia, per stasera: il palco viene sgomberato, e ormai sappiamo che questo significa la presenza di artisti super attivi, come nel caso degli Stitched Up Heart, formazione rock /gothic metal da Los Angeles, California, in attività dal 2010 con tre ep e tre full lenght, l’ultimo dei quali “To The Wolves” è uscito il 1 settembre 2023 per Century Media Records e sul quale è basata l’intera set list, a eccezione di una traccia soltanto, “My Demon ” che è del 2020.
In un oceano di fumo, come da miglior tradizione, il loro set inizia a luci spente, il palco vuoto e l’intro della title track “To The Wolves” che riempie l’oscurità: la sala del Legend prende vita all’ingresso del bassista Randy Mathias, del quale si vedono letteralmente brillare al buio i capelli, le unghie e le corde del basso nello stesso colore giallo verdognolo radioattivo.
Seguono Merritt Goodwin alla chitarra, un biondo batterista turnista che sostituisce James Decker e per ultima, impetuosa e incontenibile come un fiume in piena, la fascinosa frontwoman Alecia “Mixi” Demner, dai fluenti riccioli neri, che da subito affascina gli ascoltatori con la voce incantevole della prima strofa. La title track del loro ultimo lavoro vede la partecipazione di Craig Mabbitt, vocalist degli headliner di questa sera, e possiamo quindi beneficiare di un antipasto della sua presenza durante l’esecuzione di questo brano: le urla dei fan al suo apparire quasi coprono le voci dei due cantanti, e ce ne vuole di fiato per riuscirci. Alla vista della macchina fotografica, Craig si avvicina, sorride e mi stringe vigorosamente la mano. Il bassista Randy, che seguiamo al buio grazie ai suoi colori sgargianti, si diverte molto invece a fare smorfie buffe e linguacce davanti alle lenti (non sarà l’unico caso, ma ne sono ancora ignara).
Alecia, che con la sua band è al suo debutto in Europa e in Italia, ha un approccio molto carismatico e disinibito, oltre alla voce ha anche il physique du role per dominare la scena, si diverte a prendere i cellulari dalle mani dei fan della prima fila portandoli a fare un giro per il palco, regalando così ai fortunati possessori delle riprese uniche e altrimenti impossibili; carica come una molla, si muove e si dimena sul palco con la sua chitarra rendendo la ripresa abbastanza ardua.
La sua voce può essere sia sommessa e suadente, così come aggressiva e decisa quando i brani lo richiedono. “To The Wolves” ha un tocco cinematografico, creando un’introduzione coinvolgente alla performance di questa esplosiva formazione che qualcuno, in sala, già conosce e segue da tempo, come la fan al mio fianco, che è qui apposta per loro dalla Polonia. Suoni ipnotizzanti, oscuramente belli che incapsulano il tumulto del gotico, senza mai perdere di vista l’intensità sonora del Metal moderno: ecco il biglietto da visita degli Stitched Up Heart che eseguono la set list tutta d’un fiato, con pause praticamente inesistenti o brevissime, come quando “Mixi” ci racconta le peripezie per prendere il passaporto, oppure la visita a Venezia che ha amato: I will cry when I come back home, ci dice con un sorriso che un po’ tradisce il sapore dolceamaro della fine di questo mirabolante tour europeo con gli Escape The Fate.
L’equilibrio che questa band ha raggiunto tra ferocia e melodia, oscurità e speranza non è semplice da raggiungere; anche se sono “solo” tre i loro album, la storia ci dice che questo gruppo virerà verso una destinazione di sicuro successo, e siamo davvero curiosi di vedere dove andranno e cosa riusciranno a creare ancora.
“Thunder” è una traccia che attira lentamente, grazie alle sfumature meravigliosamente cupe, mentre “Possess Me” è letteralmente il festival delle percussioni, ti colpisce talmente forte e talmente diretta che ci si sente alle corde, come nel ring della boxe, ad attendere che la campana abbia pietà di te: una melodia davvero strepitosa! “Immortal”, brano conclusivo del set, è la più brutale, la voce di Alecia sembra provenire dal profondo delle sue viscere tanto è gutturale e profonda (un giorno dovrò pur capire come delle vocalist così minute possano partorire vocalizzi così demoniaci) o dalle fosse dell’inferno, a voi la scelta.
Ricapitolando, Alecia è uno spettacolo, sia per la sua voce modulabile che per la sua bellezza: il popolo del Legend è su di giri come non mai e ha beneficiato di uno spettacolo da urlo. Anche Randy dai capelli radioattivi ha scosso la folla con i suoi bassi martellanti – da far perdere un battito al cuore – e la sua capacità innata di connettersi con ogni singola persona in sala; Merritt Goodwin e la sua chitarra invece sono un pò più tenebrosi, ma giocano forte e giocano duro. I riff di questo abile chitarrista sono l’anima metal di questa band. Alla loro uscita dallo stage, un po’ repentina, siamo tutti assolutamente sicuri del loro rientro per i saluti, la foto di rito, ma questo non avviene e rimaniamo tutti piuttosto perplessi.
Il tempo non perdona però, siamo giunti al momento che stavamo aspettando tutti in questa domenica: prepariamoci, i purosangue sono dietro le quinte, e stanno scalpitando per entrare a scatenarsi con i fan adoranti. Tutto è pronto, la sensazione ora è quella di essere sulla sommità di un’immensa montagna russa, pronti per lanciarci in una corsa folle e senza freni. Sarà esattamente quello che ci faranno vivere gli Escape The Fate, gruppo post-hardcore con venature emo nato a Las Vegas nel 2004 e senza bisogno di troppe presentazioni: scalano più volte le varie classifiche Billboard, pubblicano 8 album di successo, il più recente è “Out Of The Shadows”, il primo col chitarrista Matti Hoffman e il bassista Erik Jensen, prodotto da John Feldmann e uscito per Big Noise Music il giorno 1 settembre 2023.
Gli Escape The Fate non sono solo una band, sono un sentimento: sono energia pulsante, sono rabbia, sono emozioni allo scoperto e spontaneità, potete immaginare quindi il tipo di accoglienza bollente ricevono questi artisti nel momento in cui le luci si fanno soffuse, e poi si spengono, mentre in sala si diffondono le note iniziali di “Forgive Me”, tratta appunto dal loro lavoro più recente e che si rivela subito essere una top favourite dei fan, che iniziano a urlarla forse ancora prima che Craig Mabbitt metta mano al microfono.
Da questo momento in poi, l’energia della folla non fa che moltiplicarsi, tutti si spingono il più possibile in transenna e ben presto mi ritrovo spalmata all’ormai familiare struttura di ferro: non calpestata come solitamente mi accade, questo no, ma impossibilitata anche solo a girarmi di dietro, questo sì.
Questa è l’ultima data italiana e anche l’ultima del loro tour europeo: ti aspetteresti quasi di trovare degli artisti non dico stanchi, ma magari un po’ provati dopo tanto viaggiare e dopo tante esibizioni in fila. Loro no: carburatissimi, potenti come uno tsunami, freschi come dopo una passeggiata ai giardinetti.
Renderanno questa ultima data un evento epocale, uno scambio di sensazioni e feeling costante col pubblico e tra di loro, una celebrazione della vita e della gioia manifestata con salti, scherzi, siparietti divertenti, Mabbitt che fa la ruota sul palco, ogni singolo artista letteralmente si nutre della forza che viene dai fan e la fa propria. Il frontman, in particolar modo, si riempie occhi e anima di tutte quelle mani che lo cercano, occhi che lo adorano, voci che lo reclamano, ci guarda fisso negli occhi mentre cantiamo le parole dei brani assieme a lui. Tanti piccoli grandi gesti di attenzione e affetto reciproci che scaldano il cuore, sul serio.
Ogni musicista ha modo di risplendere manifestando le proprie abilità e il proprio carattere: abbiamo un bellissimo Matti Hoffman alla chitarra, con questa sua espressione sempre dolce e l’abbigliamento emo, mentre alza il suo strumento in aria, per eseguire i suoi famosi assoli che non fanno altro che sottolineare l’incredibile talento di cui dispone. Tuttavia, è il grande assolo verso la fine dello spettacolo, eseguito da solo in un fascio di luce, che lo fa risaltare davvero.
All’altro lato del palco, di fronte a me, abbiamo il vigoroso Tj Bell, ex Motionless In White, che ricordavo perfettamente per la sua vitalità vibrante e per aver scambiato con lui svariate pernacchie l’anno scorso; lo ritrovo a questo giro, se possibile, ancora più carico, ribelle, senza filtri e incontenibile nella sua vitalità, una montagnola di muscoli sotto la pelle tatuata da leggere come un libro.
Fa sognare il pubblico femminile con i suoi baciamano e i suoi sguardi furbi: con me è di nuovo uno scambio di smorfie e linguacce, ma attentissimo a quello che mi capita se mi vede spintonare un po’ troppo. Non mi aspettavo tanta attenzione quando cerco di riporre le macchine nella borsa, talmente pressata da non potermi neanche chinare o muovermi liberamente per farlo; mi contorco alla io speriamo che me la cavo, con una tracolla tra i denti, finché in un qualche modo ripongo l’attrezzatura … e quando mi rialzo lo ritrovo intento a osservare cosa stessi combinando, a un palmo di naso da me nonostante fosse nel bel mezzo della sua azione, e la sua domanda è forte e chiara sopra la musica alta: You ok? In quel momento mi unisco alle altre con gli occhi a cuoricino e l’espressione beata. Altro che ok, caro il mio chitarrista, penso io divertita.
Tanta è la potenza e l’intensità scaturita da questi musicisti, che la sala del Legend sembra costruita sopra la metropolitana: vibrano i muri, il pavimento, vibrano i cuori e la notte fuori dalla porta. Nella scaletta troviamo brani nuovi e meno nuovi, ma poco importa, i fan li conoscono tutti e li urlano tutti; già dopo nemmeno mezz’ora dall’inizio tanti iniziano ad accusare un abbassamento della voce dal gran urlare.
Mabbitt, in uno dei suoi momenti di interazione col pubblico, chiede Raise your hand if you had at least a shitty day this year, or a shitty week, a shitty month, e poco per volta le mani si sollevano tutte. Now look around you … see? Nobody is alone, and it will be okay, I promise, everything will be okay. Verrebbe voglia di saltare sul palco e abbracciarlo. Non si lancerà in uno dei suoi famosi crowdsurfing, ma chiamerà spesso il pogo e il wall of death con grande successo. Nella set list ricordiamo il nuovo singolo “Dearly Departed”rilasciato il 15 marzo 2024 in collaborazione con The Used, oltre a successi senza tempo come “Broken Heart”, presentato da un Mabbitt burlone che finge di piangere, e quando Tj gli domanda What’s up, dude? la risposta è This is a song about a broken heart!
Non parliamo di “Ashley”, che anche i muri sapevano a memoria e che ha fatto luccicare gli occhi dei fan; anche per gli Escape The Fate manca all’appello il batterista Robert Ortiz, sostituito dal biondino di prima che senza fiatare si sciroppa due live di fila senza accusare il minimo calo di prestazione. Abbiamo però la presenza discreta e dolce, un po’ in disparte sul palco, del figlio di Mabbitt, Caige: l’orgoglioso papà ci chiede un applauso per il suo lil’ man, poi lo porta sotto le luci, festeggiato ben bene, e lui prende sicuro il microfono dalle mani del padre per cantare alcune strofe e non solo, già scambia strette di manina coi fan: buon sangue non mente, tutto il papà.
“Gorgeous Nightmare” ci porta invece, con grande sorpresa, ancora una volta la mitica “Mixi” degli Stitched Up Heart, in un duetto mozzafiato con Mabbitt; Craig si conferma un cantante potente sotto tutti gli aspetti, con una gamma meravigliosamente ampia sia nel clean che nell’unclean, cosa questa che ritrovo anche nell’ottimo bassista Erik Jensen. All’avvicinarsi della fine del concerto, ho come un deja vu quando Tj Bell si arrampica in transenna con la chitarra a tracolla, ed esattamente sopra di me si china sui fan alle mie spalle; quest’anno però decide che perché no? Perché non lasciarsi andare? Ci vuole una bella forza per tenerlo su mentre si dimena con la chitarra, io resto quasi incastrata tra le sue caviglie, ma va bene così, nessun problema!
Poco dopo arrivano sul palco anche gli Stitched Up Heart, con alcuni roadie, ed è un momento fortemente umano e intimo vedere gli artisti abbracciarsi e abbracciare chi ha condiviso la loro strada per tutto il tour. Siamo stati dei privilegiati a esserci, stasera. Dopo la rituale foto di gruppi e gli applausi che sembrano voler continuare per tutta la vita, il concerto ha fine con il piccolo Caige che distribuisce ai fan bacchette di batteria semi distrutte e set list cartacee, lanciandole come fanno i grandi. Che dire, se non fossimo stati mandati via a forza, probabilmente saremmo ancora in transenna ad aspettare gli Escape The Fate. L’anno scorso ci hanno rubato il cuore, quest’anno se lo sono tenuto ancora più stretto. Possiamo solo aspettare che tornino presto, e noi saremo già lì, per loro.
Ci sono luoghi e promesse che torneranno. E che colori che mi mancano, ma sanno aspettare. (F.Caramagna)
Articolo e foto di Simona Isonni
Set list Escape The Fate Milano 14 luglio 2024
- Forgive Me
- The Flood
- Lightning Strike
- Ungrateful
- Low
- H8 Myself
- Gorgeous Nightmare
- Dearly Departed
- 10 Miles Wide
- Ashley
- Broken Heart
- (Matti Shred Sesh)
- This War Is Ours
- Cheers To Goodbye
- One For The Money