Si dice che prima o poi si torni, o quanto meno lo desideriamo con tutte le nostre forze, nei luoghi dove siamo stati bene e ci siamo divertiti. Per questo motivo, una manciata di giorni dopo il concerto dei Godi Is An Astronaut (il nostro report), torno sotto il grande palco della festa di Radio Onda d’Urto a Brescia, il 19 agosto, per una nuova esperienza tellurica firmata Hellfire. Com’è diversa l’atmosfera, oggi, rispetto l’altra volta: al posto di occhi sognanti e paesaggi degni di galassie siderali inesplorate trionfano borchie, bracciali di pelle, pettinature punk e fiumi di birra ancor prima dell’apertura dei cancelli. Magliette inneggianti Slayer, Metallica, Testament, Anthrax e altri, oltre gli attesissimi headliner, indossate da fan che vanno dall’infanzia all’avanzata adolescenza, dai, è così che si sentono quelli della vecchia guardia.
Arrivano a branchi, si mettono in coda alle mie spalle, e c’è del bello e del buono a tenerli tutti indietro, è già caccia al posto in primissima fila e per questo assisto a corse in direzione transenna, dove si accamperanno per tutta la serata.
Ci aspettano tre band poderose ed energiche su quel palco, un fiume in piena di riff taglienti su tempi impazziti, tecnica e velocità: i primi a sollevare un gran polverone sono i nostrani Razgate, quartetto thrash metal nato in Toscana nel 2011, un ep e quattro album nel loro curriculum, l’ultimo dei quali “Born To Rot In Hell” è uscito per Punishment 18 Records il 30 giugno 2023.
Massicci, brutali, ci accompagnano per una quarantina di minuti ardenti, davanti a un pubblico animatissimo che poga già dai primi istanti. Stile decisamente old school degli onnipotenti Slayer anni ‘80 e voce aggressiva, acuta di Giacomo Burgassi al microfono (Tom Araya docet), a testa bassa e ritmi alti i nostri artisti tengono l’acceleratore costantemente premuto con una giusta dose di cambi di tempo, inferociti come un puma, molto amati da chi apprezza il Thrash selvaggio, nudo e crudo.
Un assaggio di Metallica traspare nei passaggi più melodici, e nel tempo a loro disposizione i Razgate non stanno a fare ricami fantasiosi: come spesso succede nel Thrash, non è necessario che ci siano, tutto quello che serve è ridurre la musica alla sua essenza, stringere i denti e offrire un sound il più puro possibile, al meglio delle proprie capacità, cosa che i ragazzi senesi eseguono per tutto il live, con perizia e divertimento e con ancora un ampio margine di crescita, a mio avviso.
Dopo un rapido cambio di set, è il turno degli austrici Insanity Alert, e per descrivere questo geniale e colorito gruppo crossover/thrash metal attivo dal 2011, che si è esibito per la prima in Italia proprio sul palco bresciano in una precedente edizione, basterebbe riflettere qualche minuto sul loro nome: te lo dicono subito che sono dei simpatici pazzoidi, e ovviamente musicisti di alto livello anche se l’originalità va cercata altrove.
Determinati a festeggiare come se non ci fosse un domani, assolutamente estroversi, socievoli in ogni circostanza e di grande interazione col pubblico, che risponde a tono a provocazioni e aizzamenti. Io stessa ho avuto un incontro ravvicinato prima del concerto, nel pit, col chitarrista Dave, definito dai suoi compagni il Gandalf del Thrash, che esordisce alle mie spalle con un Hi there! Mentre allunga gli occhi sulle lenti davanti alle quali finirà dopo pochi minuti; va a salutare i fan in prima fila, ai quali regala plettri direttamente da un sacchetto e torna indietro con le mani cariche di bicchieri di birra offerti, trovando comunque il modo di battermi il cinque prima di tornare soddisfatto nel backstage.
Il vocalist di origine olandese Heavy Kevy, ex voce della band punkster The Apers, caracolla per il palco in un vortice di follia e ubriachezza molesta, accompagnato da riff caustici, sonorità punk, voce vomitata sul microfono, accessori fantasiosi e testi al limite del demenziale da cantare al cielo tutti insieme, chiaramente con birra alla mano.
Tre full lenght all’attivo e due ep, l’ultimo dei quali “Moshemian Thrashody” viene praticamente eseguito tutto ed è, a dir poco, esilarante. “Welcome To The Moshpit” è una parodia di “Welcome To The Jungle” dei Guns’n’Roses, veloce e furiosa, con versi meravigliosamente appropriati alla situazione: You know where you are? You are in the moshpit, fuckface, you’re gonna die!
Andiamo a disturbare persino George Michael con “Beerless Fiesta”, e non si salvano nemmeno i Queen con la title track e bestemmie annesse nell’italiano crucco di Heavy Kevy, che fa ridere solo a sentirlo parlare e definirsi super barzotto, mentre esibisce un cartello dopo l’altro a suggerire titoli o ritornelli di canzoni, oltre all’invito Fate i bravi, con buona pace di chi non ha smesso un attimo di massacrarsi a suon di pogo. Cartelli, questi, che vengono sistematicamente lanciati al pubblico che se li contende senza tanti complimenti.
Fanno il verso persino agli Iron Maiden rivisitando “Run To The Hills” che diventa “Run To The Pit”, il cui testo esprime l’anima thrash e ironica della band facendo piegare tutti in due dalle risate; Heavy Kevy segue la linea vocale di Bruce Dickinson mentre sbraita Run to the pit, mosh for your life brandendo un nuovo cartello da tirare in testa agli euforici astanti.
La festa continua quando l’indomito bassista scende senza troppi preamboli dal palco, salta la transenna e non smette di suonare facendosi trasportare dalle mani dei fan, divertendosi un mondo e trovando al suo ritorno un bel bicchierone di birra fresca, non sia mai che gli Insanity Alert restino senza carburante. Con un’esibizione che oscilla tra il carnevale e i festeggiamenti di Capodanno, questo gruppo sbandiera fieramente l’appartenenza al filone thrash più festaiolo, definito perfettamente Crossover Party Thrash e sfoggiano autoironia senza pari, immensa voglia di divertirsi trasmettendo però nello stesso tempo energia pura, con le loro aperture hardcore e punk. Non potete guardarli senza divertirvi e sbellicarvi dal ridere, e se non lo fate significa che vi serve urgentemente una flebo di buonumore e allegria.
Sentendomi un po’ di ritorno dal paese dei balocchi, osservo il meticoloso cambio palco per la ciliegina sulla torta della serata che vede ormai gremita tutta la zona antistante. Signori, stiamo per arrivare al cospetto dei potenti e storici Exodus, formazione thrash metal statunitense tra le più importanti e influenti, sulla cresta dell’onda dal 1980 con 17 album pubblicati, dei quali il più recente “Persona Non Grata” è stato pubblicato il 19 novembre 2021 su Nuclear Blast.
Quando tutto è finalmente pronto, col poderoso muro Marshall in bella vista, le luci si spengono provocando urla e marasma tra la ciurma; urla seguite da un mormorare curioso e divertito, perché dal palco arrivano le note di “Funiculì Funiculà”, probabilmente un modo di omaggiare il Bel Paese.
Potete anche definirmi di vecchio stampo, ma c’è un certo tipo di sensazione che provi vedendo un muro di amplificatori Marshall che semplicemente non provi più in molti concerti metal.
L’unica parte del palco che non è un ampli è riservata alla batteria Goliath di Tom Hunting, che vanta due gigantesche grancasse decorate col nome della band. Cosa succederà adesso? mi chiedo tra il divertito e il curioso come una scimmia, e vengo accontentata in una manciata di secondi: l’assurdo impianto luci illumina la notte di una potentissima luce rosso sangue, perfetta per la prima canzone “Bonded By Blood”, title track del primo album degli Exodus, capolavoro thrash in purezza del 1985 e sulle cui note entrano alla spicciolata gli artisti, accolti da grida, festeggiati con una carneficina, hem volevo dire un pogo, che non avrà pietà di nessuno fino alla fine e dai primi fan che fanno crowdsurfing giocando alla solita partita stile ping pong con la numerosa security.
Ecco Lee Altus alla chitarra, ex Heathen, che inizia subito a incitare i fan buttando letteralmente fuoco sulla benzina; Jack Gibson al basso, il panzer da guerra Tom Hunting all’imponente batteria, storico membro che insieme a Kirk Hammett diede la basi agli Exodus nei primi anni ‘80. Steve “Zetro” Souza alla voce è una certezza e si presenta indossando una cuffietta di lana, con mia grande sofferenza percettiva; ed ecco poi sua altezza reale Gary Holt, guitar hero conosciuto come il padrino del Thrash Metal nonché membro storico, l’unico presente in tutta la produzione degli Exodus in quasi quarant’anni di carriera, principale compositore e leader della band, uno dei chitarristi ritmici più letali in circolazione.
La sua plettrata, vissuta a pochi metri di distanza da occhio e orecchio, è incisiva, è chirurgica, è divina.
Nel frattempo anche il photo pit si è affollato rispetto a prima, e inizia il divertentissimo gioco riservato a chi come me è alto un metro e un tappo e deve affrontare una band estremamente mobile e imprevedibile, piazzata su un palco molto alto: con la macchina tenuta sollevata sopra la testa, per tentare di riprendere il batterista che per me è talmente lontano che potrebbe benissimo sconfinare in un’altra provincia, saltello con poca grazia con un occhio sullo schermo e l’altro attento a evitare security, colleghi, fan che atterrano in volo, piedi altrui che spuntano nel buio a rendere tutto un po’ più colorito.
La velocità e la precisione tecnica di questi artisti veterani è una scarica elettrica che investe il pubblico, la notte e tutto quello che ci gira attorno in quel momento; Steve Souza tiene in pugno la situazione con la sua varietà di strilli graffianti, le urla e uno sprechgesang quanto meno affascinante e che non conosce cali di performance. Thank you, fuckin’ Italians! You are the best people we ever played for, ci ringrazia così il buon Souza raccontando di come, otto anni fa, l’ultimo concerto in Italia prima di questa data venne sospeso dopo due canzoni a causa di Giove Pluvio e i suoi capricci; felicissimi tutti di essere sotto questo cielo senza nuvole, stanotte.
In scaletta troviamo varie tracce dal primo album “Bonded By Blood”, uscito il 25 aprile 1985 per Combat Records, che il prossimo anno compirà quindi quarant’anni di gloria e che nel 2017 venne collocato dalla rivista Rolling Stones al quarantacinquesimo posto tra i 100 migliori album metal di tutti i tempi. Caratterizzato da brani violenti, rabbiosi, come “Piranha”, dal riff di chitarra che potrebbe portarti a sbattere la testa contro il muro, o contro la transenna come in questo caso, dove il pogo e lo scapocciamento hanno qualcosa di particolarmente satanico, cosa che induce a fare anche “And Then There Were None”, dove i fan vendono l’anima a Holt e al suo assolo.
Gary Holt e il suo compagno Lee Altus sono dei veri e propri imperatori della chitarra thrash, e vederli suonare fianco a fianco dal vivo è impressionante; entrambi hanno molteplici momenti in cui brillare, mentre sfrecciano attraverso alcuni degli assoli metal più veloci della storia raccogliendo ovazioni dai presenti di ogni età che omaggiano i riff più famosi. Vedere questi musicisti che si divertono sul palco come ragazzini, dall’alto della loro esperienza immensa, è una vista che scalda il cuore, un vero e proprio “Exodus attack”.
Everybody having fun with Exodus today? Salute, esclama Souza alzando l’ennesimo bicchiere di birra per brindare. Are you motherfuckers ready? Go insane one more time, è la richiesta di un furibondo wall of death sulle note dell’ultimo brano “Strike Of The Beast”, che non ha bisogno di nessun tipo di presentazione. Riff di una velocità assassina, con Souza che sferraglia a dirotto. A dire il vero, l’intera band sta dando i numeri, non solo i fan. Il wall of death mette paura anche solo a vederlo trasmesso sugli schermi della grande struttura del palco.
Alla fine del concerto, la band non la tira alla lunga con bis o saluti infiniti: Remember, Heavy Metal forever, enjoy the rest of the night. Dopo queste parole, quel pezzo di storia musicale chiamato Exodus si è già dileguato nella notte. Molti genitori, tra i quali sicuramente i miei, pensavano che il Metal sarebbe stata una fase passeggera; ma qual è il momento giusto per smettere di ascoltare Metal? MAI. Ho visto molti capelli grigi tra il pubblico stasera, e osservare come tanti portavano in spalla figli, o nipotini, vecchia guardia e nuova guardia insieme sotto il palco degli Exodus, è stato assolutamente glorioso.
Articolo e foto di Simona Isonni
Set list Exodus Brescia 19 agosto 2024
- Bonded By Blood
- R.E.M.F.
- Blood In, Blood Out
- And Then There Were None
- Piranha
- Deathamphetamine
- Blacklist
- Prescribing Horror
- The Beatings Will Continue ( Until Morale Improves)
- Fabulous Disaster
- A Lesson In Violence
- The Toxic Waltz
- Strike Of The Beast