Quando arriviamo all’Ippodromo del Visarno per la prima serata dell’edizione 2023 del Firenze Rocks colpisce subito che le persone sono già tutte diligentemente in fila pronte a entrare dalle varie entrate preposte. Si respira un’aria davvero tranquilla simile a quella di certi festival esteri. C’è caldo ma è tollerabile e le poche nubi presenti – è il secondo giorno che non piove a Firenze dopo diverse di settimane – sono ben accettate da tutti. Non c’è l’affluenza delle passate edizioni e questo fatto potrebbe fare subito scattare una riflessione, ma basta vedere l’età media dei 15.000 presenti per capire che The Who ai ragazzi non interessano molto o non interessano proprio. “Ce ne faremo una ragione”, dico tra me e me, mentre mi avvicino al palco.
Piqued Jacks
Non me ne vogliano Le Distanze se non ce l’ho fatta ad ascoltarli attentamente perché ancora in coda per entrare. Il quartetto toscano dei Piqued Jacks sale sul palco con un look molto curato e una presenza di palco che subito cattura l’attenzione.
Il suono è già buono considerando che sono la seconda band in cartellone e possono anche contare su un gruppo nutrito di fan che conoscono a memoria le loro canzoni.
Scherzano sul loro piazzamento all’ultimo posto all’ Eurovision prima di lanciarsi in “Like An Animal” che in molti però sembrano conoscere. Il loro mix di Rock dalle tinte anni ’90 / primi anni 2000 che prende molto dai Placebo ma anche dai Thirty Seconds To Mars, non è originalissimo ma sa scaldare gli animi complice una prestazione davvero buona del cantante, vero catalizzatore dell’attenzione.
Lucio Corsi
Di lui ne parlano tutti, ma proprio tutti, e benissimo tanto da avermi incuriosito. Quello che avevo visto di lui finora in televisione non mi era bastato per capire se ero davanti alla solita “bella mascherina” come troppe ne sono uscite in Italia negli ultimi anni, o a un vero outsider da ascoltare avidamente.
Assistere a un concerto di Lucio Corsi mi ha catapultato al Parco Lambro nel 1976; la sua musica è leggera ed eterea ma affonda nel Rock degli anni ’70, di cui lui conosce ogni minima sfumatura.
Come Eugenio Finardi o Ivan Graziani, non ha paura di scaldare il suono della sua Gibson per metterlo al servizio di testi che sembrano all’apparenza filastrocche o fiabe metropolitane ma nascondono verità e soprattutto una poeticità di cui ci siamo dimenticati.
Mentre ascolto “Altalena Boy” e “Amico Vola Via” mi guardo intorno e vedo sempre più persone attente ad ascoltarlo e applaudirlo sempre più forte a fine canzone. È questa la prova più lampante che mi dà la conferma che Lucio Corsi è un’artista “vero” fatto di carne e anima, timido eppure spudorato, che suona una sola cover, “20th Century Boy” di Marc Bolan, lo stesso artista citato da The Who in “You Better, You Bet”, e sono convinto che non sia un caso.
Tom Morello
Il primo artista internazionale del festival, Tom Morello entra sul palco dopo che “Bella Ciao” ha investito il pubblico. Ha la maglietta di Gramsci, sul suo cappello rosso c’è la scritta “veritas” e come se non bastasse attacca il concerto con “One Man Revolution”.
Il suo essere “contro” è la sua forza: l’onestà intellettuale sopra tutto e tutti. Ma siamo a un concerto e la sua scaletta è sì un inno alla libertà, ma è anche un calderone dove si mette accanto Jimi Hendrix ai Måneskin senza troppo pensarci su, e si omaggia Chris Cornell con una versione a metà di “Like A Stone”.
Una scaletta che è specchio dei tempi perché il pubblico in generale apprezza, ma che lascia un po’ l’amaro in bocca. Meno male che sul finale il nostro si fa perdonare con un’ispirata “Keep Goin’” per solo chitarra e cori, l’intensa “Vigilante Nocturno” e la cover di “The Ghost Of Tom Joad” dall’album più di sinistra mai realizzato da Bruce Springsteen.
Sentire poi cantare tutto il pubblico il testo di “Killing In The Name”, questo sì che mi ha scosso profondamente. Mai avrei pensato che quella canzone ancora oggi potesse essere un inno generazionale; stasera ha dimostrato di esserlo e di questo non possiamo che essere contenti.
The Who
L’emozione è palpabile nei minuti prima dell’inizio del concerto di una delle band più iconiche che il Rock abbia mai avuto. Si sentono commenti prevenuti sulla presenza dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino ad accompagnarli, così come chi si prepara al peggio pensando all’età di Pete Townshend e Roger Daltrey.
La verità arriva appena gruppo e orchestra iniziano “Tommy Overture”: chi si aspettava The Who dell’isola di Wight del 1970, rimarrà deluso inevitabilmente. The Who suonano “insieme” all’orchestra, anzi, per certi versi sembrano quasi intimiditi da quest’ultimi fino a “Pinball Wizard” nella quale Pete prende di nuovo il controllo.
Quello che però importa è la potenza della musica che in qualche modo prevale su tutto e tutti. Poco importa se Zak Starkey utilizza dei piatti digitali per contenere il suono o che ci siano ben due tastieristi e il fedele Simon Townshend a dar man forte al fratello, quando arrivano “Who Are You” e quel capolavoro che è “Eminence Front” (che pochi ahimè sembrano conoscere intono a me nel pit) tutto si assesta e trova un equilibrio: un nuovo equilibrio in cui è Roger Daltrey a diventare il leader.
Pete dal canto suo aspetta con pazienza il momento in cui l’orchestra si prenderà una pausa per tornare a dirigere la band: Suonare con un’orchestra ti forza a essere disciplinato – spiega al pubblico – ora però possiamo lasciarci andare e essere loco! Parte “You Better, You Bet” e le emozioni prendono il sopravvento: la più bella canzone d’amore che sia mai stata scritta viene suonata con quella forza e convinzione che non è propria dell’età anagrafica dei due rocker sul palco.
E se “Substitute” è sbilenca nell’esecuzione, “The Seeker” e soprauttto “Another Tricky Day” sono devastanti e perfettamente a fuoco. “Behind Blue Eyes” con Pete all’acustica e Katie Jacobi al violino e Audrey Q. Snyder al violoncello è come una freccia avvelenata dritta al cuore di ogni singolo ascoltatore, perfetto preludio al finale dedicato a “Quadrophenia”. Questa volta orchestra e band si fronteggiano ad armi pari e le versioni di “The Real Me”, “I’m The One”, “5:15”, “The Rock” e “Love, Reign O’er Me” rimarranno custoditi nel profondo della mia anima per molto, molto tempo.
Le lacrime scorrono sul mio viso e su quello di molti altri. A fine concerto, incontro un po’ di amici e ci abbracciamo; non riusciamo a parlare: un groppo alla gola ce lo impedisce, ma dopo l’abbraccio ci guardiamo negli occhi e sorridiamo.
Ci è stato fatto un regalo stasera; l’ennesima prova che quella musica che ha contribuito a renderci le persone che siamo, può ancora starci accanto, darci forza, ricordarci chi siamo e che possiamo, dobbiamo credere che possiamo ancora una volta fare la differenza.
“We won’t get fooled again”: non ci prenderanno di nuovo in giro, è una promessa.
Articolo di Iacopo Meille, foto di Roberto Fontana
Set list The Who 17 giugno 2023 Firenze Rocks
- Tommy Overture
- 1921
- Amazing Journey
- Sparks
- Pinball Wizard
- We’re Not Gonna Take It
- Who Are You
- Eminence Front
- Ball and Chain
- You Better You Bet
- The Seeker
- I Can See For Miles
- Substitute
- Another Tricky Day
- Won’t Get Fooled Again
- Behind Blue Eyes
- The Real Me
- I’m One
- 5:15
- The Rock
- Love, Reign O’er Me
- Baba O’Riley