
27 marzo: un bel giorno per presentarvi alcuni demoni che sembrano usciti dritti dritti dal peggiore dei vostri incubi. Cosa dite? Stavate meglio anche senza? E invece no, mi farete compagnia in tutto il mio viaggio verso l’Audiodrome di Moncalieri, Torino, e non ditemi che avete altro da fare, tutte scuse.
Complice il fatto di essere partita da casa molto presto, riesco per una volta a non incagliarmi nel grande traffico torinese e arrivo trionfalmente davanti alle porte del locale che ancora non c’è veramente nessuno. Ma proprio nessuno, se non gli artisti impegnati nelle loro faccende o nel soundcheck. I passanti, che ignari capitano a trovarsi lì mentre dall’interno arrivano urla demoniache e rantoli inquientanti, allungano il passo e lanciano occhiate tra il preoccupato e l’inquieto. Qualche fan comincia a spuntare quando io sto per addormentarmi in piedi, ma del resto allontanarsi significa perdere il posto in transenna, non avendo a disposizione il photo pit.
Essendo clamorosamente in pochi, l’entrata è tranquilla e la conquista del posto in transenna pure; ma nel caso vi stiate preoccupando, posso assicurarvi che nell’ora di attesa prima degli opener il pubblico spunterà da ogni angolo, disputandosi il posto migliore, ci manca solo di vederli arrampicati sulle colonne. Iniziano a spuntare i primi face painting, le borchie che pungono solo a guardarle, le toppe con i nomi delle più estreme band death. Appoggiata alla leggera transenna da lavori stradali, mi domando se riuscirà ad arginare l’impetuosità metallara; il palco è già pronto, essenziale, con attrezzature che si condivideranno tutte e quattro le band di stasera, mentre i set saranno un po’ più brevi rispetto al solito, partendo da mezz’ora per i primi due opener, ai quarantacinque minuti per la terza band, all’ora (scarsa) degli headliner.

Alle spalle degli artisti viene proiettato il loro logo, e quello della prima band che fa il suo ingresso puntualissima è circondato da un’esplosione di fiamme: sono gli Archaic, quartetto thrash metal originario di Budapest, Ungheria, alla sua prima volta a Torino. Nati nel 2004, hanno chiare influenze di gruppi come Slayer, Kreator, Testament, con i quali sono stati in tour, tra l’altro, e il loro obiettivo è a senso unico: portare avanti la bandiera del genere Thrash classico con un suono più moderno, ritmi diversi, melodie orecchiabili impregnate di un’energia inarrestabile sul palco, ben rappresentati dal fuoco e dalle fiamme che circondano il loro logo proiettato sullo sfondo.

Hanno condiviso il palco con grandi nomi come Exodus, Behemot e Carcass, due album attivi, sui quali è basata la loro scaletta, specialmente sul più recente “The Endgame Protocol” del 1 marzo 2022.
Vincitori del Best Hungarian Album of 2017 Award, di questi ragazzi non si può che parlare molto bene: estremamente diretti e amichevoli, gli unici senza tatuaggi, in un trionfo di lunghe chiome che gli invidio, gli Archaic aprono le danze in maniera eccellente.

Il vocalist è un frontman nato, che riesce con facilità a tenere intensamente un palco e un pubblico che probabilmente lo vede per la prima volta, mentre i suoi compagni macinano Thrash old school con grande entusiasmo, facendo headbanging furiosamente e interagendo con chiunque capiti a tiro.

Si fanno decisamente notare, ci spremono in faccia con forza e decisione la loro mezz’ora di Thrash abrasivo e preciso; in termini di qualità, li possiamo piazzare accanto a nomi come Bonded By Blood e Municipal Waste in tutta tranquillità, dimostrando che c’è un grande potenziale nel panorama ungherese, e che è possibile riempire i locali riunendo band di qualità e stili diversi, tutto in una sera. Performance molto appetitosa per loro, dunque, suono eccellente anche se le voci venivano a volte sovrastate della musica, e grande immagine scenica.

Brani tratti dall’ultimo album, come “Lines”, ci fanno assaggiare quel tocco in più di chitarra solista, l’unico problema è che poi non se ne farebbe più a meno: una grande canzone, dalla suggestiva atmosfera old school, mentre il riff di “A Cold Embrace” può fare la gioia dei fan degli Slayer. Il basso potente e serrato (pensate agli Exodus più recenti) aiuta queste canzoni a risultare letali, mentre “Until We Fade” ci immerge in un’atmosfera epica. Gli Archaic non rallentano fino all’ultimo brano: non solo questa è una delle migliori band thrash ungheresi, ma possono benissimo reggere il confronto con nomi più altisonanti. Non potremmo desiderare un inizio migliore.

Il cambio set per il secondo gruppo è rapido, qualche aggiustatina alla batteria e il tempo di sistemare pochi dettagli, mentre inizia l’intro con la voce di Phil Collins, cosa che fa mormorare e sorridere la folla: ma siamo sicuri? Cosa c’entra Phil Collins qui, stasera?

La band, in procinto di entrare, si accorge della nostra reazione e sorride, tratto distintivo di questi ragazzi: attivi dal 2009, vengono dal New Hampshire, Stati Uniti, i Death Rattle, concentrato esplosivo e in moto perpetuo di Groove Metal di grande esperienza, prorompente fisicità e dinamica, costringendo a un costante balletto i fotografi, mentre cerchiamo di seguire Trey Holton, infaticabile, inarrestabile frontman nelle sue evoluzioni acrobatiche. Un gruppo, questo, che vorrei assolutamente come headliner, per forza, capacità di coinvolgimento e professionalità: pensare che abbiamo potuto goderceli solo mezz’ora.

Un’esplosione di adrenalina ed energia purissime, un’esperienza che ha lasciato tutti senza fiato. I Death Rattle, che tradotto significa all’incirca “rantolo della morte”, hanno dimostrato sul palco dell’Audiodrome, ora decisamente affollato, tutta l’elettricità potente del loro Groove Metal, un mix di riff brutali grazie alla chitarra (molto bella, tra l’altro) di Ryan VanderWolk, e ritmi incalzanti, grazie ai quali abbiamo avuto un bel movimento di pogo nelle retrovie.

Gli elementi che li rendono così speciali sono la loro interpretazione appassionata, la loro performance tecnica e la loro intensità, presenza costante in tutta la loro mezz’oretta sul palco: alternando momenti di pura violenza sonora a passaggi più melodici e tecnici, troviamo in scaletta una selezione dei pezzi più iconici tratti dalla loro discografia, incluso il nuovo singolo “Malthusian Dependency”, presente nell’ album “The Moral Chokehold” in uscita il 30 maggio 2025 via M – Theory Audio.

I ragazzi dimostrano un affiatamento profondo, un’intesa che si traduce in una performance impeccabile: riff di chitarra affilati come un bisturi si intrecciano con la sezione ritmica con un risultato devastante.
La voce del frontman, sempre precisa, potente, sicura durante i suoi salti sulle casse e il suo infinito caracollare per il palco, ha guidato il pubblico attraverso un viaggio fatto di rabbia, dolore e catarsi; da parte loro, le persone ricambiano con entusiasmo, cantando e scatenandosi in scapocciate che ricevo anche sulla mia schiena. Ormai è impossibile fare un passo senza finire in braccio a qualcuno, tanta è la quantità di presenti, mentre l’onda d’urto sprigionata dai Death Rattle travolge l’intero locale, e la transenna leggera inizia a traballare e a spostarsi sempre più verso il bordo palco.

Questo gruppo, inoltre, è abilissimo a creare un legame diretto e genuino con la folla in un modo che è quasi ineguagliabile: sono loro i primi a divertirsi immensamente contagiando di riflesso i presenti.
Il tempo a loro disposizione vola in un soffio, i Death Rattle se ne vanno portandosi via un pezzo del nostro cuore.

Con la terza band si va decisamente sul pesante e cupo: gli Aeternus sono un gruppo black/death metal da Bergen, Norvegia, nati nel 1993 con 9 album in studio nel curriculum, il più recente dei quali “Philosopher” è uscito il 17 novembre 2023 via Agonia Records. Mai il nome di una label fu più azzeccata! Vestiti in similpelle nera, presenza da veri vichinghi, il nevrile vocalist Ares è cupo come i suoi testi: a pelle, penso sia meglio non farlo arrabbiare mai.

Gli Aeternus hanno sempre preso le distanze dalla scena black metal convenzionale, dissociandosi dalla strada già consolidata intrapresa dai connazionali Immortal, Emperor, o i Darkthrone, preferendo definire ciò che fanno “Dark Metal”. C’è sicuramente una netta differenza nella loro versione altamente tesa del Black Metal: brutale, elaborato, ma con un pizzico di intento teatrale nonostante le voci profonde e gutturali. Contorto e meravigliosamente diabolico.

Ora, quando si ascolta Black o Death Metal, o una combinazione di entrambi, quello che ci si aspetta è la velocità: blast beat, riff tremolo, basso minaccioso, un assalto uditivo che martella l’ascoltatore fin dall’inizio, e qui gli Aeternus sono maestri: essere in grado di mantenere un ritmo così frenetico per circa 45 minuti, senza quasi mai rallentare o fare pause, lasciando l’interazione col pubblico al minimo, è un’impresa titanica.

Architetture melodiche, e il gusto per passaggi oscuri e gelidi che da sempre accompagnano gli Aeternus vengono a pieno esplorate ed espresse. I giochi di luce, con i loro toni freddi e tenebrosi, hanno creato un’atmosfera perfetta per la musica di questi artisti. Il growl e le profonde urla di Ares fanno un ottimo lavoro nel trasmettere un odio velenoso, e sebbene questo frontman sia il principale talento creativo della band, un plauso va al batterista, vera spina dorsale del gruppo, per aver dato alla performance la sua potenza distintiva.

La prima fila si lascia andare a un headbanging che sposta ancor di più la transenna, io temevo che sarei rotolata tra i piedi di Ares da lì a poco, mentre dal fondo della sala i pogatori più audaci lo aizzano con un Dai che ci stiamo addormentando!Ares replica You know what headbanging is all about, let’s do it! Diventando, se possibile, ancora più energico, rivaleggiando con gli individui più attivi in sala.
Possiamo dire che la missione è compiuta, il pubblico è quanto mai caldo e carico per il quarto round, quello degli headliner per i quali siamo tutti qua.

Leggermente più lungo ora il cambio set, si sgombra il palco, la batteria che per tutto il tempo ha portato il nome degli Aeternus ora rivela il nome dei legittimi proprietari: direttamente dall’Armageddon, spietati, letali, stanno per arrivare i Gorgoroth, icone del Black Metal norvegese alla terza data italiana del loro tour per il trentatreesimo anniversario della band.

Prendono il nome da un luogo immaginario presente ne “Il Signore Degli Anelli” di Tolkien, Ered Gorgoroth, un altopiano intriso di male e oscurità. Tredici album dai temi crudi ed espliciti come il satanismo, la venuta dell’Anticristo, e svariati problemi con la giustizia li rendono un gruppo decisamente non per tutti. Noti nell’ambiente metal estremo per la natura cruenta e scabrosa dei loro spettacoli, come quando si esibirono in Polonia nel 2004 esibendo sul palco teste impalate di pecora, in un bagno di 80 litri di sangue ovino, simbologia satanica ovunque e persone nude, ovviamente bagnate di sangue, issate su croci sul palco.

Poco tempo dopo, l’allora vocalist Gaahl venne condannato a 14 mesi di carcere per aver malmenato un cittadino norvegese, e si sostenne che avesse tentato di berne il sangue. Mi viene quasi da credere che il personale “dietro le quinte” che si vede fare capolino durante il live sia lì forse più per l’incolumità del pubblico piuttosto che quella degli artisti, anche se noi avremo una versione all’acqua di rose dei Gorgoroth, nulla di particolarmente sanguinario o crudele, se non la loro stessa infernale presenza.

Cosa che ancora non era successa prima, ma che avevo messo in preventivo, la fog machine inizia a intensificare il suo lavoro e non la smetterà per tutta la durata del concerto: fumo nel naso, negli occhi, fumo sullo stage, fumo in aria, tra poco non vedrò più nemmeno il mio vicino di transenna.
Il pubblico, pronto a immergersi nell’oscurità senza ritorno dei nostri norvegesi, li intercetta mentre si affacciano dal soppalco prima di scendere le scale che li porterà sullo stage, ma durerà poco, perché l’ennesima ondata di fumo li renderà invisibili e ce li ritroveremo sul palco, dopo che un roadie darà l’ok con la torcia dalla luce che ballonzola nella nebbia, come se fosse dotata di vita propria.

Si presentano di spalle, sulle note della marcia funebre di Chopin, mentre qualcuno invoca Infernus, chitarrista, leader e membro fondatore, nonchè unico membro costante in tutti questi anni. Una pioggia di luci rosse rimbalza sul fumo e sui musicisti, rendendo la loro musica ancora più sanguinosamente violenta. Hoest, il vocalist che è anche fondatore dei Taake, continua a far oscillare il supporto del suo microfono in modo minaccioso sotto i nostri nasi e sopra le nostre teste, se solo avesse voluto avrebbe potuto prenderci in pieno.

Più li osservo e più mi domando quanto tempo ci vuole per truccarsi così da cadaveri o zombie sopravvissuti all’Apocalisse, con sangue che cola dalla testa (parrebbe artificiale, ma con loro non si sa mai), sulla canottiera, sangue sulle mani, sulle borchie, una carneficina fatta e finita. Hoest porta anche lenti a contatto bianche che si arrossano quando il sangue gli cola negli occhi, con un effetto davvero inquietante. Vi siete fatti il segno della croce?

Quello che li distingue da tutti gli altri cadaveri, ops, volevo dire artisti della scena black, è la loro naturale capacità di creare brani che non durano troppo a lungo, ogni traccia è meticolosamente realizzata per creare un senso di urgenza, un imminente senso di sventura e pericolo imminente: una lezione magistrale di intenti maligni altamente contorti.

In scaletta abbiamo i Gorgoroth degli esordi con brani come “Katharinas Bortgang” dall’album “Pentagram”, il loro primo lavoro in studio rilasciato il 12 ottobre 1994 per Embassy Production, pietra miliare di questo genere, classificata come una delle migliori release degli anni 90. Vera e propria opera magna, una gemma nera diabolica, esaltazione delle tenebre messa in musica, le stesse tenebre delle gelide notti invernali norvegesi.

Abbiamo anche tracce dei Gorgoroth più recenti nella forma di “Kala Brahman” da “Instinctus Bestialis”, nono album in studio del 2015: Kala Brahman, che ha significati diversi nella mitologia a seconda della cultura, ma solitamente è un mostro marino, una entità maligna o la divinità suprema che porta morte all’umanità, presenta una sonorità densa, oscura, angosciante, esaltata da un’atmosfera che non potrebbe essere più perversa e mefistofelica di così. I fan che rimpiangono membri del passato come Pest, o Tormentor, possono buttare la nostalgia dalla finestra: questa formazione, il palco, lo ha demolito.

Hoest è una fottuta bestia immonda, un ottimo esempio di cosa dovrebbe essere un cantante e frontman di una band black metal; come mai non sia un membro permanente dei Gorgoroth va al di là della mia comprensione. Sa emulare senza sforzo lo stile vocale di Pest aggiungendo del suo, persino un glaciale clean in “Blood Stains The Circle”, per non parlare dei dei diversi momenti “ugh” che per gli spettatori occasionali forse non significano poi molto, ma per i fan dell’era di Pest sono molto apprezzati.

Come al solito, per i Gorgoroth il contatto verbale col pubblico è ridotto al minimo sindacale, con il vocalist che strappa da terra le setlist, le appallottola e ce le tira addosso, una reliquia che i fan si disputano e di cui fanno tesoro. Il pubblico è in delirio, la transenna non so come abbia fatto a non cedere, il mio zaino fotografico ruzzola via sotto le spinte forsennate della prima fila; tutta questa foga è comprensibile, perché i Gorgoroth si esibiscono molto raramente al di fuori della scena dei festival. Averli qui a Torino in una serata di primavera sembra un vero e proprio dono di Satana. Certo, sono sempre un po’ caotici in termini di cambi di formazione, ma sono sempre e comunque i Gorgoroth: sono grandi, sono infernali, sono letali, e riempiono completamente l’Audiodrome. Il meglio del Black Metal.
Niente soste, nessuno osi prendere fiato, si arriva alla fine del set in anticipo di dieci minuti; Hoest prende e se ne va senza tanti convenevoli, seguito dal resto della band che si attarda giusto il tempo di distribuire altre set list, lasciando gli straripanti acoliti e il personale stupiti, in attesa per qualche minuto per sincerarsi che non fosse la classica falsa uscita, ma li vediamo salire le scale verso il backstage e capiamo che ormai era tutto finito. Niente smancerie, saluti, bis, niente di niente, questi sono i Gorgoroth: nati per portare sul palco l’Inferno stesso, e se non lo avete compreso, probabilmente siete stati al concerto sbagliato.
Articolo e foto di Simona Isonni
Set list Gorgoroth Torino 27 marzo 2025
- Bergtrollets Hevn
- Aneuthanasia
- Gorgoroth
- Katharinas Bortgang
- Ravelation Of Doom
- Forces Of Satan Storms
- Odeleggelse Og Undergang – Blood Stains The Circle
- Cleansing Fire
- Destroyer – Incipit Satan
- Krig
- Kala Brahman
- Unchain My Heart