Se serve, mi chiamate. Lascio la mia casa in Australia, e arrivo qua. Con queste parole, mentre posava la sua chitarra, Hugo Race ha salutato il pubblico de Il Giardino 2.0 di Lugagnano di Sona (VR) il 16 aprile, dopo un concerto generoso. Una scaletta di 16 canzoni, anche se alla fine ne ho contate 17, perché una nel foglio, scritto a mano, che aveva fra i piedi, non era stata inserita.
Un concerto che ha spaziato dagli album realizzati con i Fatalists, la mia band italiana dirà, presentando questi brani, fino all’ultimo lavoro, uno dei dischi più belli usciti, a oggi, nel 2024, e cioè “Fake Is Forever”, album che, dopo 40 anni, ha riportato Race in studio con la band The Wreckery. Mai avrei pensato di tornare a lavorare con loro, ma lo abbiamo fatto, ricorda quando introduce i tre pezzi che vengono eseguiti con la sola chitarra, e l’ausilio di qualche piccolo effetto. In realtà si tratta di un lavoro dal mood post-punk, con canzoni davvero intense, ma che sono in grado di reggere la riduzione alla quale Race le sottopone nel corso di questa serata.
Prima di arrivare a quei tre brani, il cantautore, musicista e produttore australiano, che può vantare anche una importante collaborazione con Nick Cave, ha regalato al pubblico canzoni prese da una produzione davvero ricca e variegata. Lo spettacolo si apre con “Lost In The Material World”, del 2015, brano che subito ci porta nel repertorio dei Fatalists. La maggior parte della scaletta vedrà pezzi presi dai dischi di quella band, ed è normale. È come se questa prima fase di show da solista servano come prova generale per le tre date che lo vedranno, a breve, esibirsi con questa formazione. Senza scordare che lo stesso Race, che ha vissuto alcuni anni in Italia, dichiara tranquillamente di eseguire brani scritti con la mia band italiana, di qui.
Certo, la speranza e il desiderio che mettesse le mani nei suoi ultimi lavori da solista, uno più bello dell’altro, c’erano. Soprattutto sentire qualcosa preso da “Dishee” del 2021, lavoro splendido. Peccato. Ma non è che lo spettacolo sia stato meno interessante, anzi.
Un concerto fumoso, annebbiato e tenebroso, con un mix di atmosfere che hanno mescolato, con la giusta sapienza, Nick Cave, Tom Waits e Mark Lanegan. Tutti seduti a un bancone, a fumare in compagnia, ma non per festeggiare. Il tutto condito con una presenza scenica da personaggio fatto da un romanzo steampunk, straordinariamente sgangherato e sgangherabile. Dimensione che si sposa a meraviglia soprattutto nel brano “Love Blues”, che arriva diretto da un altro album interessante, e cioè “John Lee Hooker’s World Today”. Anche in questo caso, è un disco che nella scaletta non avrebbe sfigurato.
Il pubblico è selezionato. Ci sono veri appassionati, che arrivano anche da lontano; persone che seguono il Nostro, e ne conoscono pose, musica e atmosfere. C’è chi ascolta in religioso silenzio; ma anche chi si getta in prima fila, in barba ai posti prenotati perché, gli ripeterà circa 1000 volte nel finale, mentre firma dischi e cd, mi hai portato in un altro mondo, altro mondo, altro mondo… come un mantra, mimando questo altro mondo anche con le mai. Lui sorseggia una birra, alza lo sguardo dai vinili, e allo stesso tempo le spalle, come a dire, io ho solo cantato le mie canzoni. Nessuna posa insomma, né sul palco, né nel dopo concerto.
Quando annuncia i brani di Fake Is Forever, ricorda la storia di questo gruppo, e del genere che li caratterizzava. “Smack Me Down”, “Stole It From Alpha Ray” e “Get a Name” sono suonate prive di quella ricchezza di suoni che caratterizza l’ultimo album del Nostro. Tuttavia, devo essere sincero: sono versioni che rendono ancora più belle queste canzoni. Segno che il disco, a trazione post-punk, a tratti new wave, è ricco di canzoni che possono benissimo reggere da sole il palco. Soprattutto “Get a Name”, che Race trasforma quasi in un Blues accelerato, con passaggi che ricordano le atmosfere da saloon, mentre si chiede un whisky al bancone, dopo una lunga cavalcata.
Tuttavia, i pezzi che risultano essere il vero tesoro della serata sono quelli dell’album “Once Upon A Time in Italy”, lavoro del 2022, portato in tour nel Belpaese proprio qualche anno fa. “Atomized” mantiene tutto il suo carattere di ballata fumosa. Dispiace che non si possa davvero accendere un sigaro, mettersi la mano fra i capelli, e appoggiarsi su una birra. “Beat My Drum”, che nella scaletta ufficiale doveva essere terza, ma che viene eseguita in realtà a ridosso di “Love Blues”, richiama, nella versione proposta, le atmosfere di John Lee Hooke, diventando un bel Blues trascinato.
“Overcome” trasforma il Nostro quasi in un crooner, unica eccezione della serata. Race non concede nulla alla posa e all’essere personaggio. Si presenta nudo, e cioè vestito solo della sua chitarra, con una tavoletta sulla quale battere il piede, e regala così, minimale e minimalista, quasi due ore di spettacolo vero, onesto, spigoloso e senza fronzoli. Non rinuncia mai, se non su questa “Overcome”, al suo stile ruvido, cupo, e allo stesso tempo intimo.
Ormai il rock mi ha stancato. Io quando entro in casa ascolto la musica di Race, ricorda il titolare del locale, in apertura. Una battuta che però diventa chiara quando il concerto termina, dopo una meravigliosa esecuzione di “Higher Power” del 2015, brano preso da un altro dei tanti progetti di Race, e cioè “Hugo Race & True Spirit”. A quel punto si aprono le porte del Giardino. Fuori è tornato l’inverno, dopo un accenno d’estate. Avete sentito il cambio di stagione? Io non vedo l’ora di andare fra i monti degli Appennini, e fra le loro divinità, dichiara Race prima di salutarci con la frase che ho messo in apertura.
L’atmosfera di vento, con cielo cupo e nuvoloso, mentre tutto tace, è quello che serve per ascoltare questa musica, che di triste non ha nulla. Semmai, questo sì, porta a riflettere, a cercare pace. Chiede di restare da soli, sul cuore della terra, ascoltando questi suoni. Neppure si vuole che arrivi un raggio di sole. Race ci accompagna in realtà nel cuore notte, grazie a un concerto intimo. Solo così si parte alla ricerca di noi stessi, grazie appunto alla sua semplicità: una voce leggermente sporca, e una chitarra.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
Set list Hugo Race Lugagnano di Sona 16 aprile 2024
- Lost In The Material World
- Phenomenon
- Beat My Drum
- Polestar
- Hurdy Gurdy Man
- Mining The Moon
- Elevate My Love
- Overcome
- Love Blues
- Atomized
- Smack Me Down
- Stole It From Alpha Ray
- Get A Name
- Taken By The Dream
- Altered States
- No God In The Sky
- Higher Power