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KISS live Verona

L’attacco del concerto è quello epico, “Detroit Rock City”, e tutto sembra volgere al meglio

KISS foto_AngeloSartori

Dopo i vari rinvii, come accaduto alla stragrande maggioranza dei grandi concerti, l’11 luglio arriva anche il ritorno dell’“End of the road tour” dei KISS in Italia, e fa (malauguratamente) tappa all’Arena di Verona. Questo tour di addio, un po’ un abbocco come con altri dinosauri del rock, che poi non ne hanno mai abbastanza e non riescono a fare a meno di andare avanti a oltranza, aveva già toccato il nostro paese il 2 luglio 2019 a Milano, Ippodromo San Siro. Il concerto era stato imperfetto ma stupendo, con uno spettacolo in grande spolvero. Tutt’altra storia a Verona, concerto che mi ha lasciato un grande amaro in bocca, o meglio negli occhi e nelle orecchie, e che non era l’addio che avrei voluto da una band che seguo dal vivo sin dalla loro prima venuta in Italia, 1980.

Intanto l’assurdità organizzativa da parte del Comune di Verona, della Soprintendenza di Verona, dell’Arena di Verona. Fino alla mattina stessa non si sapeva se il concerto ci sarebbe stato o no, per gli incerti permessi ai fuochi sul palco, poi le due code chilometriche – e non in senso metaforico – per passare sotto ai due soli metal detector; i cancelli sono stati aperti alle 20.15, e alle 21 ancora le persone dovevano finire di entrare.

Il gruppo spalla, i newyorkesi The Last Internationale, attacca comunque da poco passate le 21, nel disinteresse generale, ovvero con mezzo pubblico in giro a cercarsi una birra, il bagno, o il merchandising. Conosciuti per i loro testi impegnati intorno a un power hard rock, ce la mettono tutta; Delila, la cantante, sembra fare ginnastica aerobica pur di coinvolgere il pubblico. Ma questo pubblico è lì solo ed esclusivamente per i KISS. I kissomani non sono un pubblico qualunque, sono specializzati e concentrati sull’ascolto dei loro eroi mascherati, non desiderano altro.

Anzi, sì. Desiderano che il concerto inizi all’ora stabilita, ovvero le 22. Ma aspetta, aspetta, aspetta, dall’impianto continuano a uscire brani di classic rock. Iniziano i fischi, si ripetono, ma niente. Sollo alle 23 parte finalmente l’intro, “Rock and Roll” dei Led Zeppelin. Ci siamo, siamo stanchi sfiniti per la lunga attesa, e i lunghi viaggi in auto da mezza Italia, ma saltiamo tutti in piedi, per non risedersi più.

L’attacco del concerto è quello epico, “Detroit Rock City”, e tutto sembra volgere al meglio, anzi alla felicità. Purtroppo le cose non proseguono come nei nostri sogni; la scaletta è opinabile, la voce di Paul Stanley ormai quasi perduta (e ci chiediamo perché non abbia scelto pezzi in tonalità un pochino più basse), ci sono molte basi pre-registrate, c’è molto chiacchierare a vanvera tra un brano e l’altro, finalizzato a tenerci caldi e coinvolti ma che scade nell’artificiale e nel caricaturale, con tratti di ironia davvero inappropriati e disturbanti.

Gene fa la fiammata in “I love it loud” e vomita sangue dopo il suo assolo, aspetti imprescindibili di un live KISS. Ma insomma, si vede che i musicisti non si divertono più, non hanno nessun coinvolgimento o empatia con noi, sono lì a fare un lavoro, ed eseguito pure in modo un po’ pedestre. Hanno esaurito la vena, ed era meglio essersi salutati tre anni fa, quando c’era ancora una scintilla, un po’ di cuore.

Il palco è minuscolo, e a parte fuochi, botti e fiamme (in esagerata abbondanza, forse in spregio a Comune e Soprintendenza), maxi-schermo sul fondo, coriandoli e palloncini finali, non c’è il solito circo dei KISS, nessuna pedana, nessun cavo per volare. Poco spettacolo insomma. La festa noi nell’Arena la facciamo comunque, cantiamo a squarciagola, battiamo le mani su richiesta – troppo spesso – ma c’è un po’ di sconcerto. E ci continuiamo a chiedere perché facciano “Beth” con Eric al piano, mille altri brani sarebbero sempre preferibili.

Alle 1 di notte il concerto finisce, molti di noi arriveranno a casa solo la mattina, in tempo per una doccia e via al lavoro, con una stanchezza folle addosso. Ne è valsa la pena?

Articolo di Francesca Cecconi

Per le foto si ringrazia Angelo Sartori del Corriere di Verona

  1. Detroit Rock City
  2. Shout It Out Loud
  3. Deuce
  4. War Machine
  5. Heaven’s on Fire
  6. I Love It Loud
  7. Say Yeah
  8. Cold Gin
  9. Guitar Solo by Tommy Thayer
  10. Lick It Up
  11. Calling Dr. Love
  12. Tears Are Falling
  13. Psycho Circus
  14. Drum Solo
  15. 100,000 Years (solo un accenno strumentale)
  16. Bass Solo
  17. God of Thunder
  18. Love Gun
  19. I Was Made for Lovin’ You
  20. Black Diamond
  21. Beth
  22. Do You Love Me
  23. Rock and Roll All Nite
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