
Trent’anni dopo e ancora avanti. Se il tempo logora le mode, smussa gli spigoli e archivia le rivoluzioni, il debutto dei La Crus è la prova che l’avanguardia autentica non conosce obsolescenza. E il 14 marzo, al Capitol di Pordenone, è suonato più attuale di molte nuove uscite.

Nel 1995, La Crus non seguivano le tendenze: le creavano. E lo facevano senza clamore, senza forzature intellettuali, ma con un equilibrio chirurgico tra elettronica, poesia e destrutturazione del Pop. Il concerto ha reso giustizia a questa identità, riproponendo integralmente la scaletta del primo album in una lettura che non aveva nulla di nostalgico, ma tutto di necessario.

A distanza di tre decenni, quei brani suonano ancora come un laboratorio sonoro in cui la canzone d’autore si fonde con un approccio sperimentale che rifiuta ogni manierismo. Strutture minimali eppure stratificate, un utilizzo della voce che non è solo interpretazione ma strumento narrativo, arrangiamenti che giocano con il silenzio e l’assenza, anziché sovraccaricare. Il risultato è stato un’esperienza che ha ribadito come l’avanguardia non sia una questione di complessità fine a sé stessa, ma di visione.

A impreziosire la scaletta, l’interpretazione di due capisaldi della canzone d’autore italiana: “Il vino” di Piero Ciampi e “Angela” di Luigi Tenco. Due nomi che non sono mai stati semplici riferimenti per Giovanardi, ma parte fondante del suo stesso codice espressivo. La loro rilettura non è stata un mero tributo, ma un atto di continuità artistica: la band ha preservato l’essenza di questi brani, incastonandoli in un impianto sonoro più scarnificato e notturno, rendendoli vivi, pulsanti, privi di ogni retorica celebrativa.

Poi è arrivata “Dov’è finito Dio?”, e la tensione si è fatta elettrica. Il brano, già di per sé una delle vette più abrasive dell’album d’esordio, è stato ripensato in una chiave ancor più viscerale: una spirale ipnotica costruita su un impianto ritmico che attingeva a suggestioni ioniche e tribali, evocando un senso di inquietudine primordiale.

Una resa feroce, quasi rituale, in cui la voce di Giovanardi si è fatta perentoria, scavando nelle parole con una veemenza che lasciava pochi spazi di fuga. Un pezzo che ha risuonato con forza come un manifesto di disillusione e ricerca, a raccontare un’umanità in continua involuzione, sempre più distante da sé stessa.

A riascoltarlo oggi, “La Crus” è un album che non ha bisogno di aggiornamenti, perché era già progettato per resistere al tempo. Mentre molte produzioni contemporanee cercano la modernità rincorrendo trend effimeri, il disco d’esordio del trio milanese suona attuale proprio perché non ha mai cercato di essere alla moda. La sua forza è nella radicalità della sua estetica, nella capacità di costruire atmosfere con pochi elementi, nel contrasto tra elettronica e calore umano.

I La Crus nel 1995 erano avanti anni luce, e ieri sera hanno ribadito che non è la musica ad averli raggiunti: sono loro a essere ancora davanti.

Uno dei momenti più toccanti della serata è stato l’omaggio a Bruno Romani, storico membro dei Detonazione, scomparso proprio nella giornata del concerto. Figura chiave della sperimentazione musicale italiana, Romani ha lasciato un’impronta indelebile con il suo approccio avanguardistico al suono, sempre fuori dagli schemi, sempre un passo avanti.

I La Crus gli hanno dedicato “Dentro me”, eseguita in una versione acustica intensa e raccolta, con Cesare Malfatti alla chitarra. Un’interpretazione sospesa, quasi impalpabile, che ha trasformato il locale in una cassa di risonanza per un silenzio carico di significato. Il pubblico ha accolto l’omaggio con un rispetto quasi religioso, consapevole di assistere non solo a un tributo, ma a un momento di pura condivisione emotiva.

Nella seconda parte del concerto, i La Crus hanno aperto il loro repertorio alle opere successive, fino a “Proteggimi da ciò che voglio” il loro ultimo lavoro uscito a marzo 2024. E qui è emersa un’altra delle loro peculiarità: l’incapacità di ripetersi. Ogni brano porta con sé una precisa identità, una scrittura sonora che non accetta di rimanere statica, ma evolve senza mai tradire sé stessa.

La resa live ha esaltato questo aspetto, grazie a una band che ha reso ogni pezzo vivo e vibrante. Giovanardi alla voce ha dimostrato come il tempo non abbia scalfito la sua intensità, anzi: il timbro si è arricchito di nuove sfumature, una profondità interpretativa che rende ogni parola ancora più tagliente e viscerale.

Cesare Malfatti alla chitarra ha mantenuto quel tocco essenziale e visionario, mentre Marco Carusino al basso e Leziero Rescigno alla batteria hanno offerto una sezione ritmica che oscillava tra tensione e rarefazione, perfetta per sostenere l’architettura sonora della band.

Gianni Sansone alla tromba ha aggiunto sfumature jazz che non erano semplici inserti decorativi, ma veri e propri raccordi armonici, intarsiati con una precisione quasi sartoriale nel tessuto sonoro. Ma una delle presenze più carismatiche della serata è stata Chiara Castello: ai cori e alle tastiere, la sua energia sul palco non era un semplice supporto, ma un punto di forza assoluto. Una musicista di straordinaria bravura, capace di dare tridimensionalità al suono con una presenza scenica strabordante, ma mai invadente.

Non c’è stato bisogno di effetti speciali, scenografie imponenti o sovrastrutture visive. L’impatto del live è arrivato tutto dalla musica, dai suoni, dalle voci e dall’illuminazione evocativa. Un’estetica non ricercata, ma potentissima, capace di amplificare la tensione emotiva senza bisogno di espedienti visivi forzati. La vera avanguardia non è un’idea, è un’urgenza. Non si misura in anni, ma nella capacità di restare rilevante, scomoda, impossibile da ignorare. Trent’anni dopo, i La Crus non sono il passato: sono ancora una lezione per il presente.
Articolo di Silvia Ravenda, foto di Linda Lolli 7 marzo a Bologna
Set list La Crus Pordenone 14 marzo 2024
- Natura morta
- Il vino
- Notti bianche
- Nera signora
- Angela
- Soltanto un sogno
- La Giostra
- Buco di pietra
- Lontano
- Dov’è finito Dio’
- Tarab
- Vedrai
- Ricomincio da qui
- Dentro me
- Come ogni volta
- L’uomo che non hai
- Ricordare
- Come una nube
- Mangia dormi lavora ripeti
- Proteggimi da ciò che voglio
- Mentimi
- Io confesso