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Massimo Bubola live Littorina sul Mincio (VR)

Fra i pochi grandi autori della musica colta italiana ancora in attività

Massimo-Bubola RobertoFontana2022

Sono a vedere un concerto sottolinea, a piena voce, chi è seduto nel tavolo dietro al nostro, mentre parla al telefono e attende di ordinare la sua cena. A quel punto mi dico fra me e me: ma davvero anche io sono venuto a vedere un concerto? Ho sempre pensato di andare a sentire un concerto e, in aggiunta, anche a vedere uno spettacolo. Qui però, alla Littoria del Mincio 16 giugno, locale sul confine fra Peschiera del Garda e Valeggio sul Mincio (terre ai margini dei territori mantovani, veronesi e bresciani), tutto è essenziale: il palco di legno, le due piantane per le casse e le due per i fari; alberi e fiume Mincio come sfondo. Di spettacolo visivo dunque, se non quello del tramonto, ce ne sarà poco. E così è chiaro fin da subito che anche questa edizione di “Musica in Littorina 2022” è costruita per chi vuole ascoltare un concerto. Allora facciamo così: io farò alla mia maniera – e me lo dico sempre fra me e me – e mi ascolterò il concerto. Non lo guarderò insomma, ma ascolterò, con attenzione, tutte le parole che verranno pronunciate su quel palco.

Massimo Bubola infatti, con Guccini ormai in pensione, è fra i pochi grandi autori della musica colta italiana ancora in attività. Non solo, Bubola ha saputo dimostrare, con una carriera lunga e articolata in 21 album, oltre a una ricca produzione di testi per i più grandi cantautori e cantanti italiani, che la musica, e cioè il suono unito inscindibilmente alla parola, è letteratura. O meglio, ha messo in chiaro che la parola in musica è potente quanto quella scritta nei libri; e serve per esprimere concetti, raccontare storie e far riflettere. Così posso prendermi la briga di raccontarvi di aver sentito nominare, dopo in due ore di live vecchia maniera (vedremo cosa intendo), personaggi del calibro di Dostoevskij, Ungaretti, Dino Campana, Konstantinos Kavafis, i classici greci, Fernando Pivano, De André, Nick Cave, Leonard Cohen, Picasso, Shakespeare, Euripide, Modigliani, Bob Dylan, Pasolini, Dante, Petrarca e Boccaccio. Ho sentito consigliare libri quali i Canti Orfici, gli Scritti Corsari e lo Zibaldone. Ci sono state riflessioni – non banali – sulla guerra, sulla poesia, sulla natura, sul mondo del lavoro, sulla povertà, sulle nuove schiavitù e sull’omologazione della società di massa. E c’è stato anche tanto altro, ma di tutto non posso dirvi.

Il fatto è che non ho frequentato una lezione universitaria ma semplicemente ho ascoltato un concerto; uno di quelli che, un tempo, erano la normalità e che oggi invece sono rari, anzi rarissimi, e spesso fanno pure arrabbiare gli ascoltatori. Insomma, nessun chiacchiericcio querulo informato e sordo, ma un concerto minoritario, senza dubbio se paragonato agli standard attuali, e che può aver spaesato chi, cenando, sperava nel solito intrattenimento di sottofondo. Bubola non ha fatto sconti, e ha fatto bene. Se lo può permettere e se lo deve permettere perché di banalità, come del senno di poi, son piene ormai le fosse, reali, virtuali e digitali.

La struttura del concerto è stata semplice, nell’accezione di essenziale: una canzone seguita da un momento di riflessione. Così fino alla fine dello spettacolo. In questo modo facevano i cantautori quando erano parte del dibattito della nostra società. Parlare d’amore non deve essere mai vano … mi riferisco ai nostri autori del passato, del mondo classico e del Medioevo, i quali hanno sempre pensato che l’amore fosse qualcosa da trattare con grande cura e con grande attenzione come fosse una sorta d’esplosivo. Perché è qualcosa che può salvarti la vita e te la può distruggere. Quindi non ho mai capito questa gente priva di talento che fa solo canzoni d’amore, come se l’amore fosse qualcosa da prendere sotto gamba o da mettere in campo quando non si sa cosa combinare. Questa è una canzone diversa e si intitola Fiume Sand Creek. Ecco questo è un passaggio, a mo’ d’esempio, fra il primo brano in scaletta – “Dostoevskij” e la seconda, la ben nota appunto “Fiume Sand Creek”.

Questo è stato il tono della serata ed è stata così fino alla fine, senza cedimenti. Neppure un moscerino finto in gola, incidente che ha tormentato Bubola per gran parte del concerto, riuscirà a fargli fare sconti. E quando una persona sa parlare, ed è profonda, lo è sempre, anche nelle battute: questo Bardolino – dice alzano un calice di rosso –  che fa rima con moscerino, potrebbe aiutarmi con il suo retrogusto di marasca. Ecco, ora capite quello che cerco di raccontarvi…

Il fatto poi che le sue canzoni – alcune delle quali, come in molti e molte sanno, sono state scritte per De André – siano conosciute non è un alibi per non prestare attenzione alle parole di Bubola. L’ascolto è fondamentale e non solo per gli arrangiamenti che, spiegherà, sono figli di come io ho pensato e costruito la canzone – ed è il caso di “Voltalacarta” e di “Quello che non ho”, suonata a mo’ di blues (che meraviglia) – ma anche per quello che viene raccontato tra le canzoni. Ed io, lo avete capito, ho fatto la scelta di prestare molta attenzione anche a tutte quelle parole. Di tutto questo, per quanto possibile, sto cercando di raccontarvi. Anche, ma non solo ovviamente.

Senza dubbio i concerti sono anche momenti di svago. Certo, ma va sottolineato quel “anche” che vuol dire, semplicemente, “non solo”. Un cantautore è sempre stato un autore che ha avuto qualcosa da dire e lo faceva dal suo punto di vista e cioè quello di un artista che guardava e ascoltava ciò che accadeva nel mondo che lo stava circondando. Poi, una volta filtrato il tutto, la sua arte era quella di riportarcelo, ridarcelo, restituircelo ruminato anche sotto forma di pensieri e parole scomode. Il suo compito, come quello dell’artista in generale, era ed è quello di far sentire la sua voce. Un tempo, infatti, si diceva che queste persone erano state ispirate da muse o da divinità, non di certo dal mercato e dalle classifiche. Alcuni concerti, questo di Bubola in particolare, come un tempo quelli di Guccini, di Lolli, di Fossati, di Gianmaria Testa – solo per citarne alcuni –  richiedono di tornare ad essere ascoltatori. Se non ci riusciamo – legittimamente sia ben inteso – allora la fruizione di questo tipo di musica è davvero compromessa. Facciamo degli esempi.

“Doppio lungo addio”, brano che dà il titolo all’omonimo album (il sesto) del cantautore uscito nel 1994, è un esempio calzante. Questa canzone parla del fratello che abbiamo dentro, che a volte è esistito, a volte non c’è mai stato e a volte è scomparso. Parla della nostra vita doppia che non è una duplicità con un’accezione negativa del termine, come in Shakespeare o in Euripide. È qualcosa che ognuno deve elaborare dentro di se; è una profonda dinamica interiore. Si tratta di una dinamica dialettica e sappiamo che dalla dialettica è nata la nostra cultura, la cultura greca. Bubola parla, non dice parole; pensa e canta pensando, non interpreta solamente.

Il senso dell’ascoltare un concerto, o un cantautore del calibro di Massimo Bubola, in un mondo liquido e veloce dove tutto scorre è semplice e, allo stesso tempo, difficile. Ciò che si richiede è ascolto e attenzione. Non credo sia casuale che il trombonista Mauro Ottolini, direttore artistico di questa rassegna di grande spessore, lo abbia scelto come apertura dell’edizione 2022. La musica, infatti, è arte e racconto che, ricorderà lo stesso Bubola, può essere dalla parte dei perdenti e di chi ha il coraggio di amare la poesia.

Poeta Bubola lo è già, come artista d’altronde. Si tratta di uno statuto che gli spetta di diritto e da tempo ormai e questo si capisce non solo dai testi scritti per De André presenti in scaletta – fra i quali “Se ti tagliassero a pezzetti” e “Canto del servo padrone” – ma anche dalle canzoni che ha scritto e cantato nei suoi 21 album. E’ il caso, fra quelle che verranno proposte, di “Dostoevskij”. Viviamo un’epoca dove in un’Università italiana si voleva vietare un corso su Dostoevskij. Che assurdità. Eppure è successo, lo ricordate? Bubola fa capire, senza nasconderlo, che arriva da un’altra epoca e se la tiene stretta. Il concerto, prima dei bis, si chiude con “Tre rose”, canzone anticata perché scritta sul modello delle serenate che, ad inizio ‘900, si cantavano alle donne, sotto le finestre. Un testo che arriva dal 1981, dall’omonimo album (il terzo della sua carriera). Una canzone che spiazza per bellezza perché smuove i ricordi quando, dopo la spiegazione dell’autore, scopri la storia che l’ha ispirata: quella della nonna di Bubola quando, ormai anziana, raccontava al giovane nipote cantautore di una serenata ricevuta, ma della quale non ricordava il testo. Io le ho fatto questo regalo. Ho immaginato e scritto quelle parole.

Bubola non è nostalgico; semplicemente concepisce il concerto come ormai in pochi sanno fare e cioè un momento durante il quale si incontra una proposta poetica, non commerciale; una proposta artistica, non qualunquista; una proposta che arricchisce e che non dovrebbe mai lasciare indifferenti. Certo, poi sarebbe da capire cosa, oggi, il pubblico pretende e si aspetta da un cantautore.

Va riconosciuto, però, che chi è lì per ascoltare Bubola sa bene chi ha davanti. È un pubblico eterogeneo che ascolta – non sempre in assoluto silenzio – e canta giusto quel tanto che serve per far capire che anche le sue canzoni sono quadri da meditare e che ci appartengono. Sono nostre, quanto sue. Come succede per “Il cielo d’Irlanda”, proposta nel finale, prima dei bis.

“Dino Campana” e “Una storia sbagliata” sono, invece, l’occasione per ricordare vite ed esistenze emarginate dai grandi sistemi di pensiero. O, come nel caso di Pasolini, protagonista del secondo brano, esistenze che vengono portate agli altari per rendere innocuo un pensiero. Nell’introduzione Bubola lo ricorda perché Pasolini era una persona scomoda. E le persone scomode sono impegnative; sono dei rompi b…, non dico di no, ma sono però molto utili alla società e a un contesto sociale. La sua grande forza, più che come poeta e regista, è stata quella di essere un uomo e una coscienza lucida del paese, come una sorta di Cassandra. Ha avuto, ad esempio, un’idea geniale negli anni ’70, e cioè abolire la Tv. Lo scrisse sul Corriere. Era provocatorio, ma capiva che c’era qualcosa che stava disgregando e che avevamo perso per sempre. E’ stato messo sugli altari poi da una cultura che lo ha sempre disprezzato, cosa che non desiderava.

Un tempo, parafrasando il poeta rumeno Cioran, un concerto poteva essere pericoloso e poteva passare idee, concetti, libri e voglia di conoscere. Di certo, nel suo piccolo, quello di Bubola non si può dire che sia stato un concerto pericoloso, ma sono state due ore non banali e ricche di suggestioni, stimoli e idee. La cosa strana è che questo lavoro sia affidato ormai a resistenti e partigiani della parola e del pensiero che arrivano da un’altra epoca.

Non è questione di suoni, e neppure di generi musicali. Il concerto in questione è stato suonato con chitarra, basso e fisarmonica. Certo il Rock e il Folk sono la matrice della poetica di Bubola e il rock d’autore è una delle defezioni che si addicono di più alla sua proposta e che descrivono al meglio la sua produzione. Ci mancherebbe. Tutto vero.

Tuttavia, per chiudere questo racconto, se è l’ascolto che guida davvero serate come queste, oltre alla fortuna di avere ancora sui palchi italiani – anche di piccoli festival – autori portatori sani di pensiero, allora dobbiamo interrogarci, come pubblico, su quello che vogliamo e ci aspettiamo oggi dalla musica. Bubola lo ha fatto, a suo tempo, e oggi non arretra di un millimetro, e anche per questo andrebbe ringraziato. Non solo per aver scritto “Andrea” e “Niente passa invano”, presenti in scaletta. Allo stesso tempo Bubola ha proposto al suo pubblico quello che gli ha sempre portato: riflessioni d’artista, materiali sui quali riflette e, citando le sue stesse frasi, un parlare e un pensare che non deve essere mai vano.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana

Gli altri appuntamenti di Musica in Littorina 2022 sono previsti di giovedì fino al 4 agosto:

  • 23 giugno – Orchestra Mosaica
  • 30 giugno – Licaones
  • 7 luglio – Helga Plankesteiner & Revensch
  • 14 luglio – Mauro Ottolini & Sousaphonix (Bir Factor)
  • 21 luglio – Quintorigo plays Mingus
  • 28 luglio – Little Taver & Crazy Alligators
  • 4 agosto – Marina Santelli & The soul train night

Set list

  1. Dostoevskij
  2. Fiume Sand Creek
  3. Doppio lungo addio
  4. Se ti tagliassero a pezzetti
  5. Quello che non ho
  6. Dino Campana
  7. Capelli Rossi
  8. Una storia Sbagliata
  9. Canto del servo padrone
  10. Andrea
  11. Il cielo d’Irlanda
  12. Tre Rose
  13. Rosso su Verde
  14. Niente passa invano
  15. Voltalacarta

Line up: Massimo Bubola voce, chitarra e armonica / Erka Ardemagni voce / Thomas Sinigaglia fisarmonica / Alessandro Formenti basso

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