La serata del 12 luglio al Pistoia Blues Festival, la vera serata blues, inizia verso le 20, con la piazza semivuota, quando si esibiscono 3 gruppi molto validi: Blues & Jetta di Pistoia, Low Town da Domodossola, e i toscani di provenienza mista Will On Earth.
Mentre la piazza pian piano si riempie, arriva il turno del Mark Lettieri Group, ovvero la band del noto turnista e membro delle band strumentali Snarky Puppy e Fearless Flyers.
Il 40enne chitarrista d’origine Californiana, insieme a Wes Stephenson al basso, Jason Thomas alla batteria, e Daniel Porter alle tastiere, dà vita a un set brillante, sfumato tra Jazz e Funk, la cover di “Time After Time” di Cindy Lauper, alternando la sua PRS rossa a una baritona, pescando dal suo vasto repertorio, ricordandoci il suo proverbiale smooth touch e l’apprezzabile vena melodica, che lo ha reso come compositore vincitore di vari Grammy Awards.
Alla fine del suo set c’è stato il commovente omaggio a un grande del Blues italico, il nostro amato Nick Becattini, accompagnato sul palco da veterani dell’organizzazione di questo storico Pistoia Blues, Fabrizio Berti e Silvano Martini, ascoltando il pezzo tributo a Giovanni Tafuro, patron del Festival, e a tutte le persone che lo rendono da decenni possibile, “Sweet Home Pistoia”.
Alle 21:30 circa la piazza si prepara, si spengono le luci e in un silenzio che sa quasi di concentrazione si sbrigano gli ultimi preparativi per l’atto finale. Sale sul palco il pezzo forte della serata, il Matteo Mancuso Trio.
Seguo questo ragazzo da circa 5 anni, con interesse e stupore, e diciamo che dal primo momento, come ormai da tempo accade in tutto il mondo, a ogni sua apparizione video sul tubo, ci fa cascare la mascella, con un rivolo di bava che pende dalla bocca.
Il trio apre il concerto con la stessa opening track del suo primo lavoro pubblicato anno scorso, “Silkroad”, seguito dal tributo a uno dei suoi massimi ispiratori, Allan Holdsworth – e come dargli torto, Allan è stato forse il più grande chitarrista elettrico di tutto il ‘900, immerso nel suo fantastico e a volte incomprensibile a noi umani mondo armonico – e la strabiliante tecnica che il Matteo Mancuso, con personalità, riesce a far sua, nella versione di “Fred”, tratta dall’album “Believe It”, storico e meraviglioso disco dove questa composizione di Holdsworth vide la luce nell’ensemble Tony Williams Lifetime.
“Open Fields”, “Falcon Flight”, “Samba Party”, la title-track “The Journey”, tutte tratte dal suo primo album, si susseguono nella set list, una splendida versione di “Cause We’ve Ended As Lovers” di Stevie Wonder, facile pensare che però nella testa di Matteo Mancuso possa essere un tributo a un altro grandissimo interprete della sei corde, quella versione strumentale pubblicata da Jeff Beck nel suo osannato capolavoro “Blow by Blow” nel lontano 1975, pezzo scritto l’anno prima e pubblicato sull’album “Stevie Wonder Presents…Syreeta”.
C’è tempo anche per invitare Mark Lettieri sul palco, e lasciarsi andare a una godibilissima jam in Blues. Il set si conclude con quella cover che ha reso famoso Matteo Mancuso nel mondo, quando era un ragazzino, nel 2017, e con i suoi due compagni del tempo, in studio, eseguivano una versione impeccabile e mozzafiato del celebre brano “The Chicken” di Jaco Pastorious. Pubblico in delirio, il trio esce per regalarci una versione infuocata di un altro pezzo originale, “Drop D”.
La mia chiosa sarà di poche parole, Matteo Mancuso (chitarra), Riccardo Oliva (basso) e Gianluca Pellerito (batteria), sono tre alieni meravigliosi, umili, straordinari musicisti, che portano gigantesco nel mondo, il nostro orgoglio italico, e Matteo può tranquillamente già essere annoverato tra i migliori chitarristi, se non proprio il migliore, come citava il titolo di un podcast recente di Rick Beato, uno degli insegnanti e divulgatori di musica sul Tubo più famosi del globo terrestre, in una intervista con il nostro eroe siciliano.
Matteo Mancuso ha una tecnica personale, sbalorditiva, ineguagliabile, le sue transizioni sugli accordi tempestate di velocissimi arpeggi sono proverbiali, e rispetto a tanti fenomeni che il mondo ha partorito negli ultimi anni, ha due grandi pregi in più, non solo tecnica, non solo preparazione maniacale, lui dentro la sua Fusion, mette il Rock, da dove ha cominciato bimbo, c’è il fuoco, e secondo, ha quello che tutti gli altri non possono avere, il cuore e la cultura della sua Trinacria, il sole e la passione latina di un Siciliano. Incontenibile.
Articolo di Francesco Bottai, foto di Irene Arditi