
Il Giardino 2.0 Music Club di Lugagnano di Sona (VR) ha ospitato l’8 aprile la prima tappa del nuovo tour italiano di Michael McDermott, cantautore americano apprezzato, fra gli altri, da Stephen King. Nato a Chicago nel 1969, McDermott è tornato in Italia per presentare il suo ultimo lavoro, il doppio album “Lighthouse on the Shore/East Jesus”. Una serie di canzoni acustiche, dimensione che si addice al cantautore, unite ad altre, nelle quali McDermott prosegue il suo lavoro già ben marcato fin dai primi album del 1991, 1993 e 1995, che però sono stati del tutto assenti nella scaletta presentata in questa prima tappa italiana. La matrice rock è ben chiara, pulita e non irriverente, ma allo stesso tempo solare, senza raggiungere le punte di cupezza tipiche invece di molti suoi colleghi.

Abbiamo assistito, in preparazione al concerto, alla presentazione del tour, durante la conferenza stampa del Festival Bellezze Interiori l’8 aprile a Como. Michael è stato disponibilissimo, e ci ha concesso alcuni scatti informali nelle sale adiacenti alla biblioteca dove si svolgeva l’incontro. Questa gentilezza ovviamente ci ha fatto crescere ancor di più la voglia di vederlo sul palco.






Preceduto sul palco dal gruppo veneto Le Fughe de le Matonele, formazione che da anni mette in musica poesie venete, con un’introduzione di 35 minuti che ha fatto da giusto contraltare alla musica di McDermott. Fra Blues e richiami, per il modo di recitare, sia agli Offlaga Disco Pax che al primo Waits, il quartetto veneto ha strappato applausi sinceri anche dai non veneti (ed erano tanti) presenti in sala. Una bella scoperta, che merita attenzione.
McDermott, poi, è arrivato sul palco accompagnato alla chitarra da Alex Gariazzo, musicista che da anni suona con Fabio Treves. La presenza scenica è ben diversa da quella che si vede sulle copertine dei primi album. Se ne esce con un cappello nero e una maglietta aperta sul petto, senza essere volgare, ovviamente. Sembra, di primo acchito, un Boy George d’annata, e non di certo Renga dei Timoria, o Sean Kinney degli Alice in Chains (sulla copertina dell’Unplugged), come appariva invece nei primi album. Mi sia concessa solo questa battuta, che non mira a denigrare nessuno, dato che da quel momento in poi McDermott ha regalato solo tanta bella musica, ben fatta, senza nessuna sbavatura, e con grande attenzione all’umore del pubblico. Ha saputo trasportare i fan nelle sue ballate in solitario, le prime due, con le quali ha aperto il concerto, e cioè “The Outer Drive” e “Sick Of This Town”, entrambe prese da “St. Paul’s Boulevard”, lavoro non eccelso negli arrangiamenti Rock, un poco stanchi e stantii. Qui, invece, i due brani, in solitario e in acustico, sembrano andare nella direzione di un folk/blues statunitense, con un’attitudine che ricorda quella delle atmosfere di “Western Stars”.

Dalla terza canzone in poi Gariazzo ha affiancato McDermott, e il duo è davvero ben affiatato. Con “East Jesus” è iniziata l’esecuzione (non integrale) dell’ultimo lavoro, e devo dire che questa è stata la parte più bella. La session acustica di questo disco vale tutto il prezzo del biglietto. Un mood chiaramente rock, non di certo folk, ma tanto pulito e cristallino, accompagnato da una voce roca quel tanto per non essere di maniera, che di fatto si trascina tutte le altre tracce che non fanno parte di questo album.

McDermott non è andato oltre il 2016 come scelta di scaletta, eseguendo canzoni solo da dischi quali “Willow Springs”, disco da avere in casa; “Out From Under”, un album discreto, ma di certo non una sua pietra miliare; “What In The World…”, disco del 2020 decisamente migliore del precedente, i cui brani, in versione acustica, hanno acquistato lo statuto di ballad quasi di stampo classico.

Due i momenti intensi, e cioè “I Am Not Your Father”, dove McDermott passa alla tastiera e prende atto che ogni uomo – come lui d’altronde – alla fine arriva a somigliare al proprio padre. Un momento di terapia di gruppo che non lascia indifferenti alcuni fan, che si commuovono alle sue parole. La cosa non sfugge all’artista che condivide così un vissuto intimo con il suo pubblico, e la canzone, anch’essa presa dall’ultimo lavoro discografico, si conferma come una delle migliori proposte di questo album. Stessa cosa per “Nothing Changes”, una delle canzoni più belle di questo doppio cd. Peccato solo che il cantautore americano non abbia raccolto l’invito de Le Fughe de le Matonele e non abbia eseguito “Where God Never Goes”, canzone fra le più recenti della produzione, che la band veneta cita nel finale della sua session introduttiva. Un testo alla Tom Waits, che avrebbe fatto da contro altare al dittico finale “Let A Little Light In” e “Getaway Car”, brano con il quale si chiude lo show, prima dei generosi bis, e con il quale McDermott chiama il suo pubblico a un coinvolgimento catartico, prima dei saluti finali.

I bis sono puntualmente arrivati dopo che il pubblico, rumoreggiando il giusto, non era disposto ad alzarsi prima di aver sentito ancora qualcosa (a conti fatti, il tempo è volato, con circa un’ora e quaranta di musica). Il duo McDermott e Gariazzo ha chiuso questa tappa con due brani sempre dal disco del 2024, e cioè “Bradbury Daydream” e soprattutto “Gonna Rise Up”, che, se non fosse una canzone del 2024, si potrebbe pensare sia invece un suo grande classico, dato che tutto il pubblico si anima a cantarla.
Il finale è in stile Giardino, e cioè McDermott fra i suoi fan che firma dischi, scatta foto e ascolta gli immancabili super fan che gli fanno firmare vecchie fotografie e pezzi rari della sua discografia. Si stupisce anche lui di così tanto affetto e della serietà di un pubblico che ha saputo apprezzare questa proposta musicale non del tutto innovativa, ma capace di emozionare per la sua pulizia, e per intensità d’esecuzione. Da questi musicisti americani, spesso osannati in patria e qui da noi, ovviamente, poco noti (ma la proporzione fra il pubblico statunitense e quello italiano non è neppure da prendere in considerazione), c’è sempre da imparare che la musica, al netto del valore artistico, è anche un lavoro, e come tale va fatto bene e in modo serio, con rispetto per il pubblico.

Quando non puoi contare su orpelli e grandi allestimenti, resti nudo davanti ai suoi fan. E in quel caso la differenza la fa se sai suonare, tenere il palco, e hai buone canzoni da proporre a chi ti ascolta. McDermott ha confermato, ancora una volta, di avere tutte queste caratteristiche. Resta in giro in Italia per alcuni giorni del mese di aprile, su e giù per il Belpaese. Il mio consiglio è di andare a sentirlo dal vivo.
Articolo di Luca Cremonesi
Foto della conferenza stampa di Roberto Fontana, foto del concerto di Daniela Martin
Set list Michael McDermott Verona 8 aprile 2025
- The Outer Drive
- Sick Of This Town
- The Arsonist
- East Jesus
- I Am Not Your Father
- What In The World
- Goddamnit Lovely
- The Last Few Days
- Nothing Changes
- Knocked Down
- This World Will Break Your Heart
- Let A Little Light In
- Getaway Car
- Bradbury Daydream
- Gonna Rise Up