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Nick Cave live Milano

Performance dove il corpo dell’artista si fonde con il suo pubblico grazie alla sua capacità ipnotica

Ipnotico. Totale. Immersivo. Mai come in questo caso, e cioè il live di Nick Cave a Milano al Forum d’Assago del 20 ottobre, unica data, per ora, del tour di “Wild Dog” in Italia, vale la pena parafrasare Dante. Con le parole è davvero difficile significare quello a cui si è assistito. La scaletta, come ormai impongono i tempi moderni, era da giorni disponibile su Spotify. Tuttavia, la playlist non rende affatto l’idea di quello che Cave ha messo in scena con i Bad Seeds e Warren Ellis nel capoluogo lombardo.

Che Cave sia capace di darsi al suo pubblico in modo fisico, totale ed erotico, è cosa nota fra chi segue le sue esibizioni live. Semplici concerti? È davvero dura definirli così. Di fatto sono performance dove il corpo dell’artista si fonde con il suo pubblico grazie a una capacità ipnotica che Cave possiede di sua natura. Eppure, quando esce sul palco, sembra il bravo scolaretto di una facoltà di economia. Giacca e camicia, completo da impiegato, e scarpetta lucida. Capello laccato e composto. Saluto impostato, per poi dare il via allo spettacolo con una potentissima “Frogs”, brano dall’ultimo lavoro “Wild God”, un’opera di redenzione dopo due album sofferti. Uno in particolare, nato dopo la morte prematura del figlio. Al quale ha fatto seguito un lavoro a quattro mani con Warren Ellis, fedele e sodale di Cave, soprattutto nella stesura di colonne sonore. “Wild God” segna così il ritorno alla luce di un uomo e di un artista che non ha mai regalato, a oggi, un lavoro uguale al precedente. Senza mai essere banale, e senza mai tradire in nessun modo se stesso.

Nulla lascia presagire, si diceva, che dopo pochi secondi quello scolaretto della facoltà di economia di una città anonima di provincia, diventi un artista capace di catalizzare su di se un intero palazzetto. Nessuna paura del suo pubblico, anzi. Una ricerca del contatto fisico che passa anche dal concedere il proprio corpo al pubblico, a più riprese: per farsi sostenere, con mani e braccia, o quando si lascia cadere nelle prime file, per poi farsi spingere di nuovo sulla passerella. A quel punto la platea, ma anche chi, come chi scrive, è sugli spalti, è tutto nelle sue mani, nella sua voce e, soprattutto, nel suo spirito. Una voce cavernosa e potente e che, allo stesso tempo, cattura anche quando, con naturalezza, si rivolge alle prime file per spiegare, con poche battute le canzoni.

Un catalizzatore di energia e de attenzione, che fa dimenticare che sul palco c’è un altro gigante, e cioè Warren Ellis che, per tutto lo spettacolo, vive la musica; segue attento l’aura di Cave e ne cattura e amplifica ogni nota. I suoi pezzi al violino sono frutto di una vera possessione, come d’altronde la sua voce tirata in quel capolavoro che è “Bright Horses”, unica canzone proposta da “Ghosteen”. Stessa cosa per i due brani di “Carnage”, album scritto a quattro mani con Cave, in epoca Covid, e cioè la stessa “Carnage” e “White Elephant”, con la quale chiudono lo show, in un crescendo che ha più del rito magico e sciamanico, e non più qualcosa che rimanda al semplice mondo dello showbiz.

In mezzo poi, ci sono momenti magici, come l’esecuzione di “Tupelo”, brano che ricorda il temporale della notte nella quale nacque The King, e cioè Elvis. Come nel caso della canzone dedicata ad Amy Winehouse, Cave cattura e trasfigura la magia degli elementi e crea un’atmosfera da vera venuta al mondo, quasi che gli elementi si siano fusi insieme in modo magico, per generare una vita destinata a trasformare la storia. L’esecuzione è perfetta, con Cave letteralmente posseduto, che salta fra piano, palco e realtà. Solo le braccia delle prime file lo possono contenere.

Stessa situazione si è vissuta poco prima, quando una splendida esecuzione di “From Her to Eternity”, brano recuperato dal primo disco di Cave, apre il campo a una ancora più intensa esecuzione di “Long Dark Night”, dando così vita a un dittico potente, che impone poi un ritorno alla realtà sul palco, con “Cinnamon Horses”, brano che nell’ultimo album resta in sordina, ma che dal vivo, nell’atmosfera che si viene a generare dopo la folle estasi delle due canzoni precedenti, sboccia e dimostra tutta la sua forza. “I need you” è senza dubbio uno dei momenti più intensi della serata, con Cave solo al pianoforte, che scandisce con forza un testo che è nato dal dolore prima del dolore, quasi che la sua arte gli abbia permesso di fare le prove di quello che poi la vita gli avrebbe riservato, poco dopo la chiusura del master di quell’album, ingiustamente ritenuto minoritario nell’economia della sua musica.

Il finale regala quattro pezzi, soluzione che Cave, fino a quel momento, a riservato solo a poche piazze. Milano, però, ha saputo cogliere l’energia di Cave, farla sua, e restituirla rigenerata all’artista australiano che, quasi come a un concerto di gruppi italiani figli degli anni ’60, continuerà per tutta la sera a ripetere un mantra, e cioè le parole di “Coversion”, e cioè Stop! You’re beautiful! You’re beautiful! You’re beautiful again, più e più volte (lo fa in tanti spettacoli, ma così molte volte, non credo…).

Insomma, uno spettacolo totale perché capace di coinvolgere tutto il corpo, oltre all’anima. E quando Cave, dopo il nuovo bagno di folla e ultimo rito collettivo, sulle note della splendida “Papa Won’t Leave You, Henry”, si siede al piano e chiude lo spettacolo con “Into My Arms”, tutti ci risvegliamo da oltre due ore di pura magia. Ed è un risveglio altrettanto lontano dall’ordinario perché Cave, dopo aver raccolto tutta l’energia del palazzetto, la trasforma e genera così un’esecuzione travolgente. Il Forum canta in totale estasi. Thank you, semplice e pulito, sono le uniche parole, e fanno capire come Cave si stia godendo lui, ora, quella magia che ha creato e che il pubblico, in modo del tutto spontaneo, gli rende nell’unico modo che può: cantando a tempo, scandito dal suono del suo pianoforte. Che dire, è stata pura bellezza.

Lo spettacolo è finito, purtroppo. Tornare alla realtà di una Milano notturna, barbarica e rumorosa, è davvero dura. L’unica consolazione? Che Cave ha ancora molto da dire, e da raccontare. Una sola nota, in chiusura. Ad arricchire una band che è stata perfetta c’era, al basso, Colin Greenwood dei Radiohead. Di Warren Ellis abbiamo detto, mentre merita un’ovazione Larry Mullins alla batteria, che sorregge tutto lo spettacolo con ritmi intensi e pieni, e con suoni ipnotici. Tutto funziona alla perfezione in questo spettacolo, ed è una vera grazie ricevuta.

Articolo e foto di Luca Cremonesi

Set List Nick Cave Milano 21 ottobre 2024

  1. Frogs
  2. Wild God
  3. Song of the Lake
  4. O Children
  5. Jubilee Street
  6. From Her to Eternity
  7. Long Dark Night
  8. Cinnamon Horses
  9. Tupelo
  10. Conversion
  11. Bright Horses
  12. Joy
  13. I Need You
  14. Carnage
  15. Final Rescue Attempt
  16. Red Right Hand
  17. The Mercy Seat
  18. White Elephant
  19. O Wow O Wow (How Wonderful She Is)
  20. Papa Won’t Leave You, Henry
  21. The Weeping Song
  22. Into My Arms
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