La neve, caduta dopo anni, non ferma la serata che l’Arci Monamì di Montichiari (Bs) ha organizzato con Omar Pedrini, anima dei Timoria, in omaggio a Piero Ciampi, poeta e cantautore di Livorno, il 19 gennaio. La serata è una chicca, non solo per l’ingresso gratuito in questo locale che, da alcuni anni, resiste e propone musica di qualità nell’aridità delle zone di confine fra le provincie di Brescia e Mantova. Ciampi è musica davvero per pochi, anzi pochissimi, e Pedrini, in questa veste di divulgatore della canzone d’Autore (rigorosamente con a maiuscola), è poco noto, se non ai suoi fan più stretti. E così nella sala del Monamì ci sono davvero intenditori, estimatori ed amanti del genere.
Il Pedrini che non ti aspetti. Ed è davvero un piacere vederlo così, pane al pane, vino al vino. Attento conoscitore, come dimostrerà nella seconda parte dello spettacolo, della musica e della poetica di Ciampi, della beat generation (cosa più risaputa e nota), di letteratura e di vino (passione conosciuta grazie alle sue recensioni, raccolte ora in volume, oltre alla sua amicizia e frequentazione dei grandi giornalisti, e scrittori, quali Veronelli e Mura), un Pedrini insomma che spiazza e che regala 90 minuti circa di ottima musica. Al suo fianco ci sono Carlo Poddighe, anch’egli conoscitore di Ciampi, e chitarrista di Pedrini, Davide Apollo alla voce (cantante dei Precious Time, cover band dei Timoria) e, nel finale, Giovanni Peli, editore che ha il merito di aver rieditato l’introvabile “53 poesie” di Piero Ciampi.
La prima parte del concerto è un omaggio ai Timoria, e al passato di Pedrini. La serata si apre con una versione acustica di “Senza vento”. Non me ne voglia nessuno, ma se c’è una canzone che riassume bene quegli anni ‘90, questa è “Senza vento” e, per di più in versione acustica (senza nulla togliere al Rock nostrano dell’esecuzione originale). Apollo poi ha voce da vendere, timbrica alla Renga di quegli anni, e physique du rôle. Ne deriva che “Senza vento” e “Sangue impazzito” portano la sala a cantare quasi a squarciagola. Momento bellissimo che fa pensare… Sì, non conviene dirlo, ma davvero vien da pensare che… Ma davvero, non apriamo il vaso di Pandora.
La serata è nata per divertirsi e omaggiare Ciampi e la buona musica ricorda Pedrini, e così c’è spazio anche per una bella cover, ruspante, di “Redemption song”. Ruspante non perché cantata male, ma perché ricorda davvero amici attorno al fuoco che, chitarra alla mano, cantano i grandi classici. Pedrini, che potrebbe permettersi tutto, dimostra grande umiltà e attenzione verso i classici e i maestri. Nel suo repertorio solista pesca due vere perle. “Lavoro inutile”, brano presentato a Sanremo nel 2004, è l’alter ego, ancora più intima, de “La valigia dell’attore” di De Gregori. Bella, ed era tempo che non mi capitava di ascoltarla. Un’ottima canzone d’autore che lo stesso Pedrini non lesina a definire canzone ciampiana. La versione acustica le dona ancor più profondità e corpo. Stessa cosa succede con “La follia”, brano che chiude questa prima parte dopo due altri doverosi omaggi ad un repertorio, quello dei Timoria, che in questi anni Pedrini (lui sì, senza alcuna paura) ha fatto rivivere con grande onestà e spessore. “Sole spento” non necessita di presentazione, perché di fatto è il sequel di “Senza vento”, mentre “Freedom” viene raccontata nella sua genesi: il mare, i Timoria e la band dell’epoca di Ligabue (i Clan Destino) al termine del tour a Porto Recanati, e una luna che ispira. Bella la storia e bella l’esecuzione.
Insomma, lasciatemelo dire, Pedrini potrebbe benissimo aspirare al ruolo di cantastorie alla Guccini, senza nessun timore di sfigurare. “La follia”, infatti, è altro brano carico di vissuto, nato dopo la morte di Veronelli. Conoscere la genesi di una canzone è fra le più belle esperienze che si possono vivere in contesti intimi come questi. Ecco perché il ruolo di cantastorie, oggi, si addice a quello che si definisce lo “Zio Rock”, e cioè Omar Pedrini.
Prima di addentraci nella seconda parte, vale la pena spendere due parole per Carlo Poddighe che accompagna in modo splendido Pedrini. Regala soli affascinanti, come nella coda di “Senza Vento”. Si addentra in James Brown, sempre nel finale di “Senza vento”, e omaggia sia Sergio Leone che Ennio Morricone in “Sole spento”. Suona una chitarra scarnificata al centro, manomessa per i suoi bisogni. È davvero un ottimo musicista, ed è un piacere ascoltarlo. La seconda parte è tutta dedicata a Piero Ciampi. Alla fine saranno solo 4 le canzoni cantate, oltre a una ventina di poesie lette. Per alcuni, a fine serata, è un po’ poco. Per me no. Per due motivi.
Ciampi è materiale da trattare con le pinze. E per quanto chi fosse lì sapesse a cosa stesse andando in contro, è ben altra cosa trovare schiere di fan adoranti del cantautore livornese. Ricordo ancora la morte di Gianmaria Testa. A sentire i social, era il cantautore più ascoltato in Italia. A sette anni dalla sua morte non c’è ancora stato un omaggio degno di questo nome. Ciampi, insomma, non è De André, e il suo repertorio (di Ciampi ovviamente), va maneggiato con cura. Meglio poco, ma buono, che troppo, e messo nelle mani di chi rischia di non apprezzarlo, pur in buona fede. Pedrini spiega, illustra, mostra. La materia non è facile. Omaggiare, poi, non vuol dire rifare. Ma far vivere e ri-vivere. Ed ecco il secondo motivo del perché 4 brani, e 20 poesie, sono sufficienti. Tutto il concerto, per come è stato impostato, è ciampiano. E serve osare per farlo, e Pedrini lo fa, si mette in gioco (senza timori) perché sa di avere materiale che non fa sfigurare. Se Ciampi viveva i suoi testi, le canzoni che Pedrini ha proposto al pubblico sono testi vissuti. E così, pur se è vero che i brani di Ciampi sono stati solo 4, allo stesso modo è pur vero che la serata ha omaggiato al meglio questo autore.
“Non c’è più l’America” è un testo degno di un’antologia di testi post-moderni. Un piccolo trattato di sociologia messo in musica. “Sporca estate” è poesia messa in musica, o canzone poetica che dir si voglia. “Ha tutte le carte in regola (per essere un artista)” fa parte di quella grande tradizione di teatro – canzone che tanto ha dato alla cultura italiana. “Il vino”, canzone celebrata dai La Crus e, di recente, da Vinicio Capossela, è la degna chiusura della serata dopo il reading di poesia eseguito da Giovanni Peli, declamatore ed editore del volume “53 Poesie”. Se la cosa era improvvisata, onore alle armi. Se era stata provata, meglio ancora, perché davvero non sembrava essere studiata a tavolino.
In alto i calici e gran finale, con inchino di chiusura. Che dire se non che serate così sono un bene per tutti. Per chi ascolta e per chi, artista acclamato, torna alle origini, ma con un bagaglio d’esperienza ben diverso. Serata breve e intensa alla quale, se vi capita, conviene assistere.
Se Brescia e Bergamo sono, in questo 2023, capitali della cultura con grandi show di piazza, e se per ascoltare Madonna a Milano servono parecchie centinaia di euro, beh allora forse noi pubblico dobbiamo cominciare ad esigere sempre più operazioni di questa natura. Non solo per far conoscere la musica di qualità prodotta in Italia, ma anche per far uscire da un ruolo, ormai troppo cristallizzato, musicisti che hanno molte più frecce alla loro faretra di quanto si creda.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
Set list Omar Pedrini Montichiari 19 gennaio 2023
- Senza vento
- Sangue impazzito
- Redemption song
- Lavoro inutile
- Sole spento
- Freedom
- La follia
- Non c’è più l’America
- Sporca estate
- Ha tutte le carte in regola (per essere un artista)
- Il vino