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Peter Gabriel live Verona

Mancava Peter Gabriel e, soprattutto, ci mancava questo Peter Gabriel

Cosa dire mai dell’ultimo live di Peter Gabriel, mi domando? La risposta è che la difficoltà non è mai nel parlare di un bel concerto, come quello andato in scena all’Arena di Verona il 20 maggio, che ha segnato il ritorno sul palco, in ottima forma, di Peter Gabriel. Semmai, a pensarci bene, il problema è affrontare una discussione relativa a un brutto concerto. Quindi, nessuna difficoltà nel trattare di questo show. Soprattutto perché – a quanto andato in scena a Verona – lo spettacolo è stato di ottima fattura e, allo stesso tempo, questa perfezione non è stata priva di alcune sbavature che hanno reso umano, molto umano, un grande artista che, dopo qualche anno di silenzio, è tornato a far sentire la sua voce.

Mancava Peter Gabriel e, soprattutto, ci mancava questo Peter Gabriel. Gli ultimi progetti erano quanto meno particolari (per essere gentili): concerti di cover, show con orchestra, e altre situazioni anomale. Insomma, un tour vero e proprio, con musica nuova, non veniva messo in scena dal “Growing Up 2003”, figlio dell’album “Up”, l’ultimo con inediti. Quindi, a conti fatti, una serie di concerti, figlia di un album con nuove produzioni, mancava da almeno 20 anni. Gabriel, con questo ritorno, conferma tutto quanto sappiamo di lui. Si mostra in grande forma, consapevole dei suoi 73 anni (è nato nel 1950), e costruisce un concerto che tiene conto della sua attuale forma fisica. Niente biciclette piccole con le quali girare sul palco; nessuna pedana girevole; nessuna cabina dalla quale telefonare e, soprattutto, nessun mascheramento (solo una tuta arancione all’inizio). Chi scrive ha visto Gabriel live dal 1994, a Modena, fino a oggi. Tutti i tour, dunque, nessuno escluso (compresi quelli discutibili, dei quali si parlava poc’anzi). Quindi termini di paragone ne ho, e di questo non mi preoccupo. Quello che si può dire, senza temere smentite, è che questo tour è lo show di un grande innovatore che, consapevole di quello che è oggi, non ha nostalgia del passato, ma guarda con occhio critico e attento al futuro. Come sempre, d’altronde …

I temi proposti in queste oltre due ore di spettacolo sono di quelli che contano: il cambiamento climatico, la connessione fra esseri umani, l’intelligenza artificiale, il nostro futuro collettivo, e l’essere umano che, oggi più che mai, deve sopravvivere in mezzo a queste dimensioni. Il tutto declinato con vecchie e nuove canzoni che Gabriel, nel caso delle seconde, propone prima live che su disco, in direzione ostinata e contraria rispetto a quanto impone il mercato. La legge solitamente è: singolo, album nuovo, e a seguire tour. Gabriel, invece, ha rilasciato nelle scorse settimane qualche singolo in varie versioni. Ora, invece, si è deciso a portare live una bella serie di pezzi nuovi, non ancora usciti quindi sotto formato di disco (reale o virtuale che sia). In questa fase, dunque, solo chi andrà ai concerti si godrà le nuove canzoni. Tutti gli altri dovranno aspettare.

Un bel colpo da maestro per un genio vero della musica contemporanea che, a differenza del suo ex collega Steve Hackett, per dirne uno, non vive sempre e solo nel passato. Gabriel, infatti – come Robert Plant, d’altronde – non si è mai fossilizzato su quanto già fatto. I Genesis sono un passato glorioso. I suoi stessi lavori da solista sono sempre stati una parte importante del suo passato, senza però che lo rendessero schiavo. Insomma, lui ha sempre guardato avanti, al futuro. Prima con il Rock; poi con il Pop-Rock d’autore; e ancora sperimentando, per regalarci capolavori come “So”, e poi l’album in assoluto più geniale, che aprì la stagione della Real World, e cioè “Us”. Purtroppo, in questo tour, “Us” è molto penalizzato, ed è presente solo con due pezzi (“Washing of the Water” e “Digging in the Dirt”). Peccato: personalmente, dati i temi di quel lavoro, avrei proposto anche altro – ma è solo gusto personale, perché il concerto funziona benissimo così come è stato concepito.

Proprio “Washing of the Water” apre lo show, dopo un breve saluto al pubblico nel quale Gabriel ricorda che gran parte di quello che dirà sarà tradotto sugli schermi. Vero… per chi ha fortuna di vederli. Ma dato che, ormai, l’abitudine impone gli overbooking, c’è chi si trova dietro non solo agli schermi, ma anche alla linea del suono. Con 100 euro spesi. Non solo non si legge nulla, ma si ascolta lo show in spia. Prima o poi, insomma, ci si ribellerà a questa modalità… Personalmente, credo “poi”, più che al “prima”, dato che per i concerti è come per il calcio. Vale tutto, e tutti tacciono. Amen…

Torniamo allo show, e a un inizio dove, attorno al fuoco, Gabriel, con il fedele Tony Levin dei King Crimson (ma l’elenco delle sue collaborazioni sarebbe lunghissimo), apre il concerto con il brano del 1992. Tastiera e basso, prima dell’ingresso della band al completo, sempre attorno al fuoco. Si dice che gli elementi necessari per la vita siano stati portati sul nostro pianeta da asteroidi che sono caduti qua ricorda il musicista, non tanto per avvallare tesi strampalate, quando per sottolineare la casualità e, dunque, il dono prezioso della vita che ora è sempre più minacciata da noi stessi.

A seguire, la prima sorpresa, e cioè una versione semi-acustica di “Growing Up”, brano in origine elettronico, quasi dance, che nel tour del 2003 Gabriel proponeva saltando dentro una sfera di plastica con la quale si muoveva in giro sul palco. Qui, invece, si capisce una cosa: Gabriel non farà quello che, ormai, non può più fare per limiti d’età. Bravo. Allo stesso tempo, usando la sua arte, sa che può mettere mano alla sua musica e trasformarla in altro – senza snaturarla, ovviamente. Il risultato finale, dunque, è semplicemente splendido. Non solo su questo brano, ma su tutto lo show, che vira fra il Rock, il Pop, il Jazz e i suoni del mondo. Tornando a “Growing Up”, se ascoltate l’originale vi sembrerà impossibile ridurla quasi all’essenziale, come invece Gabriel fa senza cambiare però in nessun modo il mood della canzone. Applausi, veri e meritati.

La prima parte dello spettacolo entra poi nel vivo con “Panopticom”, singolo che ha segnato, alcune settimane fa, il ritorno di Gabriel dal regno del silenzio. Il controllo, ma anche l’opera di connessione, con la spada di Damocle dell’intelligenza artificiale, come prospettive centrali per l’esistenza della futura umanità. I temi sono quelli, e verranno portati avanti nei nuovi brani che, di seguito, Gabriel esegue live per la seconda volta (la prima a Cracovia il 18 maggio 2023). Si tratta di canzoni che, dal punto di vista musicale, sono figlie di un Gabriel meno ispirato e sperimentatore, ma più attento alla parola. Ci aveva abituato bene, d’altronde. Allo stesso tempo, però, meglio non cercare di innovare per forza quando, alla fine dei conti, lo si è fatto per tutta la vita. “I/O” risulta, dunque, il brano più interessante, sia per i temi (“In/Out”, dentro o fuori, grazie alle connessioni che regolano la nostra esistenza ormai), sia per la costruzione musicale che richiama un poco le sonorità di “Up”.

Su “Digging in the Dirt”, singolo capolavoro di “Us”, Gabriel dimostra di essere umano e, questo, è per me meraviglioso. Sbaglia l’avvio. Dunque, ferma la band, e riparte da capo.  Un meccanismo forse figlio del rodaggio che, di fatto, è ancora in corso. Allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che Gabriel è assente dai palcoscenici da anni. Serve recuperare il ritmo, e questo ci sta, perché lo show è live, e lo è per davvero. L’errore, dunque, è figlio di questa dimensione. E che a sbagliare sia un gigante come lui, è qualcosa che rimette tutto in ordine, dando un giusto peso alle cose. Non esistono divinità, e non esistono macchine che possano sostituire l’essere umano. Meraviglioso. Senza tanti forse, questo è il momento più significativo del messaggio d’insieme che manda Gabriel con il suo nuovo tour: l’essere umano è ciò che davvero conta.

Poi spazio ancora alle canzoni nuove, fra ballad e brani pop che non aggiungeranno storia a una storia che è già scritta nei libri che contano. Musiche piacevoli che, di fatto, mostrano un Gabriel intimo, conscio del tempo che è passato, e che non vuole strafare, ma solo divertire e divertirsi. “Playing for Time”, al debutto live, anche se non si tratta di un vero inedito, è un bel lento, o meglio, una ballad che, in questa nuova versione 2023, fa da collante con l’inedito “Olive Tree”, brano che ricorda sempre le atmosfere di “Up”. La prima parte si chiude con un classico. Gabriel sa bene che con i santi non si scherza. Se si scelgono i grandi classici, allora li si deve tenere e proporre così come sono. Si tratta di “Sledgehammer”, eseguita pari pari a come si trova in “So”. Il primo set, dunque, si chiude con due evidenze. Gabriel è in forma, ma serve comunque rifiatare. Allo stesso tempo la sua scelta è quella di privilegiare la dimensione dell’ascolto. Certo, l’Arena salta in piedi con “Sledgehammer”, come lo farà con “Solsbury Hill” alla fine del secondo set (altro classico non rimaneggiato).

Anche il secondo set, e molto più del primo, punta sugli aspetti del sonoro e dell’ascolto, con una sostanziale differenza. Qui la parte jazz, grazie ai fiati, è dominante, e diversi brani sembrano davvero virare verso suoni che ricordano molto il free-jazz e l’ultimo (e straordinario) Miles Davis. Certo, anche qui ci sono santi che non si toccano come “Red Rain” e “Big Time”, presentate così come sono state concepite. Il resto, invece, è frutto di una ricerca sonora che mira a risparmiare energie senza far venir meno la parte creativa. Insomma, Gabriel non si rifugia nel passato, non rifiuta quanto fatto fino a qui, ma lo rinnova, rimettendolo in circolo per fargli vivere una nuova esistenza. In questa seconda parte ci sono meno inediti, e allo stesso tempo vengono presentate nuove versioni, come “Love Can Heal”, brano che Gabriel ha portato in tour con Sting nel 2016, e “What Lies Ahead”, una ballad che era stata già eseguita live, anche in Italia, dopo l’antologia “New Blood” del 2011. Fra gli inediti spicca “And Still”, dedicata alla madre, canzone di fatto unplugged che richiama le atmosfere del Gabriel più soft, meno rock e pop. Bella, senza essere eccezionale.

“Live and Let Live” è un altro inedito che conferma come l’album, quando uscirà, non sarà, nell’insieme, una ricerca sperimentale, ma solo e semplicemente dell’ottima musica, ben fatta e ben eseguita. Come d’altronde questo live, che si avvia alla conclusione con una band degna di grandi applausi, come sarà al momento della presentazione: il fedelissimo Manu Katchè alla batteria; David Rhodes alla chitarra e voce; l’altro fedelissimo, e cioè Tony Levin al basso; e poi, Don McLean alle tastiere e voce; Richard Evans alla chitarra, flauto e voce; Ayanna Witter-Johnson al violoncello (strepitoso in due brani), tastiere e voce; Marina Moore al violino, viola e voce; Josh Shpak alla tromba (sua tutta la grande atmosfera alla Davis), corno, tastiere e voce.

La chiusura è una sorpresa solo per chi non ricorda le battaglie e l’impegno di Gabriel. Se “In Your Eyes” non stupisce i presenti, “Biko”, e ha dell’incredibile, lascia perplesse le persone, almeno quelle attorno a me. Già, la storia di Stephen Bantu Biko è cara a Gabriel che, con la sua canzone, ha contribuito a farne conoscere i retroscena. La fine non poteva essere diversa se, per davvero, si sono seguite le parole dette (non potendole leggere, ma credo però di averle capite bene…), le canzoni eseguite, le immagini (intra)viste e, dunque, si è stati in grado di percepire il senso di questo show.

Gabriel non abdica al suo ruolo di artista impegnato. Non fugge al tempo, il suo, e a quello della sua biografia, come non dimentica quanto fin qui fatto con tante battaglie per i diritti civili. Ne trae, così, un mix che è fedelissimo al ruolo che si è ritagliato, da solista, nella musica. Perché qui, davvero, nessuno gli chiede e si aspetta i pezzi dei Genesis, che fanno parte di una vita che, ormai, non lo rappresenta più.

All’Arena ci siamo goduti un concerto raffinato, variegato, impegnato e sensibile dove la musica è stata protagonista assoluta; il suono è stato messo in primo piano, e la parola, carica di messaggi, è stata l’essenza propria di questo spettacolo. Arte pura, in tutti i sensi. E così, quando, in una delle pause silenziose dell’Arena, una vociona potente urla dal pubblico lunga vita a Peter Gabriel, non si può che dargli ragione.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana

Set list Peter Gabriel Verona 20 maggio 2023

  1. Washing of the Water
  2. Growing Up
  3. Panopticom
  4. Four Kinds of Horses
  5. i/o
  6. Digging in the Dirt
  7. Playing for Time
  8. Olive Tree
  9. This Is Home
  10. Sledgehammer
  11. Darkness
  12. Love Can Heal
  13. Road to Joy
  14. Don’t Give Up
  15. The Court
  16. Red Rain
  17. And Still
  18. What Lies Ahead
  19. Big Time
  20. Live and Let Live
  21. Solsbury Hill
  22. In Your Eyes
  23. Biko
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