La tappa romana del 4 luglio dei Queens of the Stone Age all’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone” verrà ricordata come la cosa più stilosa e devastante vista quest’anno su un palco italiano. E non era affatto scontato. Sì perché, da una parte le ultime critiche sono state un po’ insistenti. In Times New Roman è apparso a tutti un po’ cupo, Mark Lanegan è morto, la storia del cancro: tutto faceva temere che le performance e la voglia di esibirsi di Josh Homme e compagnia sarebbero state al lumicino.
E poi c’era il fatto che, quando a dicembre dello scorso anno è stata annunciata la loro partecipazione agli iDays di Milano, erano in pochi a sperare di vedere i Queens of the Stone Age giù per lo stivale. Il sold out è stato istantaneo e la partecipazione entusiasta, certo: ma una buona parte di indecisi e di fan del centro-sud erano spaventati dalla prospettiva di un mezzo buco nell’acqua. Poi però passano un paio di mesi, e spunta fuori una nuova data del tour. Due giorni prima. A Roma. Il giorno della Festa dell’Indipendenza americana. Scommetti che questi hanno ancora voglia di far danno? E quindi che fai, non lo compri il biglietto? Di nuovo sold out, sorrisi, compra, ricompra, e pace per tutti.
Il giorno del concerto, il primo colpo d’occhio è affascinante. Lo spazio si presenta raccolto all’interno della Cavea dell’Auditorium, un teatro spaziale con una configurazione a emiciclo ricavata all’aperto della struttura disegnata da Renzo Piano. Il palco sotto, al centro, e la gente che si distribuisce lenta tra il parterre e due livelli di gradoni più in alto, sui tanti posti a sedere. L’acustica ovviamente ci si aspettava fosse perfetta, le aspettative sono alte.
Aperte le porte alle 18, quando il sole si avvia a calare, la giostra parte con i Kemama. La talentuosa rock band brianzola capitanata dalla dj/cantante Ketty Passa ha affrontato il proscenio superando ogni emozione. Il loro Rock si presenta fresco e arrembante, forse perfino un po’ aspro. I testi sono sinceri e le sonorità hanno il gusto dell’Heavy Metal italiano d’inizio duemila, ma senza quel fondo di rinuncia e disperazione. Belli i pezzi, grintosa la voce, travolgente l’esecuzione. Una volta congedatisi l’Auditorium è quasi del tutto pieno, e un muro di occhi è fisso sulle quinte a scrutare.
E poi, i Queens of the Stone Age entrano e attaccano. La formazione è quella che da quasi vent’anni si esibisce in mezzo mondo: c’è Josh Homme ovviamente al microfono, e c’è la “non tanto vecchia” guardia, composta da Troy Van Leeuwen alla seconda chitarra, Michael Shuman al basso, Dean Fertita alle tastiere e Jon Theodore alla batteria.
Nessun annuncio, nessun giro di chitarra: i Queens of the Stone Age si prendono il loro spazio senza tanti complimenti e con calma e sicurezza fanno partire un classico.
La prima tripletta inizia forte. Prima ci sono i riff ossessivi di “Little Sister” e poi si passa alla carica robotica di “Monster in the Parasole” e si va a chiudere con la seducente violenza di “Smooth Sailing”. Niente saluti in mezzo, i quattro entrano e fanno le presentazioni con un muro di note e giri di chitarra. Sono così carichi che se anche sulle prime la musica si mangia le parole, la gente si muove estasiata e canta a tempo. La sensazione è che il concerto non sarà una sterile esecuzione del nuovo album. Anzi.
Finita l’intro, i toni un po’ si abbassano e lo spettacolo si fa anche un po’ più intimo e rilassato. Josh “Ginger Elvis” Homme si concede il tempo di qualche battuta col pubblico, sfoderando tutto il suo carisma: chiama cori, fa domande, ci fa entrare in un’altra fase del concerto come farebbe un allenatore dopo il riscaldamento.
E in questa nuova fase, ognuno nel gruppo si esalta. Josh Homme è il perno e tutt’intorno è un corpo unico che si muove ed esegue perfettamente ogni brano. Tra un pezzo nuovo e qualche classico, a un certo punto Leeuwen alza un dito e si avvicina alla cassa, chiede di seguirlo e chiude come vuole. Netto, quadrato, pulito: il gruppo suona anche meglio di come registra. E tutto senza scomporsi.
Non manca niente all’appello: “Paper Machete”, “Emotion Sickness”, ma anche “My God is the Sun” e “If I Had a Tail”. La scaletta dice che per ogni brano nuovo c’è un successo del passato, e in ognuno di questi la scena passa dal basso alla voce, alla batteria, alla chitarra senza che nessuno si accalchi. Senza una sbavatura. Sembra un po’ un rito sciamanico.
È tutto così perfetto che neanche ci si accorge che la scaletta è tiranna. Quando ormai il sole è bello che andato, parte l’unica ballata della serata e Josh Homme si prende da solo il proscenio. La batteria fa un attacco da lento, un pianoforte ripete i suoi due accordi all’infinito e parte “Make It Wit Chu”. Con quel giro di chitarra i suoi cori infiniti che cantano la storpiatura più dolce che ci sia, lo spettacolo diventa una cosa tra Josh e il pubblico.
Quando ci si avvia alla conclusione, non ci si accorge nemmeno che quell’annuncio che mancava all’inizio è arrivato. Il riff sta morendo piano con una nota lunghissima, quando batteria e basso attaccano l’ultimo, micidiale uno-due.
“No One Knows” e “Song for The Dead” arrivano così di sorpresa, e chiudono una giornata devastante e bellissima. Con Shuman che ha ormai raggiunto livelli altissimi di estasi e figaggine, Theodore che ormai si avvia a diventare un metronomo umano e Homme che ci controlla tutti. Vulnerabile e vendicativo.
Articolo e foto di Noemi Celardo
Set list Queens of the stone Age, Roma 4 luglio 2024
- Little Sister
- Monster
- Smooth Sailing
- Paper Machete
- My God is the Sun
- Emotional Sickness
- If I had a Tail
- Time & Place
- Go With The Flow
- Lost Art
- Carnavoyer
- Way You Use to Do
- Into The Hollow
- Sicily
- Better Living
- 3’s & 7’s
- God Is In The Radio
- Make it Wit Chu
- No One Knows
- Song For The Dead