È merito di cinque ragazzi della California se ci siamo sentiti almeno per una notte dalle parti dell’Alabama, nelle distese collinari della Georgia o nel nord della Florida. Ci sono riusciti Robert Jon & The Wreck, che Maurizio Mazzotti ha voluto come headliner della giornata del 24 giugno del suo Chiari Music Festival edizione 2024.
Una seconda giornata aperta dalla canzone d’autore di Lee Fardon e dal Rock di Edward Abbiati e sferzata dall’ottimo sound di Gegè Telesforo and Big Mama Legacy, a mezza via tra il Funk e il Jazz.
Ma l’ingresso in scena di Robert Jon e compagni ha portato il pubblico in un profondo Sud lussureggiante di suoni, ritmi e riferimenti storici leggendari per chi ama il Rock. Nati in California oltre dieci anni fa sotto l’influenza di Allman Brothers, Lynyrd Skynyrd, Black Crowes, Tom Petty & the Heartbreakers, Little Feat, & Neil Young, Robert e soci si definiscono “Southern cosmic Rock’n’Soul: a little bit Country, a little bit Rock’n’Roll, a little bit Spacey, a little bit Soul”. E il loro show è conferma di un viaggio sonoro variegato ed energizzante. Undici pezzi, alcuni secchi e veloci, altri lunghissimi e psichedelici, altri ancora capaci di produrre un mix emozionale di ritmo e Southern Soul, con una jam attitude che spesso la fa da padrona.
Si parte con “Hold on”, un Rock sbrigativo e verace, da cui si capisce subito dove stanno le radici, vale a dire tra Skynyrd, Creedence e Petty. Robert canta a metà strada tra Johnny Fogerty e Chris Stapleton, e da subito si capisce che Henry “Schneekluth” James, è il musicista prodigio del gruppo, chitarrista virtuoso e di contagiosa presenza scenica. Si prosegue con “Trouble”, “Help Yourself” e “Whiskey”.
“Ride into the Light” è l’unica canzone tratta dall’ultimo omonimo album – anche se è in uscita proprio la settimana prossima il nuovissimo “Red Moon Rising” – ed è la classica ballatona lenta sudista, trainata da chitarre e organo, mentre Robert canta Puoi passarci tutta la vita Sul filo del coltello, Quindi tieniti forte, e cavalchiamo verso la luce. Suoni, presenza, solisti, temi, atmosfera: è quella che i southern-addict conoscono bene. Perché la music del Sud è questa: orgoglio, solitudine, speranza, ritmo, chitarre continuamente lanciate – possibilmente in duetto -, sfida e tradizione, luce e tenebra nel fondo di un bicchiere di bourbon, tastiere calde a ricordare le radici Gospel, brividi elettrici e devozioni acustiche.
La serata è potente in ogni suo istante e semina visioni di praterie e di autostrade solitarie. La band ha un batterista quadrato ed efficace, Andrew Espantman, con un bassista semi-immobile, Warren Murrel, e un tastierista che fa il suo senza orpelli, Jake Abernathie, ma che emerge in alcuni momenti di botta e risposta con la chitarra di Schneekluth.
Robert è un frontman atipico: alto e allampanato, con cappellaccio e barba lunga, sta al microfono quel che basta, e poi si discosta per lasciare i riflettori al chitarrista, mentre il pubblico, qualcosa meno di trecento persone, non sta più nella pelle, domandandosi perché mai una band come questa non riempia qualche palasport. Soprattutto quando parte “Rescue Train” il viaggio si conferma quello giusto: oltre dodici minuti di pieni e vuoti, di slide guitar e di armonizzazioni bluesy da parte di Abernathie, di solisti incandescenti e di pause furbe per ricaricarsi e ripartire verso il crescendo successivo in formato jam.
“High time”, clamorosamente allmaniana), il poderoso rock-blues di “Dragging me down”, la vibrante ed emozionante “Ballad of a Broken Hearted Man”, anticipazione poderosa del nuovo disco in uscita, sono il lungo lancio che porta al finale trascinante di “Oh Miss Carolina” Tutta la mia vita è stata sprecata, Cercando di capire Perché sto inseguendo quello che se n’è andato, E la gente prova a dirmelo, Che cosa hai combinato nella vita, Per meritare comunque l’incantesimo che lei ti ha lanciato? Oh, miss Carolina, Perché non possiamo semplicemente perdonarci, Per tutti i guai che ci siamo procurati a vicenda?.
Tratta da un magnifico album del 2020, “Last Light on the Highway”, è lenta e ritmata, potente e commovente, e è il perfetto finale di concerto di una band che da tempo si propone in giro per gli States – e periodicamente anche in festival europei – con una media di un centinaio di show annuali e che rinnova quel senso di vita on the road che ha fatto del Southern il capitolo definitivo, eccessivo, romantico e totalizzante della storia del Rock, dai fratelli Allman e Skynyrds ai Drive By Truckers passando per Marshall Tucker, Outlaws, Molly Hatchet, ZZTop, Georgia Satellites e Black Crowes.
Il bis conclusivo della serata è un compendio, una summa sudista. Robert Jon canta “Cold Night”: fa freddo, è una notte fredda, prendo a calci la polvere da solo, quando dovrei essere a casa, le strade sterrate sono così gelide, mentre sto cantando da solo, vecchi scontrini gettati via, città del Texas, mentre sto cercando di riportarti da me. Ed è un pezzo travolgente: per quindici minuti la band, con Henry James ormai spaziale, accarezza il suono della Allman Brothers e cita Dickey Betts prima di immergersi in un climax che sembra quello della parte strumentale di “Freebird”, e poi volutamente cita “Can’t you see” della Marshall Tucker.
Quindici minuti di compendio, si diceva: finisce la corsa all’impazzata nel Southern, e lascia il sentimento stupendo di aver visto qualcosa che di solito è per quelli del Bonnaroo, di Macon, dell’Alabama, del South Tennessee. E invece eravamo a Chiari, Lombardia, Italia. Proprio vero che l’emozione non ha confini.
Articolo di Walter Gatti, foto di Roberto Fontana
Set list Robert Jon & The Wreck l24 giugno 2024 Chiari
- Hold On
- Trouble
- Ride Into The Light
- Help Yourself
- Whiskey
- Rescue Train
- High Time
- Dragging Me Down
- Ballad of a Broken Hearted Man
- Oh Miss Carolina
- Cold Night