Pensavate mi fossi redenta e messa sulla buona strada, dopo i miei ultimi report senza demoni assortiti, ossa fracassate e speriamo di uscire vivi di qua? Questo è il giorno giusto per riportarvi nuovamente nelle mie oscurità, grazie a una vera e propria armata delle tenebre uscita dritta dritta dalla inesauribile fucina di Hellfire: per farlo vi porto fino a Torino, domenica 6 ottobre, dove all’Audiodrome vanno in scena tre band tra le più amate e acclamate nel Black Metal. Arrivo dunque quasi quattro ore in anticipo, parcheggio al volo nei pressi delle porte e capisco di essere già in ritardo: anche solo una manciata di fan può fare la differenza quando non hai a disposizione un photo pit, la stessa manciata di fan che sono arrivati prima di me, ma tutto sommato riesco con non poca fatica ad accaparrarmi un buon posticino in transenna, prima che la sala del locale, piacevolmente particolare e molto industrial, si riempia all’inverosimile.
Ci aspettano tre band con un gran chilometraggio temporale sulle spalle, specialmente se pensiamo agli headliner, quindi una buona percentuale del pubblico è adulto e cresciuto insieme a questi artisti; tra i più giovani spopolano ovviamente abiti di pelle nera, borchie, catene, tatuaggi a profusione e piercing, i metallari con i quali chiacchiero e trascorro velocemente il tempo prima dell’apertura delle porte. Una volta volata nella sala e parcheggiata trionfalmente in transenna, osserverò il palco per più di un’ora, ben organizzato con gli strumenti in bella mostra mentre i tecnici provano l’eccellente impianto luci e vari effetti speciali. La transenna non è quella classica massiccia, pesante, tipicamente presente ai concerti, ma come quella che si trova ai bordi dei lavori per le strade, più adatta a delimitare uno spazio che a contenere una tribù scatenata e ribelle come quella di stasera.
Puntuali sulla tabella di marcia, con i fan che spuntano da ogni angolino immaginabile, finalmente si dà il via alle danze, con fremente eccitazione da parte di tutti: direttamente da oltralpe ovvero da Bordeaux, Francia, arrivano i Seth, formazione black metal (o più elegantemente metal noir, come ci ruggisce addosso il quanto mai particolare frontman Saint Vincent ) e figura fondamentale del Black Metal sinfonico di ben sei inquietanti elementi, molto belli nei loro abiti di scena e nel loro face painting, attivi dal 1995 e con sette album nel curriculum.
Sullo sfondo campeggia il titolo del loro ultimo lavoro, ” La France Des Maudits”, uscito il 14 luglio 2024 per Season Of Mist, dal quale attingono varie tracce misticamente maligne, quasi barocche, e l’illustrazione che richiama statue antiche aiuta a immergersi nell’atmosfera “liturgica” e corrotta tipica di questa band, insieme alla presenza scenica dei membri e i sapienti giochi di luce e oscurità.
Di colpo, sembra di essere stati catapultati in una chiesa sconsacrata, in un mondo sull’orlo dell’apocalisse come in un perfetto film horror, con gli artisti che incombono con la loro presenza diabolica come spettri sul palco, dove offrono una prestazione coi fiocchi. Saint Vincent si aggira nel suo mantello come un’anima in pena, assomigliando a una statua funebre che abbia preso vita; incontenibile e dannato il bassista EsX, che ci scruta con occhi fiammeggianti e pressoché impossibile da veder fermo un momento.
Il loro Black Metal intriso di sangue dei santi offre una narrazione di furia cruda, implacabile e atmosferica, invocando lo spirito di insurrezione e liberazione contro l’oppressione divina. Saint Vincent mostra al pubblico un pugnale durante l’esecuzione di “Dans Le Coeur Un Poignard”, tratta dall’ultimo album, ode oscura a tutti coloro che portano nel cuore ferito il segno della sofferenza e del tradimento.
Viaggio implacabile contro gli spettri del nostro passato, punteggiato da momenti di squisito dolore e sublime liberazione, Saint Vincent decreta: Dans mon coeur ce poignard, toujour souffrir, jusqu’à la mort!
I testi sono in lingua originale, un intricato arazzo di ombre vorticose, tra le nebbie di visioni apocalittiche e ceneri di angeli caduti, un viaggio tra il proibito e l’occulto di antiche profezie. Dal punto di vista vocale, Saint Vincent è impeccabile: laddove ci si aspetterebbe uno scream, ci offre invece una deliziosa miscela di feroci ringhi di gamma media, quasi più come un vocalist melodic death metal.
Interpella regolarmente gli euforici fan di questa messa nera, allo stesso tempo intima e quasi rara, in nome della causa metal dimostrando, se ancora ne avesse bisogno, che i Seth sono un leader nella scena Black Metal. Mi intercetta e mi indica col dito mentre canta, e nonostante la temperatura non proprio fresca all’interno della sala, avverto un brivido freddo che mi corre lungo la schiena. Il doppio attacco di chitarra di Drakhian e Heimoth si alterna sul mantenimento delle basi ritmiche su cui il resto della band può affermarsi e mettersi in primo piano.
Dopo quarantacinque minuti circa la messa è finita, possiamo andare in pace, e tirare un attimo il fiato osservando le preparazioni per il secondo gruppo, che viene dalla Norvegia col loro Symphonic Black / Viking Metal, formati nel 1995 e con dodici album pubblicati. Sono i leggendari Borknagar, che dei vichinghi hanno anche un po’ l’aspetto con chiome fluenti e barbe intrecciate: le loro silhouette si stagliano imponenti, nella nebbia che ricorda i paesaggi di Avalon, in una performance immersiva e atmosferica senza eccessiva illuminazione, chiaramente ricca di fumo che viene regolarmente alimentato, e senza troppo muoversi per il palco.
Alla mia sinistra, quasi in disparte nell’ombra, con la sua chitarra e la barba in una lunga treccina c’è il membro fondatore Oystein Brun; di fronte a me torreggia con i suoi due metri di altezza e col suo basso ICS Vortex, ex Dimmu Borgir, potentissimo vocalist insieme a Lars Nedland che è anche tastierista. Si inizia con “Nordic Anthem”, tratto dall’ultimo album “Fall”, uscito il 23 febbraio 2024 via Century Media Records.
Brano cinematografico, epico, puramente nordico trainato dalla clean voice spiazzante di ICS Vortex. Un orgoglioso inno al popolo del nord, i cui ritmi tribali ci accolgono nel cuore ancestrale dei Borknagar come in un rituale, avvicinandoci in un mondo dove convivono esseri umani e creature celesti, e dove Lars Nedland offre uno spettacolo vocale potente ed emozionante.
I Borknagar sono maestri nel creare un’atmosfera unica, una sensazionale esperienza sensoriale in cui la parte strumentale è totalmente in linea con il suo messaggio e che mira a rendere molto chiare le radici dei suoi membri. Altra delizia per le orecchie è “Moon”, sempre dallo stesso album e scritta da ICS Vortex.
Il misticismo è un tema ricorrente nei brani dei Borknagar, e “Moon” è un palese esempio di come combinare questa particolare proposta musicale con testi elaborati: Spit fire, raise to warm the void one more day / The distance is the key, the closer it seems, over the hill it disappears.
Intrigante nella composizione, ravvivata da un assolo di chitarra appassionato, è una canzone splendida eseguita in modo impeccabile, dove Lars Nedland dimostra la sua grande abilità dietro le tastiere; un intervallo sognante ed etereo si presenta a metà della traccia, il quale consente al fondatore Brun e al secondo chitarrista Jostein Thomassen di proporre i migliori compromessi atmosferici delle sei corde in stile Gilmore. Una set list che si gusta tutta d’un fiato la loro, l’interazione col pubblico è ridotta per lo più al nominare il titolo delle canzoni, non c’è bisogno d’altro: i fan sono al settimo cielo e iniziano a premere contro la transenna, contro la schiena, uno contro l’altro.
Non importa da quale angolazione i Borknagar si avvicinino alla musica, puoi aspettarti che buona parte dei loro brani siano guidati da una base musicale che flirta con un energico Prog melodico, nascondendo le sue influenze black metal appena sotto la superficie: “Up North”, brano del 2019, ne è un esempio, dove anche il songwriting viene spinto oltre i limiti, pur mantenendo una salda presa sulle sonorità che li hanno definiti nel corso degli anni 2000. Nel buio e nella nebbia sono arrivati, nel buio e nella nebbia se ne vanno i figli di Odino.
Il cambio set adesso è più laborioso; alla grande batteria rialzata vengono sostituiti piatti e tolti i panni neri che coprivano le casse, rivelando il nome degli headliner. Il lavoro solerte dei roadie e dei tecnici fa sì che il tutto sia pronto in perfetto orario: è arrivato il momento per gli onnipotenti Rotting Christ di salire sul palco.
A questo punto il pubblico è talmente numeroso da non lasciarmi nemmeno lo spazio per togliermi la felpa senza colpire qualcuno, e così preso dall’energia dello spettacolo che qualcuno inizia a tifare anche per i roadie che stanno facendo il soundcheck e verificando gli strumenti, finché il segnale luminoso dà il via libera, e dopo pochi istanti Themis Solis si siede dietro la sua batteria.
Sappiamo tutti cosa sta per succedere … Hail, Rotting Christ! Sakis Tolis e compagni, accolti da una scossa di terremoto mascherata da applausi e urla, sciolti come sempre invadono il palco dell’Audiodrome, nella prima delle due date italiane del loro “35 Years Of Evil Existence Tour”: un’esperienza da riportare sui libri di storia.
Chi sono questi immensi Rotting Christ? Una band di questa levatura in realtà non avrebbe bisogno di presentazioni, a meno che non siate totalmente nuovi al Metal, o di un altro pianeta, forse.
Fondati nel 1987 ad Atene dai fratelli Themis e Sakis Solis, rispettivamente batterista e vocalist / chitarrista nonché unici membri sempre presenti nel tempo, nascono come band grindcore che lascia ben presto il posto al Black Metal che conosciamo, con una fondamentale componente Gothic Metal, tracciando per oltre tre decenni un percorso oscuro attraverso il mondo del Metal e fondendo atmosfere istrioniche, cori ipnotizzanti e arrangiamenti neoclassici.
Iniziano ad avere una certa popolarità nel 1993, partecipando a un prestigioso tour con i Blasphemy e gli Immortal; 14 album in studio per loro, dei quali il più recente “Pro Xristou” è uscito il 24 maggio 2024 via Season Of Mist, fervente tributo agli ultimi re pagani che resistettero alla marea cristiana, salvaguardando i valori e la conoscenza antichi.
I Rotting Christ sono decisi a mostrare a Torino e all’Italia che dopo più di trent’anni ancora dettano legge nel Black Metal mondiale e non hanno intenzione alcuna di finirla qui. I due fratelli fondatori, degni dell’Olimpo, sono un concentrato di adrenalina e argento vivo come fosse il loro primo concerto; assolutamente degni di nota il bassista Kostas Heliotis e il secondo chitarrista Kostis Foukarakis, forti e belli come guerrieri spartani, vestiti di borchie, piercing e stupendi tatuaggi da leggere come un libro, che apportano con presenza scenica e grande capacità tecnica il loro contributo indispensabile, facendo headbaging con un vigore tale da sentirne lo spostamento d’aria, interagendo con i fan, elargendo sorrisi e ammiccamenti di gratitudine a ogni gesto di affetto e ammirazione del pubblico.
Finalmente ho potuto godermi dal vivo questi colossi, con una scaletta di perle e gioielli tratti dalla loro discografia recente e passata, come “Kata Ton Daimona Eaytoy”, dall’omonimo album del 2013, una canzone che vivamente speravo di ascoltare live e che è stata uno dei momenti più elettrizzanti di tutto il concerto. Questa è la frase scritta sulla lapide di Jim Morrison a Parigi, e che si può tradurre con “sempre fedele a sé stesso”. Confesso di essere stata un pochino preoccupata di quello che sarebbe potuto succedere in un concerto di questo calibro senza la presenza di un pit; la transenna leggera, dopo qualche canzone, letteralmente cede sotto le spinte dei fan impossibili da contenere, catapultandoci ai piedi del palco, una condizione per lo più all’ordine del giorno per me.
Anche se le prime file sono abbastanza gestibili, alle mie spalle succede un putiferio di pogo e qualcuno si ostina a fare crowdsurfing nonostante venga fatto loro notare l’assenza di pit, e rischierebbero di rimetterci i denti sfracellandosi sulle casse. Per pura abitudine mi giro a osservare la situazione e mi ritrovo a tu per tu con le solite gambe al vento e suole di scarpe sotto il naso, cosa che ultimamente non mi stava succedendo: non sia mai che perda l’abitudine, il mio speriamo di uscire viva di qui aleggiava nel locale sulle note dei Rotting Christ che non ci lasciano il tempo di respirare e martellano un brano via l’altro.
Come non amarli quando, a corredo di tutto questo tumulto, con luci rosse pulsanti a suggerire le fiamme infernali, i nostri dei greci dedicano a Satana brani come “Societas Satanas” e la maestosa “Grandis Spiritus Diavolos”, dove i passaggi in latino e greco non possono non ricordare il suono di formule antiche, occulte, maligne, e tutti i membri che si dimenano roteando la testa e piegandosi fin quasi a terra, come posseduti da qualche entità demoniaca.
Serve un esorcista, penso tra me mentre mi sciolgo dal caldo, e i fan aizzati dall’inarrestabile frontman saltano su e giù, da soli o sulle spalle di quelli di fronte, un girone infernale fatto e finito. Come si ascoltano i Rotting Christ, quando il tempo per scattare foto è finito? Semplice, tenendosi stretti alla transenna barcollante come al trenino delle montagne russe e urlando col resto dei fan, facendo headbanging, sgranchendosi le vertebre cervicali come se non ci fosse un domani. Sfido chiunque a essere presenti a uno dei live di questi ellenici cavalieri dell’Apocalisse senza scatenarsi in qualche modo, perché è impossibile.
Una delle più belle cose da osservare, stasera, è il perfetto affiatamento tra gli artisti che rendono tutto il pubblico partecipe di qualcosa di più grande, qualcosa che trascende la semplice musica, chiamatela tribale, rituale o come volete. Un concerto che anche i muri avrebbero desiderato vivere in loop per sempre, ma purtroppo anche questo ha una fine: dopo la foto di rito col pubblico e i saluti, mi asciugo i rivoli di sudore dalla fronte come nei cartoni animati, felice di essere viva, ma vengo sorpresa da un inaspettato lancio di plettri e bacchette, che fa volare i fan accanto a me come piccioni sulle briciole di pane ed è lì che recupero le mie rituali botte sulle gengive, ma va bene così per stasera.
La mia tentazione sarebbe di prendere la macchina e inseguirli nella loro seconda data italiana. Un concerto stupendo ricco di interazione, perfettamente eseguito dalla band greca più importante e influente di tutti i tempi. In poche parole, la prossima volta che i Rotting Christ passeranno dalla vostra città o nelle vicinanze, non sognatevi nemmeno per un minuto di perdervi un live di una tale intensità, punto. Anche se può essere banale scrivere che ” dovevate essere lì”, beh, dovevate essere lì, nient’altro da aggiungere, non c’è niente di simile a cui paragonarsi. Non serviam!
Articolo e foto di Simona Isonni
Set list Rotting Christ Torino 6 ottobre 2024
- Aealo
- Pretty World, Pretty Dies
- Vetry Zlye
- Demonon Vrosis
- Kata Ton Daimona Eaytoy
- Like Father, Like Son
- The Apostate
- … Pir Threontai
- Elthe Kyrie
- The Sign Of Evil Existence
- Non Serviam
- Societas Satanas
- In Yumen – Xibalba
- Grandis Spiritus Diavolos
- The Raven
- Noctis Era