Al via il 4 luglio il Mantova Summer Festival la rassegna live estiva in piazza Sordello, appuntamento ormai diventato un classico dell’estate. La “prima” è stata un sold out di buon auspicio. A certificarlo i Simple Minds, la band scozzese capitanata dal 1977 dal cantante Jim Kerr e dal chitarrista Charlie Burchill. Un tour, quello che tocca la città dei Gonzaga, che ha fatto ritornare in auge una band che, negli anni, si è mantenuta sempre a buoni livelli, pur se spesso ai margini dello star system.
Le 4500 persone di piazza Sordello sono arrivate da ovunque: Roma, Torino, Trento, Bologna e Verona. Non sono mancati i tedeschi, in vacanza proprio nella città scaligera. Una grande festa insomma, che ha salutato un concerto revival, con la proposta di un repertorio centrato, però, solo sulla produzione anni ’80, con pochissime incursioni nei brani della discografia anni ’90. Assenti, invece, le canzoni della produzione più recente.
Una scaletta che ha rispecchiato quello che la band sta portando in scena nelle date di questo tour che, diciamo subito, dimostra come la band, in generale, stia bene e funzioni, anche grazie a due musiciste davvero molto interessanti, ma allo stesso tempo mette in evidenza come il tempo sia inesorabilmente passato per Kerr e Burchill. Soprattutto per il primo, cantante che da tempo vive anche in Sicilia, e che appare, a tratti, stanco e non in splendida forma, a differenza di Burchill, per il quale invece il palco sembra non pesare eccessivamente.
Un concerto che, a conti fatti, ha regalato comunque buone emozioni. Fin dall’inizio: la band, nel tratto che li ha portati al palco, è stata salutata da tutta la gente della piazza che, ordinatamente seduta, si è alzata per applaudire e seguire l’entrata in scena. Ecco un altro elemento che certifica il passaggio del tempo: i concerti dei Simple Minds sono sempre stati show – pur se non mega-show – da ascoltare in piedi. Ora, invece, si sceglie l’opzione seduti. A guardare bene i volti di chi è in piazza Sordello, vien da pensare che sia stata fatta una scelta fatta con giudizio e cognizione di causa. Di giovani, tolti i figli a seguito, ce ne sono davvero pochi.
Tuttavia si certifica anche un’altra prassi che sta diventando però alquanto fastidiosa: un nervosismo eccessivo, che sfocia in liti di ogni sorta (da chi filma per troppo tempo con il cellulare, fino a chi si alza in piedi per ballare), e che rovina lo spettacolo non solo ai protagonisti di queste continue scaramucce, ma anche a chi si trova accanto queste persone. Il mantra che recita “ho pagato caro il biglietto”, non può valere come lasciapassare universale, mettiamocelo in testa. Anche chi è accanto a noi, ha pagato, e per di più lo stesso prezzo. Quindi, o si recupera senso civico e senso della misura, o meglio ascoltarsi un cd a casa. Arrivare in una piazza per essere convinti di trovarsi nel proprio salotto non ha alcun senso.
Tornando al concerto, sono bastate poche note di “Waterfront”, primo brano della serata, dall’album del 1983 “Sparkle in the Rain”, fra i più amati del gruppo, e tutti erano già sotto il palco. Con relative – eccessive – polemiche. Anche da parte di chi è chiamato, non per sua volontà, a gestire la sicurezza. Insomma, ricordiamoci che si è a un concerto, e chiudiamola qui.
Repertorio anni ’80, si diceva. Il primo classico arriva poco dopo con “Mandela Day”, terza canzone in scaletta, eseguita in una versione meno lenta del singolo originale. Ha perso fascino, ma resta una grande canzone che ha dettato lo stile dei Simple Minds.
Quando la piazza, da questo momento in poi, si è alzata e ha tenuto il tempo con le mani, regala emozioni anche per alla band, che lo ha sottolineato con inchini, e generosi “bellissimo” gridati, a più riprese, nel microfono da Kerr che, già al quarto brano, è apparso molto affaticato. Si è mosso sul palco con passo lento; farà roteare, come suo solito, il microfono con la mano, gesto iconico del cantante scozzese, ma è sembrato davvero farlo perché non può essere diversamente. In ogni caso, a ovviare a questa situazione ci pensa la sua ironia, che ci fa dimenticare, per un momento, quando con folta chioma, saltava, a mo’ di folletto, da una parte all’altra del palco di Verona… Questo accadeva, però, quasi 35 anni fa…
A far la parte da leone è stato l’album più conosciuto della band, “New Gold Dream (81‐82‐83‐84)” del 1982, dal quale sono state eseguite 6 canzoni, con l’omonima title track eseguita con un finale di batteria intenso. Cherisse Osei è la prima grande sorpresa: batterista energica, picchia duro, e suona una strumentazione degna dei grandi di questo strumento. Gran parte dello spettacolo si regge sulle sue trame, e su quelle della sei corde di Burchill che, a differenza dell’amico Kerr, appare comunque in una discreta forma fisica, cosa che gli permette di tenere sempre un buon ritmo sulle 17 canzoni del programma.
Certo, non è mai stato un virtuoso, ma la sua parte la fa bene, ed è un piacere vederlo ancora sul palco. Spiace non aver sentito qualcosa da “The River”, l’album con più chitarre della loro produzione, ma c’è comunque “Let There Be Love” in programma che, con “New Gold Dream (81‐82‐83‐84)” e “Don’t You (Forget About Me)”, hanno portato in scena i riff più iconici e noti al grande pubblico. Tuttavia, qualcosa da “The River” non avrebbe guastato, ma sono gusti personali.
“New Gold Dream (81‐82‐83‐84)” è un album che ha comunque lasciato il segno, ed è giusto che venga celebrato in questo che, in fin dei conti, è un tour revival. Quanto questo disco sia nel cuore dei fan è chiaro dall’entusiasmo che scatena in tutti e tutte quando viene eseguito un suo brano. A questo si aggiunge il numero delle magliette in piazza: le più richieste e le più indossate, in varie versioni, da un pubblico composto che, però, appena può si alza per ballare anche sui 4 classici presi da “Once Upon a Time”, altro lavoro degli anni ’80. A dimostrazione che il pubblico pensato come attempato, e quindi da far sedere, di stare sulle sedie ne ha poca voglia. Bene così, lo spirito degli anni ’80 ancora resta acceso, e muove anima e corpo.
A conti fatti, delle 17 canzoni proposte, 11 sono arrivate dagli anni ’80, ed è stata una celebrazione che sapeva di rivincita, dato che la band, negli anni ’90, dopo “Real Life”, era già stata dichiarata finita. Questo spiace, perché un poco ha penalizzato la produzione successiva di Kerr e Burchill. Non in Italia, dove la band ha sempre avuto seguito, e ha suonato con costanza, anche se spesso in location di secondo livello, come è accaduto fra il 2000 e il 2018.
Ora, invece, si gode un ritorno di fiamma che, al netto dei limiti umani, è comunque meritato. I Simple Minds non sono mai stati affetti da divismo sfrenato, ma hanno sempre eseguito il loro compito con stile e grazia, proponendo buona musica di livello costante.
La serata di Mantova, dunque, ha confermato la buona salute artistica (quella sì) di Kerr e Burchill, e della band che, con vari innesti, li segue dagli anni 2000. In particolar modo, successo personale anche per Sarah Brown, vocalist che ha sorretto le parti vocali di Kerr per tutto lo spettacolo, e ha saputo strappare grandi applausi in piazza Sordello.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
Set list Simple Minds 4 luglio 2024 Mantova
- Waterfront
- Once Upon a Time
- Mandela Day
- The American
- Big Sleep
- Sanctify Yourself
- Let There Be Love
- Come a Long Way
- Glittering Prize
- Promised You a Miracle
- New Gold Dream (81-82-83-84)
- Belfast Child
- Someone Somewhere in Summertime
- Don’t You (Forget About Me)
- Book of Brilliant Things
- See the Lights
- Alive and Kicking