Dopo la visita ai gironi infernali del mio report precedente, oggi vi porto “a riveder le stelle”, come direbbe il Sommo Poeta. E che stelle, ragazzi: tra le più luccicanti nel cielo della musica, costellazioni di note, sentimenti e raffinatezza. Venerdì 11 ottobre, eccomi in direzione Live Club di Trezzo sull’Adda, provincia di Milano: arrivarci è un’impresa, visti gli infiniti ed eterni lavori autostradali, ma vi assicuro che questa serata val bene la pazienza, le code e il traffico. Alle porte c’è già un bel numero di fan, e dalla maggioranza di magliette presenti, non è un mistero intuire l’headliner di oggi; attendiamo pazientemente l’apertura chiacchierando e scacciando furiosamente le ultime fameliche zanzare, e per una mezza volta posso evitare di esibire le mie goffe corse alla transenna, perché già so che mi attende un photo pit, festa grande a questo giro!
Al mio ingresso il palco si presenta già pronto con tutti gli strumenti delle tre band di questa sera; gli conferisce un aspetto un po’ caotico, con due batterie complete, una quantità di chitarre e bassi, tastiere, cavi, e una corolla di casse sul bordo: essendo il pavimento del palco piuttosto alto, per chi come me non è esattamente un watusso questo rende necessario alzarsi sulle punte o alzare le fotocamere sopra la testa, in certi casi. Mi preoccupano le luci che sembrano ostinarsi a rimanere più spente che accese, e sulla tonalità del blu quelle poche presenti; è così che vengono accolti, pressoché al buio, gli interessanti Trope, da Los Angeles.
Formazione alternative rock / prog rock nata nel 2016, hanno partecipato a prestigiosi tour con, tra gli altri, The Pineapple Thief, Haken e Symphony X. Hanno suonato sui palchi principali del Summerfest e in locali di fama mondiale come il Viper Room e il Whiskey, invitati a un tour europeo di 18 date con i Kings X, oltre ad aprire il concerto dei The Cult in Nevada.
Grazie alle doti vocali della frontwoman Diana Studenberg, sono stati presentati come una delle migliori 40 rock band agli Heavy Mags, nella Ladies Of Rock Edition del 2019, insieme a The Runaways, Jinjer, Lacuna Coil e altri grandi nomi. Hanno attirato l’attenzione dell’industria musicale, incluso Mike Fraser (vi dicono niente Ac/Dc e Metallica?) che ha accettato di progettare l’album “Eleutheromania”, uscito nel 2020. Il loro ultimo lavoro, il doppio album “Dyad”, è stato rilasciato il 1 giugno 2024.
Il suono unico di questo duo, guidato dalla talentuosa Diana e dal chitarrista Dave Thompson, è stata la scelta perfetta per dare il giusto tono alla serata. La voce fluida, piena e profonda della Studenberg ha immediatamente zittito i presenti, incantandoli prima di esplodere in una tonalità rock davvero sorprendente. La sua gamma dinamica, combinata col suo controllo vocale quando cambia tono e “tiene” le note, è stata un’esperienza molto bella da osservare live.
In combinazione con il coinvolgente compagno chitarrista, i due hanno dipinto un paesaggio sonoro ricco di colori e toni; dalla quarta canzone in poi, ovvero da quando ho dovuto deporre le macchine, è stato ricco anche di luci bellissime, con buona pace di noi fotografi. La loro musica eccelle nel creare un tono vivido, con transizioni fluide e sfumature mutevoli, portando il pubblico in un’escursione audio senza sforzo, nelle forme più libere dell’immaginazione. I grandi applausi alla fine della loro mezz’oretta di performance ci dicono che sono piaciuti a tutti; il chitarrista Dave esce dal backstage e si mescola nella folla per un drink, non prima di aver chiesto a noi fotografi se ci fosse piaciuto lo show.
Il cambio set per il secondo gruppo è quanto mai rapido, dato che ai Trope è servito solo un microfono e una chitarra; in compenso le macchine della nebbia iniziano a lavorare alla grande, producendo una nebbia che Val Padana levati proprio. Ancora devono entrare gli artisti e già non si vede più niente, figuratevi dopo. Chissà come hanno trovato la strada per il palco i finnici Oddland, da Turku, band che dal 2003 propone un Prog Metal tecnicamente impegnativo, facente parte del filone più lento ed evocativo del Prog, descritto come un mix di Spiral Architect, dei primi Pain Of Salvation e Opeth acustici.
Ci offriranno uno spettacolo decisamente solido, spingeranno forte sull’acceleratore nei ritmi e nella complessità del Djent, ma è la malinconia che risuona in ogni riga cantata dei testi. Questo ambiente musicale sembra un confortevole parco giochi per questi artisti, dove sperimentano note di chitarra e tapping dal suono quasi nevrotico e linee di basso che impegnative e difficilmente eseguibili è dir poco.
Abbastanza nevrotica lo sono anche io, che fatico a vedere e agganciare gli artisti, e più nevrotica ancora è la mia lente che non capisce più cosa deve mettere a fuoco nella nebbia che fa muro e confonde le silhouette.
I loro brani vedono un susseguirsi di passaggi armonizzati, lenti, la voce a tratti un po’ piatta, e stabile sul tono medio – basso. Il vero elemento di sorpresa durante il live è il chitarrista Jussi Poikonen che suona anche il sassofono soprano: in questi momenti il suono diventa misterioso, quasi orientaleggiante a tratti, conquistando la piena attenzione dei fan. Gli amanti della musica “matematica” stasera ci vanno a nozze con gli Oddland.
Entrambi i chitarristi usano chitarre a sette corde, che di solito vengono usate per espandere il suono dei bassi; combinato con il ricco baritono di Sakari, vocalist quasi ipnotizzante che si fa notare per le sue forti espressioni vocali, conferisce al sound una sfumatura doom, che senti risuonare da qualche parte nella profondità delle viscere. Il muscoloso Joni Palmroth usa invece cinque corde sul suo basso, occasionalmente integrando la dose con voci ringhianti. La loro professionalità, capacità esecutiva e tenuta del palco è evidente e innegabile: con una miscela di colpi di scena musicali che farebbero sussultare anche i fan dei Leprous o dei Tool, con questi maestri del Prog si va sul sicuro. Alla fine dell’esibizione la nebbia inizia a rarefarsi; gli Oddland salutano in un bagno di applausi e danno appuntamento in area merch, poi il palco viene nuovamente preparato, per gli headliner questa volta.
Si porta via qualunque strumento e accessorio appartenenti alle band precedenti, la batteria imponente, rialzata, alla mia sinistra, viene risvegliata dal torpore dell’attesa e mette in mostra due potenti grancasse e piatti tirati talmente a lucido da potercisi specchiare da lontano. Poche band sanno colpire dritto alle corde più profonde e nascoste delle emozioni con la stessa potente eleganza di chi sta per calcare il palco: stiamo parlando dei Soen, signore e signori, astro tra i più brillanti del Progressive Metal, un super gruppo di origine svedese composto da vari artisti del Metal estremo e non, nati nel 2010 con sette album in attivo, dei quali uno live.
Il loro ultimo lavoro, “Memorial”, è uscito il 1 settembre 2023 per Silver Lining Music (la nostra recensione), dove combinano il loro solido mix di potere e aggressività con la bellezza delicata e intricata che creano con una apparente facilità a vedersi, ma tecnicamente impegnativa a concepirsi. Quando tutto è pronto e i roadie danno il segnale luminoso di ok, la sala è ormai stipata in ogni angolo, sulle scale laterali, sulla balconata, fan che strabordano dalla transenna.
Illuminato da poche, suggestive luci, il palco splendidamente coreografato con uno sfondo rappresentante uno scenario epico, la voce narrante che recita la poesia ” Do Not Go Gentle Into That Good Night” di Dylan Thomas è suadente, ipnotica, mentre gli occhi corrono da una parte all’altra dello stage per intercettare l’ingresso degli artisti: Do not go gentle into that good night / Rage, rage against the dying of the light. I Soen arrivano, finalmente, sulle note di “Sincere” mentre uno a uno, alzando la mano in segno di saluto, prendono i loro posti.
Ultimo è il frontman Joel Ekelof, in splendida forma e finalmente senza occhiali da sole, di modo che ci si possa immergere nell’oceano dei suoi occhi nei pezzi più coinvolgenti, e il cielo sa quanto il contatto visivo sia determinante in occasioni come questa, almeno per me. Eleganti, raffinati, i nostri Soen entrano dal primo istante nel cuore dei presenti: una delle tante cose che distingue questi artisti dall’orda del Prog è il soffermarsi deliberatamente sui momenti più cupi dell’esistenza, scegliendo di rimuginare sugli stati d’animo anziché utilizzarli per analizzare la natura umana, come preferiscono fare, per esempio, i Pain Of Salvation (il nostro report). Ma per quanto malinconici possano essere i loro testi, si può descrivere con una parola sola il sentimento che portano al loro pubblico adorante: gioia.
Il chitarrista Cody Lee Ford contagia magistralmente i fan con sorrisi radiosi e una dose massiccia di vita, tanta bellissima vita, fin dal primo istante in cui le note di “Sincere ” esplodono dalle sue corde, nonostante raramente si avvicini al microfono.
Il collega chitarrista e tastierista Lars Alund, che sfoggia sempre la sua barba distintiva, accompagna il mostruoso bassista ucraino Oleksi Kobel alla mia destra, i due diventano quasi un vortice indistinguibile di manici in mogano e ciocche bionde sfocate e in perpetuo movimento, e nel pit c’è un gran fermento di fotografi che cercano di appostarsi per lo scatto migliore.
Alla batteria, spettacolo nello spettacolo, abbiamo il membro fondatore, ex Opeth e Amon Amarth, El Terror de Montevideo in persona: Martin Lopez spinge il suo strumento come solo un batterista istruito nelle tradizioni jazz, latine e death metal può fare.
Nel frattempo, quell’anima gentile altrimenti nota come Joel Ekelof domina il palco come pochi altri frontman di questo genere potrebbero sperare di fare: con una grazia furiosa che è tanto trascendentale, ultraterrena, permettetemi questo aggettivo, quanto umana, il tutto riempiendo senza sforzo particolare tutto il locale con il suo baritono unico, solitario. Si rivolge a un pubblico innamorato e palpitante osservandolo, sorridendo, porgendosi verso la transenna e allungando la mano come a voler toccare le loro, e non sono pochi quelli che la tendono a loro volta, nel gesto di volersi aggrappare a lui.
Kobel, sempre sorridente e vorticante, ha suonato una splendida introduzione sulla dolce “Savia”, un pezzo del 2012 davvero ben costruito nei suoi continui saliscendi. “Unbreakable”, tratto dall’ultimo album, viene accolto con grande entusiasmo dai fan; una traccia che secondo lo stesso Lopez è About how you limit yourself as a human, by blindly believing in something. Il vocalist raggiunge agevolmente le note più alte, sostenuto da un intricato lavoro di chitarra e da alcune armonie che non sarebbero stonate con i Von Hertzen Brothers.
“Modesty”, del 2021, ha messo in mostra uno dei pochi assoli di Lars, che altrimenti ha fornito principalmente parti di chitarra ritmica e tastiere. Anche “Lotus”, title track dell’omonimo album del 2018, è stata accolta calorosamente, con la band che ha messo a nudo una certa influenza dei Pink Floyd e Cody che esibisce un assolo assolutamente catartico. Uno dei momenti più toccanti e intimi della serata, con i fan che cantano in coro col frontman, in un legame profondo ed emotivo tra band e pubblico da brividi.
“Deceiver” porta in primo piano tutte le doti ritmiche del pazzesco, immenso Lopez, mentre “Monarch” inizia con un allarme che ricorda un disastro nucleare, reso ancora più realistico dall’utilizzo di luci rosse e guarda un po’, abbondante fumo: un ottimo esempio di come i Soen siano in grado di scrivere grandi testi incentrati su questioni reali e attuali, che funzionano alla grande con la loro musica.
Attenti al minimo dettaglio, la precisione chirurgica come biglietto da visita, ai Soen basta un nulla per mandare in estasi i fan: basta star fermi sul palco, sorridenti e ansimanti di adrenalina e intense sensazioni, per raccogliere una standing ovation che ha fatto vibrare cuori, viscere, e muri. Sembrava passasse la metropolitana sotto i piedi. Tutto il pubblico ha partecipato attivamente, mostrando energia e occhi lucidi durante i passaggi più delicati di questo evento di altissimo livello tecnico, professionale ed emozionale.
Il concerto si conclude con un lancio di rari plettri, Lopez che consegna direttamente nelle mani di due fortunatissimi fan le sue bacchette, e Kobel che non manca di lasciare un pensiero alla sua terra avvolgendosi nella bandiera ucraina. Abbiamo assistito a qualcosa di raro e prezioso, di una qualità rara da trovare, e ce ne torniamo nella notte metropolitana già nostalgici, e quanto mai desiderosi di intraprendere un nuovo, indimenticabile viaggio con i Soen, come quello appena vissuto e che resterà sempre nel cuore di chi ha avuto la fortuna di parteciparvi.
Articolo e foto di Simona Isonni
Set list Soen Milano 11 ottobre 2024
- Sincere
- Martyrs
- Savia
- Memorial
- Lascivious
- Unbreakable
- Deceiver
- Ideate
- Monarch
- Illusion
- Modesty
- Lotus
- Antagonist
- Violence
Tutti i nostri articoli sui Soen: https://www.rocknation.it/?s=soen