Un grande ritorno live per i Subsonica, la band torinese che il 3 aprile è partita con la data 0 da Mantova. Nel pomeriggio, alle 17, ci sono state le prove aperte per i fan, che hanno potuto così vedere in anteprima il palco che, fin dalla prima canzone, colpisce per la sua particolarità: largo oltre venti metri, e di oltre quattro di profondità, progettato da Jordan Babev – a cui poi si aggiungono schermi e fondale – nasconde 5 pedane autonome mobili.
I cinque componenti della band sono posizionati tutti sulla stessa linea, ma le pedane mobili, nel corso del concerto, si muovono fino a raggiungere i 5 metri di altezza. Spesso i musicisti saranno sulla stessa linea, ma nel corso del concerto non sempre tutta la band sarà allineata, con Samuel che si diverte, in alcuni momenti, a saltare sulle pedane rialzate dei colleghi. Nell’insieme, un effetto speciale comunque davvero interessante, che movimento ulteriormente uno show molto ben curato, fin nei minimi dettagli. Non ultimo l’audio, che a Mantova è una spada di Damocle sulla testa di molte esibizioni.
Il contesto visivo, nei primi pezzi, ricorda, come impostazione, i concerti dei Low, ma nel corso dello svolgimento la struttura cambia, grazie a un uso importante dei schermi su più livelli. Di fatto regala una vera sensazione di realtà aumentata, tecnologia ormai in uso nel mondo digitale, e titolo dell’ultimo lavoro dei Subsonica. Gli schermi creano profondità, con un effetto 3D davvero molto credibile, e incredibile; le piattaforme fanno letteralmente galleggiare, su molti brani, la band nelle immagini, e i componenti appaiono così davvero elemento reale fuso con il mondo digitale.
Oltre al finale, la parte migliore, da un punto visivo, è quella centrale, prima dell’arrivo degli ospiti, e cioè da “La Glaciazione” fino a “Centro della fiamma”. Un’immersione visiva che fonde insieme, appunto, i Low, gli spettacoli dell’ultimo Roger Waters, e gli show visivi di matrice statunitense. Solo per questo aspetto il concerto merita molta attenzione. Una cura così meticolosa si vede raramente nei palazzetti; è più da stadio infatti e, a oggi, forse solo i maxi show di Vasco Rossi si sono permessi un investimento tecnologico di questo genere.
Ma non è questa l’unica nota positiva, anzi. Anche se ho deciso di partire da quell’aspetto, ciò che mi ha colpito di più è la forma fisica e artistica dei Subsonica. Soprattutto la rinnovata sinergia ed energia con cui si sono presentati al via di questo nuovo tour. A onor del vero, ero molto titubante. Gli ultimi concerti non mi avevano convinto. Musicalmente ripetitivi, e alla ricerca di una novità che, forse, non c’è e non può essere trovata, dato che i Subsonica hanno innovato già molto nel mondo musicale italiano. Il tentativo, a tutti i costi, di trovare per forza deviazioni verso una scena, quella rap e hip-hop, pur se poteva apparire non così anomala, non ha dato i frutti sperati. Le soluzioni elaborate e gli esperimenti messi in pratica, sono apparsi forzati, come d’altronde è accaduto nel tour che ha celebrato “Microchip emozionale”.
Forse, la musica di Samuel, Max Casacci, Boosta, Ninja e Vicio, è da sempre un ibrido, fatto di Pop, Rock, Elettronica e mondo dei club/discoteche, che non necessita di altre e nuove contaminazioni. Detto altrimenti, è una musica che fa ballare, come un tempo accadeva nelle balere, con il Liscio. Non scherzo, e non voglio mancare di rispetto. I Subsonica hanno nobilitato quell’arte, facendo ballare e raccontando storie, e proponendo contenuti che sono stati colonna sonora di una generazione di passaggio, quella cioè che oggi si ritrova fra i 35 anni, e i 50 all’alba. Divertimento sì, ma non sballo fine a se stesso. Dei contenuti ancora li si voleva e li si chiedeva ai musicisti, e i Subsonica li hanno saputi dare.
Forti di questa tradizione alle spalle, la band ha deciso di ritrovarsi, sia come armonia fra i membri, sia musicalmente parlando, come voglia di fra ritorno alle origini. Non serve negarlo, una frattura fra il pubblico c’è, e c’è stata, e ci faremo i conti fra qualche lustro. Snaturare per cercare un contatto con chi cerca e fruisce della musica come una merce, e cioè per mero intrattenimento, non è nel DNA di questa band. Quindi tornare alle origini aiuta, pur se prima del finale si guarda ancora a quel mondo che avanza, e porta nel passato, inevitabilmente, chi da lì proviene.
I Subsonica, insomma, non cercano di copiare se stessi, ma fanno quello che sanno fare, e tornano a far vivere quel clima che li ha resi protagonisti assoluti di un genere che, prima di loro, non aveva uguali in Italia, se non nelle cantine e nei circuiti underground; eredi, si diceva prima, dei luoghi all’aperto dove si ballava per divertirsi.
Le scelte dell’apparato visivo unite a quelle musicali restituiscono così una band in grande spolvero, e quando Boosta chiede al pubblico mantovano se abbiamo fatto bene a non scioglierci? la domanda diventa subito retorica, e contiene la naturale risposta: no. Per fortuna, se questo è il risultato. I Subsonica, in questo stato di grazia, si sono davvero rigenerati.
La scelta della scaletta, poi, lo conferma. Nessuna paura del presente, tanto quanto del passato. Si parte con i primi brani di “Realtà aumentata”, e si prosegue subito con alcuni grandi classici che non vengono relegati nel finale, ma disposti in una sorta di racconto sonoro, sostenuto dalla visual art degli schermi, per spiegare l’evoluzione della band. I temi sono quelli noti, e per riportarli a galla si parte da lontano, e cioè con “Cose che non ho”, brano degli albori, quando il gruppo era punto di riferimento di una scena, quella piemontese, che usciva dai Murazzi, e si affacciava sul panorama italiano.
Lo sa bene chi conosce i piemontesi: gente ruvida, di poche parole, dal grande passato alle spalle, e, con davanti agli occhi, tormenti figli di un presente troppo chiacchierato e chiacchierone. Ma anche di un benessere in bilico, come in tutte le città figlie dell’industria.
Così i piemontesi si rifugiano da sempre nel silenzio, nel pudore, e nell’essenziale. Non serve raccontare nulla, ma solo far scorrere i brani che hanno descritto i fine ’90 e gli inizi del 2000, quando tutto sembrava liquefarsi, ma per essere finalmente libero.
“Aurora sogna” è l’inno di una generazione che si è prima prosciugata, e ora si tonifica in palestra; “Liberi tutti” era il desiderio che la Rete, e il mondo che ne derivava (quello dei barbari digitali, come narra Baricco… altro piemontese, guarda caso) davvero potesse fare la differenza, prima di diventare cenacolo e ricettacolo di tutto quello che, un tempo, restava sotto lo zerbino. Ed ecco che il trittico si chiude con “La glaciazione”, momento visivamente fra i migliori dello spettacolo, con un’immersione totale nelle immagini che, spiega la band, sono figlie di questo strato che avvolgeva tutto, dopo la grande Crisi.
La parola chiave arriva subito dopo, e rafforza quel “Discolabirinto” simbolo di un villaggio globale che ci avrebbe dovuto portare ai confini dell’Universo, e oltre… per citare la nota serie Tv che, negli anni ’70, immaginava il Mondo come patria dai confini infiniti nei quali abitare transitando, incontrando e vivendo in pace. Danzando. La discoteca doveva e poteva essere luogo di produzione culturale, di aggregazione sociale, di vita vissuta. Come, lo ripeto, le balere di un tempo. Solo attualizzate, e cioè la naturale evoluzione che era passata, prima, dalle sedi del mondo underground.
Poi la storia è diventata altro, purtroppo. Il bel sogno è finito. Non si è sfuggiti alla macchina, come teorizzavano Carmelo Bene e Kafka, e così l’omologazione, il commerciale, e il conseguente dispositivo di controllo, ha preso il posto di quella possibile gioiosa rivoluzione, che si voleva mettere in atto. Non resta altro che “Nuvole rapide”, a raccontare quel sogno svanito.
Su tutto ciò che ora parla di noi
Rabbia, illusioni e speranze che so
Detonazioni di un attimo che
Passerà
C’era già tutto in quel testo, ma forse era un monito, più che la descrizione della realtà che, già all’epoca, si sarebbe voluto che fosse davvero aumentata. La parte più intesa dello spettacolo termina qua, prima cioè della frenata che arriva con “Missili e droni”, brano lento che riporta tutti nella realtà, a questo punto non più aumentata, ma quella che viviamo, e vediamo, tutti i giorni nella sua terribile semplicità. I missili che calano dall’alto, per qualche minuto, ci fanno capire che non c’è nulla di cui essere felici e sereni. Sarà un passaggio, una suggestione, ma una band come i Subsonica ha il compito, in una festa, di ricordarcelo. Perché comunque, piacciono o no, sono fra gli ultimi rappresentanti di un senso che la musica ha sempre voluto avere, fino a qualche anno fa, e cioè ai tempi della frattura di cui si diceva prima, nel nostro Paese.
“Universo”, riaccende lo spettacolo, e lo spettacolo riparte, con una nuova realtà aumentata che porta sul palco, ma questa volta in carne e ossa, alcuni ospiti che, nelle prossime date, faranno parte del grande viaggio. Ensi e Willie Peyote: non è la prima volta che i due dividono il palco con i Subsonica, da sempre entusiasti di ospitare nei live altri esponenti della scena musicale contemporanea della loro città. Ce ne saranno altri, ma questo lo lasciamo scoprire a chi, nelle prossime date, andrà a sentire il live dei Subsonica.
Il finale, che non delude tutto quello che si è creato fino a quel momento, ha il suo vertice in “Tutti i miei sbagli”, altro brano iconico della band, che saluta il suo pubblico dopo due ore esatte di show con “Strade”. Buona la prima, si è soliti dire. E mai come in questa occasione la frase è appropriata. Un ottimo ritorno, davvero. Mancavano, lo dico con grande consapevolezza, perché i Subsonica hanno saputo essere un collettivo vero di ottimi musicisti, che anche da soli hanno saputo dimostrare di essere validi. Insieme, però, sanno fare davvero la differenza.
Questo è un tour da vedere, per godere di un nuovo stato di grazia della band; e per immergersi in uno spettacolo visivo, multimediale, ricco di immagini, avvolgente. Di certo segnerà un prima e un dopo. Non solo nella loro storia, ma nel modo di mettere in scena i live.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
Set list Subsonica Mantova 3 aprile 2024
- Cani umani
- Mattino di luce
- Pugno di sabbia
- Africa su Marte
- Cose che non ho
- Veleno
- Aurora sogna
- Liberi tutti
- La glaciazione
- Discolabirinto
- Nuvole rapide
- Centro della fiamma
- Missili e droni
- Dentro i miei vuoti
- Giungla Nord
- Universo
- Dentro i miei vuoti
- Scoppia la bolla
- Numero uno
- Aspettando il sole
- Nessuno colpa
- Il diluvio
- Lazzaro
- Benzina Oghoshi
- Odore
- Tutti i miei sbagli
- Strade