Bologna, il 7 novembre. Piove, andiamo verso i cancelli del Covo Club e davanti a noi spunta questo tipo vestito come un Bowie in versione gilet ed elegante, con un paio di enormi cuffie. Si ferma, è un rettangolo verticale bianco e sottile sotto la pioggia, è tutto così verticale, la pioggia, lui. Si toglie le cuffie, parla con lo staff per entrare. Lo guardo, è molto stiloso, occhi truccati glitterati, non credo di queste parti dall’accento. Data la tenuta da rockstar, ti viene il dubbio che non faccia parte della stessa band, ma non ha neppure l’età per essere uno di loro. Eppure c’era un senso di appartenenza. Non il primo della serata.
Il live è iniziato da qui, nel vedere che i giovanissimi The KVB, sold out al Covo, sono stati accolti da un pubblico di tutte le età di cui molti più grandi di loro, tra l’altro non al primo live del duo britannico in Italia. Sento che qualcuno ha assistito alla loro apertura agli Editors anni fa nella stessa Bologna. Tutto questo è stato un indizio per live di una certa maturità.
La sala si riempie, si fanno le 23 e le luci si affievoliscono su un pubblico di giacche leopardate, di pelle nere, di calze bizzarre, di qualche catena ma anche di roba più sobria. Il palco è di luce rossa. Sarà il colore che accoglierà l’ingresso della band nello stage.
Lui, Nicholas Wood, è molto casual nell’abbigliamento, lei, Kat Day, è molto più dark e appariscente. Questo unisono è composto da attitudini apparentemente diverse. Il pubblico e la band sono elettrizzati. Il team si volge un primo ansioso sguardo reciproco da è tutto ok? E poi la macchina parte: push, lei preme il bottone.
Entrata decisa con un colpo ben assestato di chitarra e chorus, un suono pulito e curato che spacca l’aria. Un paio di giri di attesa e di crescendo e subito si svela il primo brano: “Tremors”, l’omonimo brano del loro album del 2024 che stanno portando in tour. Intuiamo la qualità del concerto e dei tecnici dietro di esso già da ora: un grande, grande live per chi ama la new wave e l’elettronica. Siamo solo all’inizio.
Nicholas a sinistra è dietro una Fender, Kat a destra ha davanti un Sequential Take 5 e diversi sintetizzatori di fianco. Tutto questo armamentario ci fa piombare nella più tenebrosa Wave con il secondo brano, “Captive”, dal disco del 2012 “Always Then”, quello che li ha uniti, con dei tastieroni immensi e paesaggistici e la voce di Nicholas volutamente mono tono, calda eppur fredda nell’intento. Bella la scelta di non partire subito con una scarrellata di brani del nuovo disco ma fare un tuffo nel passato per rendergli onore e probabilmente per riprendere un discorso lasciato qualche anno fa – tant’è che proseguono con la stessa “Always then” dalle drum machine secche e sonorità decisamente anni ‘80.
Una nota di merito riguardo questo tipo di formazione voce/chitarra/synth/drum machine: spesso nei live alcune band non sempre riescono ad amalgamarsi con le drum e basi studiate fin troppo per una versione studio: nei concerti questi suoni mancano di ruvidità. L’impressione è quella di un karaoke a volte, nonostante l’intenzione. I The KVB invece sono stati eccellenti in questa amalgama sonora e di incastri di equalizzazioni: così come quando non ti accorgi che un attore recita allo stesso modo non dai peso a elementi registrati in questo live che in realtà sono ben pochi o comunque ben conviventi con tutto il resto. Nessun arrangiamento forzato (o, perdonate il gioco di parole, fin troppo arrangiato).
Il secondo estratto dall’album “Tremors” è la sporchissima e dura “Labyrinths”. Il cantato è sempre un eccitante sorta di elenco lineare, una voce che si arrampica e scivola giù come gocce sporche di pioggia che contrastano le esplosioni strumentali frequenti del brano e dei suoi suoni che sono delle schegge impazzite che hanno voglia di schiantarsi in tutte le direzioni.
Arriva uno dei punti più belli di tutto il live: la più datata “Awake” (da “Of Desire”, 2016) è una roba da rave. Tastiere e voce cupissime, tutto questo è una danza scura, una corsa su cavalli neri. Il pubblico impazzisce, la notte si può finalmente spogliare e liberare. Il livello del live dunque non ha dei cali: sale sempre più. Non sarà un’esibizione dove la band arriverà scarica, no, ci sta solo guidando saggiamente verso quella che sarà l’esplosione finale.
Tutto ha, come scritto, una salita sapiente sapendo amalgamare, dosare e usare al servizio della set list il repertorio dei diversi album: è la volta, dopo questa botta di cupezza fantastica danzereccia, di “Structural Index”, più pop e solare, il primo brano della serata tratto da “Unity” (2021). I synth sono un vortice e un labirinto, è tutto molto giocato sull’attesa, su lunghi fraseggi scambiati tra lei e lui che ha una chitarra stavolta dai tremoli quasi da film tarantiniani.
La successiva “Unbond” arriva sempre da “Unity”; stiamo attraversando ora la fase più leggera – sarà il disco di provenienza – e vagamente più solare del live, smorzando molto bene la prima parte dello stesso. La terza della serie, sempre da questo album, è “Unité” e fa il suo ingresso insieme alla tastierista Kat Day come lead vocalist, il primo quindi con voce femminile – anche questa una scelta saggia e meticolosa evitando di diventare ripetitivi con la linearità timbrica maschile – con un chorus robotico, decadente, diventando tutto ancor più meccanico sul finale.
Dopo questo giro di boa di vecchi album, si torna al tema del tour: solo ora appaiono il terzo e il quarto estratto dal nuovo “Tremor”. “Overload” ha un attacco forte, violento, la chitarra riconferma il suo sound al chorus, i synth sono molti dilatati così come i ritornelli. Si chiude quasi come un semi acustico negli ultimi due giri: chitarra pulita e voce. Segue “Deep End” con il suo riff tanto estivo quanto dark allo stesso tempo e con tastiere a volte semi-orientali su cui poggia il cantato all’unisono tra i due.
“Of desire”, l’album che prima ci ha fatto ballare con “Awake” torna in scaletta con la sua oscurità: “Never enough”. Le tastiere sono enormi, riempiono ogni spazio e buco notturno, sono il radar di un pipistrello. La chitarra stride in lande desolate, asfaltate, piovose, provinciali. La voce è calda, viene da una cabina telefonica di quelle stesse strade. Ripiombiamo con una produzione del 2024 con “Hands”: tastiere epiche che lasciano alzare le mani del pubblico al ritornello.
Ogni tanto, durante questa prima parte del live, Kat ha cercato il pubblico con qualche sguardo e sorriso timido. Tuttavia ballava, ballava, e questo faceva muovere tutta la sala. Poi accade una cosa da tradizione nei locali bolognesi: qualcuno urla senza senso un fateci i Nabat per ridere. Solo una tradizione ripetuta nel corso di concerti di qualsiasi tipo. Con una drum inizialmente da Manchester data l’inclinazione joydivisiana del progetto entra il primo brano tratto da “Immaterial Visions” del 2013, “Shadows”, portando poi invece un che di leggermente rockabilly nella list, note che saltano sulla leva del vibrato così tanto che Nicholas a fine brano se la trova in mano.
“From Afar”, dall’ep “Out of body” del 2014, segna la prima vera diretta apertura della band con il pubblico, un primo contatto più tangibile, non a caso durante uno dei brani più sonoramente radiofonici. Dato il generale mood abbastanza cupo, è difficile creare dei momenti di “tangibilità” e affetto poiché c’è un distacco emotivo nei temi, un’introspezione da proteggere e mantenere seppure consegnata alle masse. In questo brano Kat per la prima volta alza le braccia e batte le mani cercando la risposta pronta del pubblico. Questo sblocca anche Nicholas che si inginocchia sulle spie e inizia il suo primo gioco con gli spettatori, lasciando quasi la sua chitarra elettrica in mano a essi. Quasi. Torna sul palco ma ormai il gioco con la folla è iniziato – sulla fine della set list, certo, ma è accaduto.
“Above us” (da “Only now forever”, 2018) risulta calda e coinvolgente, ma in “Medication” (“Artefacts”, 2023) lei torna a essere lead vocalist con una dance ipnotica e arpeggiatori ruvidi; Kat si libera dalla postazione tastiere e synth e con il solo microfono si porge in piedi tra il pubblico, mai così vicina. Non è un live monotono, questo; come scritto la band sa tenere alta l’attenzione magistralmente anche nei piccoli scambi scenici come se l’esibizione non dovesse finire mai.
Il concerto si chiude con la quasi grunge “Dayzed”: lui si inginocchia verso le spie, prende il cellulare di una persona del pubblico e in cambio le affida la sua chitarra elettrica. Un gesto più che simbolico e più che loquace: non fare la fan, sii la rockstar. Alla stessa verrà donata la set list, la scaletta di un concerto bellissimo seguito da un djset a tema favoloso. Il simil Bowie si scatena, noi con lui. Un’altra serata qui dal “Covo”.
Articolo di Mirko Di Francescantonio, foto di Giovanna Dell’Acqua
Set list The KBV Bologna 7 novembre 2024
- Tremors
- Captives
- Always then
- Labyrinths
- Awake
- Structural Index
- Unbound
- Unité
- Overload
- Deep End
- Never Enough
- Hands
- Shadows
- From Afar
- Medication
- Dayzed