25 ottobre, e come spesso capita a Firenze, per tutta la settimana non c’è neanche un concerto, poi nella stessa sera ce ne sono quattro, ma quello di spessore è al Viper Theatre, sold out per il ritorno in Italia di The White Buffalo. Jake Smith apre da solo con la sua fedele chitarra acustica; chiude gli occhi, mentre la mani iniziano ad accarezzare le corde, inizia a cantare: “Mother”. Il locale si zittisce d’improvviso.
Tutti ascoltano, assorti, questa storia di sconfitta e rimpianti che è “Wish It Was True”. Cosa è la verità? Stasera sono tre musicisti che suonano insieme e sembrano una vera mandria di bufali che corrono liberi nella prateria e che non hanno paura di raccontare le loro storie, di condividere i loro sentimenti, le loro vittorie e i loro fallimenti.
Mentre ascolto una delle più belle versioni di “Stunt Driver” penso che questa canzone sarebbe la perfetta colonna sonora dell’attraversamento del fiume Stige sulla barca di Caronte. Sento le onde che si infrangono sulla chiglia della barca, sento il freddo, l’odore di zolfo e le urla in lontananza … “Forse è un’altra anima persa, falla salire a bordo”.
Jake Smith, Matt Lynott e Christopher Alan Hoffee sono i nocchieri scelti per portare stasera il pubblico in un’altra dimensione dove l’amore è vissuto in ogni sua forma: da quella innocente a quella disperata, dall’amore trovato a quello perduto.
Jake Smith ha una voce che da sola potrebbe muovere montagne. Quando prende fiato sembra portarti dentro la sua gola e nei polmoni, sfiorando il suo cuore. “Love Song #1”, “Sycamore”, “Kingdom For A Fool” sono classici della tradizione dei grandi cantastorie americani, ma non si fermano alla riproduzione di un archetipo, hanno un cuore pulsante: quello di Jake. È lui l’eroe di tutte queste storie, colui che porta le ferite sul suo corpo, la sua barba grigia e i suoi occhi così vivi che sembrano guardare ogni spettatore presente nella sala.
La prova della sua credibilità appare chiara nella cover di “The House Of The Rising Sun”. Un super classico che negli anni ha ricevuto migliaia di versioni più o meno riuscite. The White Buffalo la fanno loro, così come quei ricordi strazianti raccontati nella canzone con Jake che nella prima strofa riesce a trovare la nota più profonda, nascosta dentro la sua anima. È come se il pezzo vivesse una nuova vita, perdendo ogni legame con il passato.
Queste canzoni rompono lo scorrere del tempo, fermando un istante e lasciando a noi di scegliere quanto farlo durare. La riprova è nel bis: tre canzoni, tre classici che sono di fatto un concerto nel concerto. La cover di “Highwayman” di Jimmy Webb, la splendida “Damned” e l’esplosiva “How The West Was Won”.
Mentre guardo i volti del pubblico, per lo più di ragazzi provenienti dalle regioni vicine, vedo nei loro occhi la stessa scintilla che c’era a inizio concerto e che non si è mai spenta.
In un panorama musicale che trovo personalmente disarmante, l’esistenza di una band come quella dei The White Buffalo che proprio dal vivo rende al meglio – il loro primo live album è uscito da poco ed è stato recensito da Rock Nation www.rocknation.it/records/the-white-buffalo-a-freight-train-through-the-night/ – è una prova tangibile che non tutto è perduto.
Menzione a parte per il gruppo di apertura: L. A. Edwards che già aveva aperto per il trio lo scorso anno e che stasera è sembrato meno graffiante, con un sound preso in prestito da “Born In The USA”, e il tentativo di emulare il perfetto equilibrio che rendeva Tom Petty And The Heartbreakers inarrivabili.
Articolo di Jacopo Meille, foto di Francesca Cecconi
Set list The White Buffalo Viper Firenze 25 ottobre 2024
- Wish It Was True
- Love Song #1
- Kingdom For A Fool
- Set My Body Free
- This Year
- Into The Sun
- House Of The Rising Sun
- Sycamore
- C’mon Come Up
- Come Join The Murder
- BB Guns & Dirt Bikes
- Oh Darling What Have I Done
- Last Call To Heaven
- Stunt Driver
- I Got You
- The Whistler
- The Pilot
- Highway Man
- Damned
- How The West Was Won