Tommy Emmanuel è uno dei più prestigiosi, se non il più grande in assoluto, tra i chitarristi acustici attualmente in vita. In tour europeo, ha fatto alcune tappe italiane, e noi lo incontriamo il 27 marzo a Firenze, in un Tuscany Hall zeppo di pubblico, quasi un tutto esaurito. Ma prima di parlare della sua esibizione è doveroso accennare alla mia nuova scoperta, il quasi 34enne Mike Dawes che non conoscevo e che ha aperto il concerto.
Chitarrista britannico giovane esponente del fingerstyle, o meglio, come lui stesso lo definisce didatticamente progressive fingerstyle, tecnica mista percussiva, composta da hammer-on, tapping e slap. Simpatico personaggio sul palco, che fa coppia perfetta con il grande Emmanuel, riguardo al suo modo scherzoso e gioviale di coinvolgere la platea.
La distesa di pedalini che utilizza rendono corposo e profondo il suo sound, caratterizzato soprattutto dalle accordature aperte, tra le quali mi è sembrato di scorgere chiaramente la classica in RE sospeso, per gli addetti ai lavori DADGAD. Mike suona alcune composizioni originali e alcune cover, per esempio l’adattamento di “Jump” come omaggio al mito Van Halen, che ci hanno deliziato nell’attesa del campione australiano, chiara fin da subito la sua maggiore fonte d’ispirazione, Michael Hedges, al quale tra l’altro dedica un pezzo.
Dopo una ventina di minuti di pausa arriva lui, Tommy Emmanuel, che parte a razzo con una serie di classici blues e boogie, suonati a una velocità a volte impensabile, soprattutto nella cruda nudità a cui ti espone suonare da solo una vera chitarra acustica senza aiutini, forse un po’ di riverbero e poco più.
Tommy suona sciolto, divertito e sempre coinvolto, in piedi, si siede soltanto per i miei due brani preferiti della scaletta, quelli più armonici-melodici che dimostrano il gusto e i colori di musica emozionante, a prescindere dall’indiscutibile tecnica esibita fino a quel punto, “It’s Never Too Late”, scritta nel 2015 per la nascita di sua figlia Rachel, e “Wide Ocean”, che lui stesso ci ha raccontato, intitolata così dalla stessa piccola dopo che la madre, su richiesta di Tommy in tournée, avesse chiesto cosa le evocasse ascoltare la fresca composizione del padre, e la piccola rispose sembra di sentire il vasto oceano …e quindi, musica di Tommy, titolo di Rachel, meraviglioso.
Classico finale con l’immancabile medley dei Beatles, e poi un bis insieme a Mike Dawes, bellissima sintesi di una collaborazione brillante, su tre brani tra i quali la “Fields of Gold” di Sting e la curiosa versione di “Smells Like Teen Spirit” dei Nirvana.
Al concerto presenziavano ovviamente una marea di chitarristi tra i quali il sottoscritto, ma direi di aver visto, rispetto ai soliti, anche tanta gente non del mestiere, testimonianza chiara di come William Tommy Emmanuel abbia travalicato obliquamente le barriere della tecnica strumentale, linguaggio e materia dei solitamente pochi e spietati intenditori. Poco prima della mezzanotte, tutti a casa, felici e contenti.
Articolo di Francesco Bottai, foto di Francesca Cecconi