I Tool sono tornati in Italia dopo cinque anni di assenza, esibendosi il 15 giugno nuovamente al Firenze Rocks nella Visarno Arena, la stessa location che li aveva ospitati l’ultima volta nel 2019. Un ricco bill ha anticipato il ritorno della band di Los Angeles sui palchi italiani, ecco raccontata la nostra esperienza.
Night Verses
A causa delle distanze e, soprattutto, dei mezzi pubblici, non sono riuscita ad ascoltare i Night Verses, primo gruppo del secondo giorno del Firenze Rocks. Tuttavia, parlando con alcune persone del pubblico, ho scoperto che la band californiana ha superato di gran lunga le aspettative di tutti i fortunati presenti. Un power trio che ha offerto un’ora di metal alternativo strumentale, dando il via alla giornata in modo eccellente.
dEUS
Sono seguiti i dEUS, band belga caratterizzata da una particolare combinazione di stili e generi musicali diversi, spaziando nel Rock, Punk, Blues arrivando all’Elettronica.
I brani sono eterogenei, passando da quelli più cupi che evocano le atmosfere dei Velvet Underground a leggere ballad accompagnate dalla chitarra acustica di Tom Barman.
Il vero punto di forza del gruppo? Klas Janzoons che con il suo violino elettrico arricchisce ogni brano, conferendo un tocco distintivo al loro repertorio.
Purtroppo la band proveniente da Anversa non è riuscita a entusiasmare il pubblico. La loro presenza scenica essenziale e le lente canzoni non sono riuscite a coinvolgere i presenti, che erano in fila già dalle quattro del pomeriggio sotto un sole rovente.
The Struts
Per fortuna, The Struts sono intervenuti per ravvivare gli animi di tutti i presenti. Devo ammettere che mi è molto difficile scrivere in modo imparziale su questo gruppo, dopo averli intervistati (la nostra intervista) la scorsa estate e aver scoperto la simpatia contagiosa di ogni singolo componente.
Vedere The Struts sul palco è una scarica di serotonina, una band con una grande personalità formata da persone nate per stare sul palco. Il gruppo inglese ha scelto con cura i brani da eseguire, regalandoci un’ora di musica con i loro pezzi più famosi, da “Too Good At Raising Hell” a “Your Body Talks”, concludendo con la celebre “Could Have Been Me”.
Durante tutto il concerto, Luke Spiller ha riconfermato la sua fenomenale presenza scenica: ha ballato, riso e scherzato con il pubblico come se fossero amici di vecchia data. A fine scaletta ha chiesto quanti tra i presenti li conoscessero prima di oggi, pochissimi hanno alzato la mano e Luke con un sorriso a trentaquattro denti ha urlato: Welcome to the family!
Caro Luke, forse il pubblico serio dei Tool non sarà il miglior target per i vostri futuri live, ma non importa. Mi avete fatta scatenare e divertire come non mi succedeva da tanto tempo.
Tool
Con cinque minuti di anticipo sulla set time line, la band americana è salita sul palco senza esitazioni, accompagnata da un forte boato sulle prime note di “Jambi”, facendo rivivere ai presenti un grande classico del passato. La scaletta ha subito non pochi cambiamenti rispetto all’ultimo loro concerto alla Visarno Arena, nel 2019 la scaletta includeva i grandi classici della band, come “Ænema”, “The Pot”, “Schism” e “Forty Six & 2”.
Oggi questi brani sono assenti, suscitando non poche critiche dal pubblico, mentre gran parte dei brani eseguiti proviene dall’ultimo album “Fear Inoculum”. Tuttavia, per comprendere la scelta di questa particolare scaletta, ma soprattutto per capire appieno l’esperienza di un concerto dei Tool, è doveroso fare un passo indietro.
Iniziamo dal nome, scelto dalla band per la sua molteplicità di significati. Uno dei significati principali attribuiti al nome Tool è che i membri della band vedono la loro musica come uno strumento per assistere i loro ascoltatori nel raggiungimento di una dimensione superiore di coscienza e scoperta di sé stessi.
Infatti, come rivelato dal batterista Danny Carey, il nome indica l’intento della band di utilizzare la propria musica come strumento di trasformazione personale e spirituale. Proprio per questo, un concerto dei Tool non è un semplice spettacolo musicale, ma una vera e propria esperienza filosofica e artistica. La musica diventa l’incarnazione della volontà schopenhaueriana, uno strumento che avvicina al velo di Maya, capace di farci cogliere l’essenza più profonda delle cose, al di là dei limiti della ragione.
La sagoma di Maynard James Keenan è l’unica cosa che si riesce a intravedere del cantante per tutto il concerto, dove inizialmente dà le spalle al pubblico per poi posizionarsi sulla destra della batteria, in fondo al palco.
Sui maxi-schermi della Visarno Arena non vengono proiettati i filmati dei membri della band, ma visioni psichedeliche e a tratti disturbanti, che rappresentano i testi, spesso cupi, dei Tool. Il palco è immerso nell’oscurità, offuscato da fumogeni e giochi impressionanti di luci LED. Questa scelta particolare evidenzia come la band di Los Angeles non voglia che lo spettatore si concentri sui singoli musicisti, ma piuttosto sul significato profondo che la loro musica cerca di trasmettere.
La band Progressive Metal è nota per le sperimentazioni musicali, i temi letterari e filosofici, l’integrazione stretta della musica con l’arte visiva e i messaggi di auto-illuminazione e trascendenza. Mentre la formazione della band – composta da voce, chitarra, basso e batteria – è convenzionale per il genere che suonano, il timbro vocale di Keenan e il suono dei vari strumenti non lo sono.
I suoni sono spesso fortemente influenzati dalla tecnologia, talvolta rendendo difficile identificare completamente la fonte del suono. Per coloro che criticano i Tool definendoli freddi e concentrati solo sui tecnicismi, prova di aver sentito la band senza averla mai davvero ascoltata. Durante un concerto dei Tool la band vuole accompagnarvi in un viaggio ai confini dell’umanità, cercando di aprire il vostro terzo occhio.
Per tutto il set non viene pronunciata una parola da nessun membro del gruppo, finché durante “Ions”, il chitarrista Adam Thomas Jones ringrazia con un timido grazie mille. Dopo l’esecuzione dell’ultima canzone, “Stinkfist”, e un breve saluto con la mano, tutti i membri della band lasciano rapidamente il palco, il loro lavoro artistico è finito, il cerchio si è chiuso. Solo il batterista Danny Carey ringrazia calorosamente tutti i presenti, mostrando sotto le luci bianche la tuta che indossa, chiaramente ispirata alla copertina di “Lateralus”.
Dopo che Carey lascia il palco, le luci non si spengono per accogliere il bis ma parte “Dancing Queen” degli ABBA. Non è una scelta casuale, questo specifico brano conclude ogni concerto dei Tool. Con questo forte contrasto, i Tool sembrano suggerire: vi abbiamo portato in un viaggio spirituale e post-umano; ora che il concerto è finito, tornate alle vostre vite fatte di illusioni e superficialità. Sta a voi decidere quale strada intraprendere.
Mentre mi dirigo verso l’uscita, guardo la faccia attonita di una gran fetta del pubblico che resta impalato aspettando il bis. Chi conosce bene i Tool, soprattutto chi li ha già visti dal vivo, sa che rifiutano categoricamente di eseguirlo, un atto abbastanza insolito nella scena Rock/Metal. La motivazione è chiara, considerano il bis come qualcosa di scontato e poco autentico, un elemento prevedibile che compromette la spontaneità e il flusso della loro espressione artistica. Questa è l’esperienza spirituale di un concerto dei Tool, un’immersione a trecentosessanta gradi in un universo parallelo senza spazio e senza tempo.
Articolo di Ambra Nardi, foto di Roberto Fontana
Set list Tool Firenze 15 giugno 2024
- Third Eye (Heartbeat Intro)
- Jambi
- Fear Innoculum
- Rosetta Stoned
- Pneuma
- Intolerance
- Descending
- The Grudge
- Flood
- Invincibile
- Ions
- Stinkfist