Fa davvero strano essere stati, all’inizio della prima settimana di luglio, ad ascoltare Bob Dylan a Milano e, nel mezzo della stessa, trovarsi in una magnifica location nelle campagne veronesi, a Mozzecane, per lo spettacolo “Un uomo chiamato Bob Dylan” del giornalista, scrittore, musicista e autore Ezio Guaitamacchi. Volto molto noto nel mondo delle sette note, il giornalista milanese ha deciso, per questa estate, di lavorare su un interessante omaggio a Bob Dylan.
La prima tappa di questo tour è stata a Mozzecane, giovedì 6 luglio, inizio alle 21.30, con impeccabile organizzazione di Box Office. Con Guaitamacchi sul palco c’era un trio formato da Davide Van De Sfroos, Andrea Mirò e Brunella Boschetti, tre voci che hanno prestato canto, recitazione e voce, al racconto di parte della vita del Bardo di Duluth.
Una serata che, diciamolo subito, sulla carta, per chi era reduce dagli show live di Bob Dylan, si presentava come l’occasione per ascoltare la scaletta perfetta, quella cioè che tutti avremmo voluto sentire nei live degli ultimi 20 anni. I tempi, però, sono cambiati, e Dylan, anche dopo aver dato alle stampe “Shadow Kingdom” (la nostra recensione), non è più da tempo quello che tutti noi vorremmo che fosse: l’artista degli anni ’60. Per fortuna, direi, anche perché questo permette a molte persone di rendergli omaggio, mentre è ancora in vita. Tenendo fede, infatti, al film di Martin Scorsese, “Io non sono qui”, citato anche durante la serata, Dylan, nella sua lunga carriera, è stato capace di reincarnarsi più volte.
Questo aspetto gli ha permesso di essere tanti personaggi, non di certo in cerca d’autore, ma che hanno raccontato aspetti diversi della nostra quotidianità: dalla politica alla religione, dalla pace alla guerra, dal popolo alla gente, per arrivare al mondo digitale che ci domina. L’ultima reincarnazione, in ordine di tempo, è quella di essere un’ombra, come ha potuto vedere chi ha assistito agli show dell’ultimo tour, ma un tempo, come ci ha ricordato lo spettacolo di Guaitamacchi, non era così. Già nel filmato iniziale, infatti, si capisce che stiamo parlando di un artista che è stato tutto, e il contrario di tutto. Chi sei? gli domanda un giornalista nelle immagini del passato. Bella domanda… risponde un giovanissimo Dylan. Questo è l’incipit perfetto, scelta migliore Guaitamacchi non poteva fare.
Già, chi è davvero Bob Dylan? Non di certo l’alter ego artistico di Robert Allen Zimmerman, nato a Duluth, nel Minnesota, nel 1941. Le sue reincarnazioni sono molte, e il citato film di Scorsese tentava di darne testimonianza. Anche lo spettacolo di Guaitamacchi ci prova e in parte ci riesce, con una sola critica, andrò ad argomentarla però nel finale.
La partenza, dunque, dopo il filmato introduttivo, è importante. Dylan è giovane, sono gli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti, e si parla di quell’avventura musicale che stava fondando non tanto il Rock, quanto la canzone di protesta che aveva in Woody Guthrie il suo cantore. Un’America fatta di treni da prendere al volo, di roghi, di operai e di contadini, di lavoratori sfruttati e di immigrati depredati. “This Land Is Your Land” è la canzone fondativa, generativa; un testo che ha dato origine a tutto quello che è venuto dopo. Guiatamacchi, circondato da molte chitarre, la introduce, e i tre compagni di palco la portano a compimento, facendo capire che questa sarà una serata quasi sempre corale, non di solisti in fuga.
Il primo vertice dello spettacolo si tocca con “Blowing In The Wind”, cantata da solista da Davide Van De Sfroos (unico caso, se togliamo poi il bis). Che dire… versione splendida, davvero. La voce di Van De Sfroos si adatta a meraviglia su questo testo, sia nella prima parte, cantata in inglese, sia nella seconda parte, eseguita in italiano (e fortunatamente non nella solita trita traduzione). L’ossatura di questa prima parte è quella del Dylan folk.
È la sua storia, e quella dell’incontro con Joan Baez, ma è anche la storia di un mondo, quello degli anni ’60 statunitensi, dove libertà, azione e protesta si fondevano insieme. Tutto era da costruire, da pensare, da vivere. “The Times They Are A-Changin” è, senza dubbio, la canzone più complessa e rappresentativa della vita di Dylan. Testo magmatico, sempre in movimento, e fissato in vari momenti su dischi, ma di fatto spesso rimaneggiato. Viene eseguito con grande maestria, e non è affatto un eufemismo, principalmente dalle due voci femminili. Van De Sfroos, in questa fase, interpreta un amico di Dylan, dipinge e lancia fogli al pubblico. Racconta così, in presa diretta, la vita del cantautore, e lo fa in modo davvero piacevole.
Dalla fase folk si giunge a quella rock, passaggio che, nello spettacolo, viene legato principalmente all’avvento dei Beatles. Scorrono le immagini di Dylan accanto ai Fab Four; si parla dell’amicizia con Lennon, senza però entrare in profondità; sarebbe stato interessante sviscerare meglio questo rapporto. Comunque, come è noto, Dylan passa dal Folk al Rock, con una memorabile tournée che, in questi anni, è stata editata in un cofanetto che contiene tutti concerti, data per data, di quel tour che cambierà per sempre la storia della musica contemporanea e, poi, della letteratura. “Mr. Tambourine Man” è il successo che vola primo in classifica, e a seguire “Like A Rolling Stone”, il grande testo di Dylan. Qui, e solo qui, Guaitamacchi entra in profondità. Il rapporto con i due Rolling Stones, il chitarrista Brian Jones e il bassista Bill Wyman, e la genesi, in una notte buia, complice un grande black-out, che porta alla nascita di questo capolavoro della musica contemporanea. La canteranno tutti insieme, con innesti in italiano di Van De Sfroos, e con Guaitamacchi che dimostra di essere a suo agio suonando le sue chitarre.
La storia prosegue, poi, sempre in modo troppo veloce, sulle donne di Dylan e, dunque, si arriva a “Just Like A Woman”, dove Brunella Boschetti dà davvero il meglio di se. Ottima esecuzione di un testo che, non me ne voglia nessuno, è costruito per una voce maschile. La Boschetti è davvero brava a farla sua, e l’esecuzione diventa davvero molto interessante.
Ci sono poi le avventure della band di Dylan, l’arrivo a Woodstock, l’incidente in moto, e così via. Fino al racconto di “Hurricane”, e anche qui Guaitamacchi si fa valere. Spiega, racconta, sviscera bene la vicenda di una canzone, che apre l’album “Desire”, e che Dylan, dopo le esecuzioni dell’epoca, non ha più cantato dal vivo. Anche questo aspetto meritava qualche parola in più, ma ci hanno pensato le note della canzone, ancora una volta eseguita a più voci mentre, alle spalle, scorrevano le immagini del pugile nero condannato a morte.
Guardando la scaletta ci si rende conto che siamo alla fine, ma la storia è sì e no appena cominciata. Siamo nel 1976, con “Desire”, e di storia ce ne sarebbe almeno altrettanta da raccontare. Mi chiedo come sia possibile… Anche perché l’ultima canzone in scaletta è “Shelter From The Storm” del 1975, quindi si torna indietro.
Ed eccoci al punto cruciale. Senza mancare di rispetto a nessuno, di fatto lo spettacolo ad un certo punto viene fatto finire. Così, all’improvviso. O meglio, si utilizza la strategia che la serie Tv “Boris” ha reso famosa, quella dello Iodimo, e cioè lo diciamo. In questa famosa e irriverente serie Tv, che spiega i meccanismi perversi delle serie dozzinali prodotte in Italia, viene spiegato che, quando non ci sono fondi per realizzare grandi scene, basta dire le cose. Il passaggio è noto, ed è nella quarta stagione. Lo staff, che sta girando una serie sulla vita di Gesù, non ha i soldi per la scena del massacro di Erode, e così un finto palestinese, con accento calabrese, giunge in scena e racconta di aver sentito che Erode ha fatto una strage. Tutti restano a bocca aperta, e la puntata prosegue. Stessa cosa accade qua. Siamo nel 1976 con il racconto. “Hurricane” è appena stata cantata. Guaitamacchi mette in atto, in modo magistrale, la tecnica sopra citata. Taglia gli ultimi 40 anni di carriera di Dylan, riducendola di fatto a 20. Negli ultimi 20 anni Dylan ha pubblicato 8 album di inediti; ha tenuto 3000 concerti, e cioè 150 all’anno in media; ha partecipato a pubblicità e, nel 2016, ha ottenuto il Nobel per la letteratura. In questi giorni è in tour in Italia.
A quel punto parte “Not Dark Yet”, singolo del 1998, penultima canzone in scaletta. Insomma, mi sia concessa una battuta, non sono 20 anni da poco quelli dei quali si è parlato. Nel mezzo ci sono, per dire, “Modern Times”, ma anche il triplo omaggio a Sinatra, senza scordare “Shadows in the Night”, e l’ultimo album di inediti “Rough and Rowdy Ways”. Per non parlare della vicenda del Nobel, che non è cosa da poco, anzi… Aver trasformato la canzone in letteratura è la grande magia del Bardo di Duluth. Questo fatto fa la differenza fra tutti e con tutti, e trasforma le canzonette in arte e, dunque, in storia. Erano solo le Muse e gli Dei, un tempo, coloro che sapevano trasformare i prodotti umani in arte, rendendoli dunque eterni. Non credo si possa sorvolare velocemente su questo aspetto. Però, va detto che non è possibile neppure raccontare tutta la storia in una serata. Quindi ci può stare che la scelta sia stata fatta sul Dylan degli albori. Si è scelto di seguire tre sue reincarnazioni, e di lasciare le altre, per ora, a una storia che è ancora in corso. Forse, lo dico davvero, alla fine ha ragione Guaitamacchi, e ha fatto bene a optare per questa soluzione.
Il finale vede Van de Sfroos eseguire la sua versione di “A Hard Rain’s Gonna Fall”, che diventa “Un gran brött tempuraal”, brano più volte eseguito dal vivo dal Nostro. La chiusura è un omaggio alla Band di Dylan con “The Weight”. La “prima” è buona, davvero, al netto di quanto scritto nel finale. Ora lo spettacolo necessita di essere rodato, ma i quattro sul palco hanno l’esperienza, e la capacità, per affinarlo al meglio. Da vedere, per goderne.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
Set list “Un uomo chiamato Bob Dylan” 6 luglio 2023 a Mozzecane (VR)
- American Pie
- This Land Is Your Land
- Blow In The Wind
- With God Our Side
- The Times They Are A Changin
- My Back Pages
- Mr. Tambourine Man
- Like A Rolling Stone
- Just Like A Woman
- All Along The Watchtower
- Hurricane
- Not Dark Yet
- Shelter From The Storm
- Un gran brött tempuraal (A Hard Rain’s Gonna Fall)
- The Weight