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Uriah Heep live Milano

Musicisti immensi, fan in festa. Concerto unico, difficilmente ripetibile

La prima cosa che ho pensato, appena finito il concerto che celebrava i 50 anni di attività degli inglesi Uriah Heep, è perché Bernie Shaw non sia stato scelto come voce sostitutiva dagli AC/DC quando Brian Johnson non stava bene. Shaw, infatti, ha cantato 24 canzoni (con una lunga pausa nel mezzo, va detto) senza cedere nulla a nessuno, con una voce splendida, alta e potente, e in grado di salire ancora in modo del tutto naturale. Più di una volta, su pezzi come “Sunrise” e “Too scared to run”, me lo sono sentito in testa cantare i grandi classici dei fratelli Young. Detto questo, torniamo al concerto lombardo; unica data italiana di questo tour celebrativo che tocca Milano, il 10 ottobre al teatro Dal Verme, grazie all’organizzazione di Vertigo.

Purtroppo nel nostro Paese gli Uriah Heep erano già di nicchia nei tempi della loro massima popolarità. Il tempo non ha fatto che affinare i fan. Pochi ma buoni, verrebbe da dire, perché questi potranno raccontare di aver assistito a un vero concerto di una band che ha ancora grande presenza sul palco, e ottimo tiro, usando il gergo di quelli bravi.

Due set in scaletta; uno in apertura di sette brani (in realtà sono dieci, “Confession, The Wizard, Paradise, Rain e Circle of Hands” vengono eseguite tutte insieme, in un unico flusso) in versione acustica. Poi, nella seconda parte, il set più rock hard & heavy della loro produzione.

Della band originale del 1969 resta solo il chitarrista Mick Box, che non accusa l’età. L’unico appunto che gli si può fare è il modo un poco impacciato di inviare baci e saluti al pubblico. Ricorda, ma solo nella mimica, Epifanio Girardi, personaggio reso famoso dal comico Antonio Albanese. Tutto il resto, invece, è pura arte delle sei corde. E considerate che suona per due ore e mezza, senza alcun supporto. C’è solo lui alla chitarra, e stop. Ottima anche la prova di Russell Gilbrook alla batteria, ultimo arrivato in formazione (nel 2017), e capace di suonare come un vero martello pneumatico. Altra nota di merito, fra le tante, gli ottimi tecnici del suono, che regalano un audio perfetto, cosa non facile in un luogo chiuso e, per di più, in un teatro non di certo nato per ospitare questo tipo di spettacoli.

Il concerto si apre con una lunga carrellata di star del Rock, e non solo, che salutano in video gli Uriah Heep, e gli augurano buon compleanno. Il momento top è Ian Anderson dei Jethro Tull che, con il suo flauto, intona il classico Happy Birthday. I saluti, poi, scorrono sul telo bianco che fa da sfondo al set acustico. Si va, per ricordarne alcuni, dai Judas Priest ad Alice Cooper, da Scott Gorham ai Vanilla Fudge, da Steve Harris ai Deep Purple, fino a Brian May che chiude questa lunga lista di saluti e auguri.

La vera chicca di questo tour per i 50 anni di attività è il set acustico. Ben fatto, davvero. La band si presenta nuda e cruda davanti al pubblico. Allestimento minimale per i cinque Uriah Heep, nel primo set. Il contatto con il pubblico dell’unica data italiana è diretto. I musicisti erano a pochi centimetri, non scherzo, dai fan delle prime file. L’effetto è davvero fuori dal tempo. Anche le persone in prima fila stentano a crederci. La band trasforma questo momento di intimità in una vera occasione. Non si nasconde, anzi si avvicina e cerca il dialogo.

Il set si apre con “Circus”, e subito, come già detto, Bernie Shaw sfodera una voce meravigliosa e potente. É appesantito, si vede, ma questo non incide sulla sua performance, e considerate che in questa fase cantava seduto. Mick Box, invece, da menestrello, quasi cantore in spiaggia, intrattiene e spiega, pure lui da seduto, la genesi della canzone. Davvero un momento magico. Il mix “Confession/Rain/The Wizard/Paradise/Circle of Hands” è una sfida per i buon gustai, e il chitarrista la lancia subito al suo pubblico. Ora vediamo chi le riconosce tutte… Non servirà, alla fine, la prova del nove, visto che il pubblico si alza in piedi e canta con la band, di fatto circondandola. Una magia che, in parte, si ripeterà nel secondo set, ma senza quel calore che questa apertura regala. Spulciando le scalette dei concerti precedenti si nota che questa formula è stata scelta per tutto il tour celebrativo dei 50 anni di carriera. Che dire, tanto di cappello. Avere una band così vicina non è cosa facile. Gli Uriah Heep, dunque, ci hanno fatto davvero un bel regalo.

Il secondo set si apre, dopo una pausa un po’ lunga, ma in realtà c’era da preparare il palco per il set elettrico, con un secondo mix di immagini. Questa volta il montaggio regala ricordi di questi 50 anni vissuti sui pachi di tutto il mondo. Una bella carrellata. Immagini che fanno bene ai fan.

La seconda parte, dunque, si apre con un palco completamente cambiato. Batteria e organo sono in alto, chitarra e basso al fianco della voce di Bernie Shaw che, tolta la t-shirt, si presenta in camicia, ma senza gli stivali blu. Ora c’è da cantare in piedi e muoversi per il palco. Lo farà, senza sosta. Mick Box, invece, non cambia outfit, come gli altri d’altronde, e resterà con i suoi occhiali scuri – stile Magnum P.I. – fino alla fine.

Qui, in questo set, dà il meglio di se, sfoderando talento puro, e capacità di tenere testa a 14 canzoni tirate che lo vedono solo alla chitarra, senza alcun tappeto e supporto. La scaletta è una risalita dagli anni ’70 agli anni 2000, con pezzi come “Stealin’”, esecuzione magnifica, potente, pulita e perfetta; “Between two worlds” dove la batteria la fa da padrone; “Rainbow demon”, uno dei vertici assoluti dell’estensione vocale di Bernie Shaw, con il pubblico che gli regala una standing ovation vera, sentita e genuina. Lui si inchina e non nasconde la sua emozione. Ve l’ho detto, c’è stata davvero tanta genuinità in questa esibizione, e tanto affetto, reciproco.

Il finale è affidato a due grandi classici, attesi da tempo. Durante tutto il concerto, infatti, il pubblico grida a gran voce “Gypsy” che arriva come primo bis. Bella lo era già, ma qui, con questa batteria bella potente a due grancasse, diventa ancora più potente e a tinte hard. “Easy Livin’” chiude le danze.

Dispiace dover andare via, e non solo al pubblico. La band è davvero soddisfatta dell’affetto e del suono che ha saputo portare in Italia. Chi c’è stato potrà raccontare di aver assistito ad un concerto di veri professionisti che ancora sanno emozionare e, soprattutto, emozionarsi. Dopo “solo” 50 anni di palco…

In uscita c’è anche il tempo di gustarsi una bella collezione di memorabilia. Non male, per far vivere ancora un poco il clima di festa.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Simona Isonni

Setlist Uriah Heep Milano 18 Ottobre 2022
1. Circus
2. Tales
3. Free Me
4. Come Away Melinda
5. Confession/Rain
6. The Wizard/Paradise/Circle of Hands
7. Lady in Black
8. Against the Odds
——
9. The Hanging Tree
10. Traveller in Time
11. Between Two Worlds
12. Stealin’
13. Too Scared to Run
Rainbow Demon
What Kind of God
Sunrise
Sweet Lorraine
Free ‘n’ Easy
July Morning
Gypsy
Easy Livin’

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