Giovedì 27 giugno. La morsa del caldo stringe i romani, che si rifugiano volentieri nei parchi alberati della capitale. Oggi però molti non accorrono nel parco di Villa Ada per scappare dal caldo, ma per assistere a un concerto imperdibile: quello di Yngwie Malmsteen.
Appena arrivato sotto il palco non posso non restare impressionato dal muro di Marshall. Chiaramente solo alcune testate saranno collegate ai cabinet, diversamente l’effetto tsunami nell’adiacente laghetto del parco sarebbe inevitabile. Bisogna riconoscere che l’impatto scenico è davvero notevole. Il palco vede disposti sul lato sinistro, visto dalla visuale del pubblico, i componenti della band lasciando a Malmsteen quasi tutto il palco.
Dopo una breve ritardo, ecco provenire da dietro il muro di amplificatori, il suono inconfondibile del chitarrista svedese che appare sul palco fra fumo e luci colorate. Lo show parte subito con il botto. Malmsteen fa uscire miriadi di note dalla sua celebre Fender signature, che peraltro presenta nella parte posteriore del body gli adesivi Ferrari di cui è un collezionista, e di licks neoclassici. Tutto questo muovendosi perennemente per il palco.
Yngwie Malmsteen è sicuramente un personaggio che si ama o si odia, ma non lascia indifferenti. D’altronde tutto è caratteristico dal sound alla chitarra con tastiera scalloped, dal look barocco ai lussuosi orologi immancabili sul polso. Un artista che suona da oltre 40 anni e al quale la stragrande chitarristi shredder, soprattutto quelli di stampo neoclassico, è debitrice.
Tecnicamente Malmsteen è un’enciclopedia di tutte le tecniche conosciute nel mondo dei virtuosi delle sei corde come sweep picking, tapping, pennate continue e alternate, volume swell per simulare il violino unite a un potente vibrato. Tutto unito a una pulizia dell’esecuzione al limite della maniacalità.
La band – Nick Marino voce e tastiere, Emilio Martinez al basso e Kevin Klingenschmid alla batteria – sostiene il virtuosismo sfrontato di Malmsteen in maniera impeccabile e regalano al pubblico una scaletta che attraversa un po’ tutta la carriera dello shredder svedese con brani come “Far Beyond The Sun”, “Blue” o la celebre “Trilogy Suite op.5”, che infiamma letteralmente gli spettatori.
Malmsteen si abbandona anche a un momento “sperimentale” mandando in feedback la chitarra, in realtà sarebbe giusto parlare di chitarre perché le cambia continuamente, e andando a modulare il feedback con il delay. Appena raggiunto il risultato voluto lancerà, senza guardare, la chitarra alle sue spalle che il tecnico delle chitarre prontamente afferrerà al volo, e uscirà di scena. Lavorare per lui non è una passeggiata.
Farà rientro dopo poco per regalare al pubblico la celebre “You Don’t Remember, I’ll Never Forget” un brano che verrà cantato dal pubblico in coro. Finisce di suonare, ringrazia il pubblico e va via. Può finire così? E la sua celebre chitarra classica Ovation bianca signature?
Malmsteen si ripresenta accolto dal calore del pubblico. Viene posizionata lo stand e la sua chitarra classica. Eccola, non poteva mancare. Parte il suo momento acustico, un tributo alla musica classica che tocca i maggiori compositori da sempre suoi ispiratori del suo rinomato stile neoclassico. Dopo l’accenno alla celebre “Aria sulla quarta corda” di Bach partono le note di “Black Star” e il chitarrista lascia la classica per tornare all’elettrica. Un finale in grande stile. Terminato il brano la band si riunisce a centro palco e saluta il pubblico.
Due ore di musica suonata con potenza, precisione, tanto spettacolo e che ha mostrato un Yngwie Malmsteen istrionico sul palco e capace di sfoggiare a 61 anni ancora tutta la sua tecnica che lo ha reso noto in tutto il mondo.
Articolo e foto di Daniele Bianchini