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You Me At Six live Milano

Un concerto agrodolce, dove è impossibile divertirsi senza quella vocina nel cervello che ti ripete che non accadrà mai più

Se ci pensiamo, la nostra intera esistenza è costellata di una serie di prime volte, che la rendono un’esperienza unica e diversa da tutte le altre: il primo amore, il primo bacio, i primi passi, il primo concerto, il primo giorno di scuola. Delle ultime volte, invece, non se ne parla quasi mai, forse perché hanno un sapore più malinconico: l’ultima estate da bambini, l’ultimo giro di giostra, l’ultimo giorno di vacanza. Questa è la storia di come un ultimo concerto di una band sia anche il primo per gli occhi di scrive, e di come sia possibile innamorarsene fino a lasciare una cicatrice sul cuore. Ai Magazzini Generali di Milano, il 27 novembre, è andato in scena un concerto targato Hellfire da scrivere sui libri di storia, non tanto per chissà quale effetto scenico, fuochi e faville o millemila persone che si strappano i capelli, no: sarà da ricordare l’intensità dei momenti, la forza delle sensazioni, dei ricordi, dei sentimenti.

Già dal primo pomeriggio la coda davanti alle porte è folta, compatta, saltellante nell’aria frizzantina di fine novembre. Io, che mi sto viziando per la presenza del pit ancora una volta, entro in sala qualche minuto prima dei fan, che mi tallonano di gran carriera e si assembrano in transenna, ai lati, ovunque sia possibile osservare un fazzoletto di palco. Stasera c’è di tutto sopra lo stage: rastrelliere colme di chitarre, le aste dei microfoni non si contano, cavi, luci e strobo a iosa, la batteria che verrà condivisa dai due gruppi spalla. La batteria titolare, che solitamente si può osservare nascosta da un drappo in attesa del suo momento di gloria, stasera è invece nascosta dietro un telo nero, appeso a un telaio, dietro al quale si cela anche altro, e dove si possono intravedere ogni tanto gli artisti prepararsi, una sorta di backstage secondario. Il pubblico è attento a ogni movimento, i più giovani scalpitano nelle prime file, hanno cartelli di messaggi affettuosi in mano e già non vedono l’ora di alzarli al vento per i loro beniamini. Sarà una serata dinamica, un moto perpetuo, e un batticuore dopo l’altro.

Mouth Culture

I primi, grintosi artisti a dimostrarcelo sono i Mouth Culture, che entrano immersi in una favolosa e immancabile luce rossa al grido di Are you motherfuckers ready?

Mouth Culture

Giovane ed eclettico quintetto alternative rock / indie originario di Leicester, Inghilterra, sin dalla loro nascita nel 2019 si sono costantemente ritagliati un percorso verso il successo nella scena rock britannica. Dopo una serie di singoli di successo e il loro ultimo ep “Whatever The Weather”, hanno raccolto crescente attenzione affermandosi come potenziali apripista del settore. Il loro slancio si è intensificato dopo un tour tutto esaurito con i Teenage Wrist e apparizioni accanto a pesi massimi come While She Sleeps e The Blackout, dimostrando la loro capacità di reggere il confronto tra i giganti della scena.

Mouth Culture

Appena saliti sul palco, i Mouth Culture non perdono tempo e si tuffano a capofitto nella loro unica miscela di stili alternativi, Grunge e Indie. Parlando di prime volte, questa è la loro prima sul suolo italico.
“Sharkbait” ha dato il via al tutto con il suo pungente commento sugli “squali” dell’industria musicale, con la sua grinta e la sua incisività che hanno immediatamente permeato la sala e lanciato i fan in una frenesia di movimento durata tutto il set.

Mouth Culture

Il vocalist Jack Voss, che a un certo punto decide di deliziare e lustrare gli occhi delle fan rimanendo a petto nudo e mettendo in mostra i suoi tatuaggi, possiede il palco con naturalezza e sicurezza, si accuccia sul bordo per farsi meglio osservare, specialmente dalle lenti dei fotografi; la sua gratitudine verso gli spettatori era palpabile in ogni sincera espressione di apprezzamento. Ci ha ricordato che, nonostante il loro crescente successo che sembra inevitabilmente esplodere, i Mouth Culture rimangono con i piedi per terra, senza mai perdere di vista i fan che fin dall’inizio hanno creduto in loro.

Mouth Culture

In scaletta, molti brani tratti dal loro ultimo ep: “Dead In Love” è meravigliosamente orecchiabile, davvero una dimostrazione del meglio della band. “No Shame” è notevolmente più cupa e grunge, con molti accenni a influenze come Royal Blood e Bring Me The Horizon. Jack Voss porta vera asprezza e malumore nella sua interpretazione vocale, e gli elementi elettronici mostrano un lato inebriante e nuovo della musicalità e dell’abilità artistica di cui questa band è capace. Il malumore ce l’ho anch’io, con tutto quel fumo e quella luce rossa, calandomi di fatto nel pieno del sentimento urlato disperatamente da Voss.

Mouth Culture

Con “Little Wednesday” la band mostra il suo lato emotivo, sia attraverso il lirismo che il tono; un ritorno a un suono indie rock ottimista, con un vero cuore in esso. In conclusione, la performance dei Mouth Culture è stata una testimonianza del loro talento e tenacia come musicisti affermati. Una cosa è certa, sono una forza da non sottovalutare, prossimi a raggiungere vette ancora più grandi, come grandi e calorosi sono gli applausi e i complimenti che si portano via come souvenir della loro prima volta italiana.

The Xcerts

Si inizia a portar via, adesso, le attrezzature che non servono più, e il palco comincia a respirare un po’.
I roadie preparano ogni cosa al meglio, insieme a un tipetto tutto affaccendato che sembrava a tutti gli effetti uno di loro; dopo pochi minuti, invece, questa personcina si rivela essere il frontman scatenato e tutto pepe dei The Xcerts, trio alternative rock scozzese originario di Aberdeen e nato nel 2001, con cinque album in studio, uno live, otto ep e una quantità di singoli di successo.

The Xcerts

Ventitre anni di esperienza che si vedono e si sentono tutti: Murray Macleod sa perfettamente come tenere in pugno la sala, e lo fa con la stessa facilità con cui ruberebbe la caramella a un bambino. Ha un’espressione maliziosa e un sorriso furbo, che chissà perché mi fanno pensare che sia stato un ragazzino di quelli che una ne pensano e cento ne fanno. Un aneddoto divertente da raccontare è che i The Xcerts nascono quando il tredicenne e futuro frontman Macleod incontra colui che sarà il futuro bassista Jordan Smith nell’ufficio del preside a scuola, probabilmente per una tirata d’orecchie.

The Xcerts

Un’attitudine ribelle che non lo ha abbandonato nel corso degli anni, e che riversa sul palco come un fiume in piena: forgiato nell’argento vivo, salta, corre, scalcia e si dimena senza sosta, sempre con quel sorriso sbarazzino. L’amore di questi tre esperti musicisti e amici da sempre è evidente in tutti i loro lavori; i ritmi trascinanti rendono impossibile lo stare fermi, devi almeno almeno battere i piedi a tempo.

The Xcerts

Ci pensa Macleod a dominare la folla e a farvi saltare e ballare, con “Drive Me Wild”, un brano funky che è una garanzia di energia, con sezioni strumentali memorabili. Mai titolo fu più azzeccato per un trio così a sangue caldo, un distillato di tutto ciò che la band fa così bene: woops e hollers, assoli di chitarra puri e senza fronzoli, la voce di Murray Macleod come un Tom Petty aberdoniano.

The Xcerts

La Scozia fa una bella svolta con in questo Pop Rock ricco di chitarre e emotivamente carico: probabilmente, nulla di quello che fanno i The Xcerts non è mai stato fatto prima. Loro lo fanno meglio di tutti gli altri però con la miscela perfetta di spavalderia, coraggio e abilità compositive della vecchia scuola.

The Xcerts

Sia che si stia guardando l’iperattivo frontman caracollare sullo stage, o il bassista Jordan Smith che gli rimbalza dietro con un sorriso da un orecchio all’altro, oppure Tom Heron alla batteria che tiene il ritmo pur riuscendo ad ammirare la folla adorante che canta ogni parola in risposta, è assolutamente impossibile che la loro elettricità felice e contagiosa non filtri nell’esperienza del pubblico.

The Xcerts

C’è una certa atmosfera classica nel loro stile; senza fare affidamento sui fronzoli, la band sforna un successo dopo l’altro, lasciando che sia la loro musica a parlare per loro. Lo stesso Macleod annuncia che la band è qui per divertirsi, ed è questa personalità amante del divertimento che li rende così accattivanti, attraenti e straordinariamente impressionanti dal vivo; felice o triste, i The Xcerts hanno il talento e le munizioni per realizzare qualsiasi stato d’animo.

The Xcerts

La struttura della set list del trio scozzese non fa che aumentare la sensazione di raffinatezza e professionalità: iniziare la serata con brani dal ritmo intenso e sostenuto assicura che il pubblico sia con loro fin dalla prima nota, sempre con contorno di acrobazie e evoluzioni di Macleod, prima che cambino tempo introducendo alcune canzoni un pochino più rilassate.

The Xcerts

Tremendo, il frontman si abbassa a livello dei fotografi, ci guarda bene in volto e a ognuno regala un dito medio come una reliquia; non un dito medio volante a caso, ma un dito medio rivolto a ogni lente presente, una per una, per poi sorridere con quell’espressione furba e irresistibile a cui vorresti rispondere con una tirata di guancia e un abbraccio. “Feels Like Falling In Love”, penultima canzone sul menu, è un inno dove tutto il pubblico è interamente coinvolto e il trio ha dato tutta l’anima, mostrandosi al loro meglio in assoluto, come se avessero appena iniziato il concerto.

The Xcerts

Macleod si assicura che le ultime parole fossero quelle che sarebbero rimaste impresse a tutti: Romantic Rock’n’Roll for fuckin’ ever!  Un talento divino nel creare una vera connessione con un pubblico che non li aveva mai visti prima, probabilmente.A fine concerto sapevamo tutti di aver assistito a qualcosa di speciale; i The Xcerts sono andati ben oltre le aspettative che chiunque aveva nei loro confronti, stanotte. Imparare a vivere e a lasciarsi andare non è sempre facile, ma questo gruppo scoppiettante ci ha aiutato offrendo una esibizione speciale, dove tutto al di fuori del locale ha cominciato a sembrare un lontano ricordo, seppur per un breve periodo. Una band da conoscere, assolutamente.

You Me At Six

Dopo la loro uscita, si inizia a sistemare il palco per gli headliner; dire che la minuzia è certosina è limitante. Si passa ogni dettaglio al setaccio, strumenti controllati e ricontrollati, corde di chitarre accordate e verificate alla luce di una lampada particolare. Se volevate stupirci con effetti speciali, ci siete riusciti ancor prima di salire sul palco, ragazzi miei, penso io. Il palco, ora sgombro dalle strumentazioni altrui, vanta in bella vista la spettacolare batteria titolare e un numero 6 in carattere romano, ancora spento, ma che pulserà tra poco al tempo della musica e del ritmo cardiaco dei fan che sono estremamente su di giri ormai. Il tempo del setup sembra non passare mai, e pur di fare un po’ di casino si festeggiano anche i roadie mentre lavorano e dimostrano di gradire ancheggiando e sorridendo.

You Me At Six

All’improvviso buio in sala, mentre fasci di luce bianca danno una sensazione tridimensionale allo spazio e gli You Me At Six fanno il loro epico ingresso e si sistemano ai loro posti; ultimo a entrare, sorridente e magnetico, lo sguardo fisso sulla sala come a volersela imprimere per sempre nella mente, ecco l’iconico e indiscusso leader Josh Franceschi. Il suo arrivo provoca una scossa elettrica tra i fan, mentre io avverto una sensazione stranissima: non ho mai visto gli You Me At Six dal vivo, ed ecco la mia prima volta di oggi; a quanto pare sarà anche l’ultima, perché questa è la loro unica e ultima data italiana del tour di addio “The Final Nights Of Six”, che celebra i loro 20 anni di carriera.

You Me At Six

Davanti a tanta bellezza, perché belli è il primo aggettivo che trovo per loro, non riferendomi al lato estetico, il mio pensiero è: Ma veramente questa è la mia prima e ultima volta con voi? Proprio ora che sto per conoscervi e già mi piacete, volete dirmi che non tornerete più sotto queste luci? 

You Me At Six

Con tanta semplicità conquistano il cuore di chiunque in sala gli You Me At Six, imponente formazione alternative rock / pop punk proveniente da Weybridge nel Surrey, Inghilterra, una band che ha accumulato così tanti chilometri in giro per il mondo che il loro livello di qualità dal vivo è assurdamente alto. In venti anni di carriera hanno sfornato otto album in studio, uno live, sette ep, quarantatre singoli, trentadue video musicali.


Questi vent’anni li ritroviamo nella lunga, golosissima set list, che vede una chicca dopo l’altra far saltare, ballare, fare crowdsurfing e perché no, anche far scendere qualche lacrima. It’s the beginning of the end! Grida Franceschi, e se davvero dev’essere così, gli You Me At Six si assicureranno di fare un’uscita col botto.

You Me At Six

Il pubblico è super pronto e desideroso di rivivere i giorni felici del Pop Rock britannico, dove questi artisti sono dei re, e danno il via al ritmo con “Room To Breathe”, focoso successo tratto dal loro album del 2014 “Cavalier Youth”. Una traccia che, a voler vedere, potrebbe essere facilmente cantata in acustico, potrebbero bastare una chitarra e un cantante; ma gli You Me At Six trasformano una semplice canzone in una ballata potente e viscerale, dai testi che sgomitano per aver spazio e respiro in un mondo claustrofobico come il nostro.

You Me At Six

Fiammeggiano le chitarre tra la abili mani di Max Helyer alla ritmica e Chris Miller, solista, mentre la stanza sussulta e saltella all’unisono con loro al suono di vecchi successi come “Reckless” e “Stay With Me” in versione acustica, la cui cupa rielaborazione sembra particolarmente adatta a quello che in sostanza è un addio alle luci della ribalta, mentre il festeggiatissimo frontman sfoggia una forma smagliante, ruggendo le sue battute con un tono perfetto e una determinazione d’acciaio che raggiunge quasi uno stato di maestosità.

You Me At Six

Non c’è dubbio alcuno che la sua spavalderia gli arrivi senza sforzo alle labbra, ma ha anche avuto modo di offrire uno sguardo al lato più delicato e sentimentale della sua personalità. Questa band porta nella loro esibizione un pezzo di ogni epoca; un aspetto gradevole per tutti fan, non importa quale sia il loro album preferito o la canzone del cuore.

You Me At Six

La performance più iconica, su cui tutti possono essere d’accordo indipendentemente dalle loro preferenze, è quando irrompono nel classico “Bite My Tongue”, che su album vede una memorabile collaborazione tra la band e il frontman dei Bring Me The Horizon Oli Sykes.

You Me At Six

Il featuring è coperto dallo stesso Franceschi senza esitazioni o sbavature, in un modo così brillante che anche il suo collega heavy rock potrebbe andarne fiero. La folla lo segue, canticchiando ogni parola insieme a un ringhio collettivo di Fuck you. Non c’è limite al potere di questa band, ed è esattamente quello che vogliono: senza fermarsi, senza rallentare, senza una pausa, inarrestabili come uno tsunami. Nessuno riesce a stare fermo, mani all’aria e luci che brillano e lampeggiano da una parete all’altra; gli You Me At Six fanno ballare anche i sassi.

You Me At Six

Diventa più emozionale Franceschi sulle note di “Take On The World”, dove i fan danno tutto ciò che hanno, cuori e anime assieme mentre lui urla Always remember how special you are, how wonderful you are! Always believe in yourself!  We’ve never been the biggest band in Italy, but we have the biggest fans!

You Me At Six

Gli occhi luccicano al pari delle centinaia di luci dei cellulari alzati e sì, anche di qualche accendino. Mannaggia, Josh, non farmi emozionare, che ho una reputazione da dura da mantenere, sospiro tra me.
Gira poi il coltello nella piaga, e lo sa benissimo il furbone, dicendoci che In 20 years so many of you told us we saved you, but you saved us more than you’ll ever know! Io, nel frattempo, mi ero portata in fondo alla sala; non si scambiano parole con i fan, niente chiacchiere, niente pensieri, ma vorrei che aveste visto anche solo uno, uno soltanto, degli sguardi che ho raccolto.

You Me At Six

Mentre i fan più giovani in prima fila si scatenano saltando come non ci fosse un domani e sollevando cartelli con la scritta Thank you for everything, noi sentimentali e nostalgici dietro le quinte passiamo il tempo a scambiarci occhiate con la muta, disperata domanda: Siamo sicuri, davvero sicuri, che questa è l’ultima volta? Davvero vogliono toglierci tutto questo? Non poter trovare risposta è un tormento.

You Me At Six

Tutti notano l’inquieto leader mentre canta passeggiando sulla balconata superiore, si sporge urlando I feel reckless! E osservando l’intero palco e quelli che sono i compagni di una vita, e siamo sicuri che si stia marchiando a fuoco nell’anima questo momento, questo locale, questa notte dove il pubblico italiano sta donando agli You Me At Six un lungo addio, seppur mascherato sotto sorrisi, applausi, urla e festeggiamenti e crowdsurfing.

You Me At Six

Un concerto agrodolce, dove è impossibile divertirsi senza quella vocina nel cervello che ti ripete che non accadrà mai più, e terminato da Franceschi che saluta i suoi fan, che si stanno finalmente rendendo conto di quello che sta accadendo, con un We’ll never see you again. Anche i saluti alla fine sono dolci e amari insieme; si spengono le luci, i grandi fari, le chitarre e i bassi tornano a riposare nelle loro rastrelliere, ancora fumanti. Si smonta la bellissima batteria. I fan girano le spalle al palco, improvvisamente mogi.
 One more song! Ma nessuno ha il coraggio di gridarlo. Non fatelo, You Me At Six, non lasciateci orfani della vostra energia e della vostra bellezza. Chissà, forse un giorno torneranno come tante volte sono tornati per l’encore, o magari non torneranno mai più, davvero. L’ultima cosa che vedo è che il pubblico non si perde nell’oscurità come succede solitamente a fine concerto, ma si raduna silenziosamente, ordinatamente, attorno al tour bus e aspetta. Aspetta di salutare ancora i loro artisti, di rubar loro un sorriso, di dire loro che saranno sempre nel loro cuore.

Un giorno qualunque, semplicemente smetti.
Come un’ultima sigaretta, un ultimo bacio.
La notte è ancora lunga,
Ma già profuma di nuova vita.  (F.Caramagna)

Articolo e foto di Simona Isonni


Set list You Me At Six Milano 27 novembre 2024

  1. Room To Breathe
  2. Loverboy
  3. Stay With Me
  4. Save It For The Bedroom
  5. Deep Cuts
  6. Give
  7. Night People
  8. Fresh Start Fever
  9. Straight To My Head
  10. Lived A Lie
  11. Crash
  12. Suckerpunch
  13. Make Me Feel Alive
  14. No Future
  15. Mixed Emotions
  16. No One Does It Better
  17. Liquid Confidence
  18. Take On The World
  19. Beautiful Way
  20. Bite My Tongue
  21. Reckless
  22. Underdog
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