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Mostra “Felicitazioni – CCCP Fedeli alla Linea 1984 – 2024”

Ai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia – Dal 12 ottobre all’11 febbraio 2024

Ci siamo, la grande mostra dedicata ai CCCP, organizzata a Reggio Emilia, la loro città, è ufficialmente aperta. I Chiostri di San Pietro (in via Emilia San Pietro, 44c) ospiteranno, per cinque mesi – ma tutti sono pronti a scommettere che sarà più lunga – quello che i quattro CCCP hanno definito il loro ultimo spettacolo. Nata da un’idea di Annarella Giudici, la benemerita soubrette, che è oggi amministratrice delegata ed esecutrice testamentaria dei CCCP, così l’ha definita Giovanni Lindo Ferretti alla presentazione, la mostra non è una raccolta di memorabilia. Tanto meno un excursus storico di questa band che, negli anni ’80, ha rivoluzionato la musica e il suo immaginario, in Italia. La parole di Fatur, performer, ed elemento decisivo per l’immaginario dei CCCP, hanno ben sintetizzato il tutto. Questa band, e i singoli componenti, in particolare modo Giovanni e Massimo, non hanno nulla da invidiare alle grandi avanguardie. Siamo stati un’avanguardia. Non eravamo solo musica, non eravamo solo teatro, non eravamo solo arte. Eravamo tutto insieme. Nulla ci separa dalle esperienze fatte, in altri contesti, da Warhol e dai Velvet Underground.

La mostra serve a raccontare questi aspetti, al netto di chi continua, imperterrito, a cercare di punzecchiare, con domande sibilline, la tenuta della rinnovata amicizia dei quattro, che si erano divisi sul finire degli anni ’80 e, allo stesso tempo, cerchi di stuzzicare Ferretti sul suo presente. Sono qui come cantante dei CCCP, mi censuro dunque. C’è il Ferretti non cantante dei CCCP, e quello che è, anima e corpo, cantante dei CCCP. Il Collettivo vince sul singolo, come è sempre stata la nostra storia, che è quella che si vede in mostra. Annarella ha fatto da collante. Per anni ho raccolto materiale ho tenuto via tutto. Qualcosa è andato perso, ma poco. Tutto era in un armadio, e piano piano è stato scansionato, digitalizzato. A quel punto è nata l’idea, dato che si avvicinavano i quarant’anni dall’uscita del primo ep.

Ferretti svela poi l’arcano. Sono venuti da me, nella mia stalla. Abbiamo realizzato delle foto, un’intervista per un film, e siamo andati a pranzo. La magia? Era come se avessimo suonato la sera prima, e poi, dopo il risveglio, siamo andati a pranzo. Solo che in mezzo sono passati 30 anni. La magia si è riaccesa, come una cellula che era dormiente. E ora, che cosa fare? L’ultima esibizione dei CCCP, una mostra statica, che non storicizza, ma semplicemente dice quello che siamo sempre stati, commenta Ferretti, visibilmente felice, pur se è quello che par chiudere ogni speranza per il futuro. Lasciateci gustare questi giorni. Ci sarà il Gran Galà Punkettone a Reggio Emilia al Valli, poi si vedrà. C’è molto materiale rimasto fuori da questa mostra, ci sono anche nastri inediti, live, video. Non so, vedremo cosa succederà, commenta un possibilista Zamboni. Ora che la cellula si è risvegliata chissà, è lecito sperare in qualcosa, se non di nuovo, almeno di inedito.

Nel mentre c’è questo ultimo spettacolo, la mostra, con catalogo (la nostra recensione), una nuova raccolta (la nostra recensione), e un essersi ritrovati (la nostra intervista) che è comunque buona cosa.

Poi, mentre Ferretti è categorico, come un imperativo, Annarella tentenna, e scuota la testa sui suoi, più volte ripetuti, questo è l’ultimo atto dei CCCP. Si vedrà insomma. Lo dirà, alla fine della conferenza stampa, anche lo stesso Ferretti: siamo o no i CCCP? Potremmo anche stupirvi.

Nel mentre ci pensa la mostra. Uno spettacolo statico, dove il mito rivive con tutta la sua forze e il suo immaginario. Entrare nel chiostro, e sentire la voce di Ferretti che urla il famoso produci, consuma, crepa, mentre si osserva un pezzo originale del Muro di Berlino, una Trabant e l’erba di Stalin.

Fa un bell’effetto Tutto è nato a Berlino, e non solo perché quel Muro, spiegano i quattro, in Emilia voleva dire ben altro, ma perché Ferretti e Zamboni si sono conosciuti proprio nella città divisa da quel muro. Da quella città, da quelle esperienze, nasce il desiderio di esprimersi, in provincia, nella più grande città comunista nel cuore del mondo Americano, ricorda Ferretti.

Il piano terra è la più semplice lettura della mostra. Un gruppo che si richiama a un immaginario, quello Sovietico, contro chi, jeans e bandana, si richiamava a quello americano. Farlo qua, a Reggio Emilia, aveva un senso, ed ecco perché quando il pezzo di Muro è arrivato abbiamo visto persone piangere. Qui quel muro era una speranza, non aveva il valore di oppressione che gli si attribuiva dalle altre parti del Mondo, ricorda sempre Zamboni.

Questo piano terra è forse quello meno complesso, più chiaro, didascalico, ordinato. C’è un legame forte fra la musica, album per album, e quel mondo, quello Sovietico che, in Emilia, era un sogno per un mondo migliore. La musica diventa questo viatico. Non era ancora mero intrattenimento – spiega Ferretti – anzi, si chiedeva molto alla musica. Forse è per questo che oggi, dopo aver domandato tanto alla politica, tanto alla musica, abbiamo una politica e una musica che sanno solo intrattenere e occuparsi di chiacchiericcio.

Queste sale, dopo l’ingresso dove capeggia la scritta “Felicitazioni”, con una sagoma in ferro dei VoPos (immagine che si trova sul primo Ep), sono caratterizzate da foto, testi, e una selezione dei materiali che ha portato alla realizzazione dei singoli album. Una prima parte, si diceva, didascalica, dove tutto sembra solo una questione di qualità, musicale ovviamente.

La stanza più bella, per chi scrive, manco a dirsi, quella riservata al capolavoro “Epica Etica Etnica Pathos”, il vero canto del cigno. Anche se poi, come bis finale, c’è la stanza che racconta il singolo con Amanda Lear. Fin qui, insomma, tutto scorre, ogni sala è dedicata a un album, ed è solo una questione di qualità. Il bello, per davvero, sarà nel resto della mostra.

Si salgono le scale, e a quel punto tutto si mescola. Siamo nello show, siamo dentro all’ultima esibizione dei CCCP. Dalle immagini di Fatur, con ruote di bicicletta, si sale alla prima stanza intima, dove una Tv, con sedia, mostra in loop “Madre”, canzone molto discussa all’epoca, ma che fa capire subito come da qui in poi siamo davvero dentro al mondo CCCP. Quando sono venuti a trovarmi in montagna, io erano anni che non ascoltavo i CCCP. Ho ripreso in mano tutto, libri e album. È stata una botta, come entrare qui dentro, ora. Tutto quello che avevamo fatto, era ancora attuale, prosegue nel suo racconto Ferretti.

Questa emozione, per chi non li ha mai visti live, la può rivivere in queste sale: musica, messaggi, valore del collettivo, senso di appartenenza, sogni e speranze. C’è anche spazio per un inedito, “Onde”, chissà se finirà edito, per ora ha una stanza tutta sua, ricorda Zamboni, come succede nei concerti, dove gli inediti, appunto, hanno il loro spazio di respiro. La stanza vede pendere casse, dove è possibile ascoltare l’unica vera novità musicale di questa operazione.

Il resto è la scaletta perfetta: dalle Tv che dominano l’immaginario, ai vestiti della Giudici, che ne creavano un altro; fino al mondo dell’Islam, che era una frontiera diversa da quella di oggi, era l’oriente, con tutto quello che portava, come immaginario, con se,spiega Ferretti. Punk Islam, ma anche le feste musicali dove si ballava sui ritmi punk della band. Solo una terapia, dunque, solo una terapia, per tempi passati, o anche per tempi presenti?

Questa seconda sezione porta inevitabilmente a chiederselo. Anche perché il titolo di questa seconda parte è “La vertigine della nomenklatura”, ed è un testo che ho scritto per celebrare il lavoro fatto, in 13 mesi, da Annarella e da Massimo. Io sono chiamato, per questioni familiari, a stare lontano, e loro hanno fatto tutto, ma è come se lo avessimo fatto sempre insieme. Siamo un collettivo, come un tempo, tuona Ferretti. Muri sgretolati, case occupate, gli ambienti di Fellegara, la prima sede dei CCCP, il tutto in stanze grezze, non ancora finite, lasciate volutamente nel loro essere rovine.

La stanza “Reclame” è la risposta a tutte le critiche, come d’altronde quella intitolata “Fedeli alla lira”. Chissà se qualcuno, ancora una volta, vedrà questa parte della mostra come un’accusa ad hoc. Muoversi qui dentro porta, poi, alla riflessione sul mondo, su quello che si è fatto. E se “Amandoti” diventa – con colpo di genio – canzone corale, montata con tutte le interpretazioni che ci sono state fino ad oggi, all’interno di un cinema rosso, le altre stanze raccontano la dissoluzione di un impero, mentre la musica dei CCCP si preparava a varcare le soglie del tempo. Altre due stanze sono molto interessanti, prima di quelle finali, di grande impatto.

C’è quella dedicata alla stampa, con i titoli che scorrono sui muri, e c’è quella che mostra il lavoro grafico, un antro a fantasia, con colori sgargianti, dove si entra in una delle tante officine dei CCCP. Prima del gran finale, c’è anche spazio per i camerini, con tanto di filo spinato. Lo stendevamo io e Fatur, era il pubblico che veniva a vedere noi, non noi loro. Ed era giusto così, e cioè avere questo distacco ricorda Ferretti.

Il finale dello spettacolo non poteva che essere con quelle incongruenze che erano in atto. Il comunismo emiliano non era quello di piazza Tien An Men, mostrata, nei video, con una gigantesca parata militare dell’epoca. Quello che accadeva in Italia non era la santificazione di un “Socialismo Irreale”, stanza di grande impatto, con teli neri, che scendono dal soffitto, dove sono rappresentati i leader dei paesi dell’ex blocco sovietico.

Al fondo c’è Nilde Iotti, e le cose sono ben chiare: CCCP Fedeli alla Linea, anche se la linea non c’è, ma in realtà c’è sempre stata. L’abbiamo solo messa in ordine qua, in questa nostra ultima esibizione, ed è sempre Ferretti a tirare le somme. Siamo rimasti fedeli a noi stessi, ad un mondo musicale al quale abbiamo chiesto tanto, e che ha saputo resistere nel tempo perché noi, nelle cose che abbiamo fatto, siamo stati noi stessi. Onesti, disciplinati e con rigore.

La morale del tutto? Canzoni, immaginario, senza dimenticare che ci si deve rendere conto degli errori, ammetterli, e proseguire.  I CCCP dovevano finire con la fine di un sogno, quello Socialista, non all’italiana, dove le cose erano ben diverse, ma quelle di un mondo, quello sovietico, dove le cose erano differenti. Allora lo spettacolo finisce, tornando, come in un cerchio, ancora nel chiostro con Berlino, il muro e l’erba di Stalin. Forse il problema, in senso metaforico, è che oggi non c’è più nulla che contiene, tutto sfugge. Non che servano i muri, ma un senso di rigore e contenimento è andato perso, riflette Zamboni.

Si esce dall’ultimo spettacolo dei CCCP, e cioè questa mostra, che è anche un catalogo, e un album, consapevoli non solo che il mondo è cambiato, ma di certo non in meglio. Quello che andava criticato, qui, a Reggio Emilia, nel Chiostro, è stato criticato. Il resto è musica, che ha saputo raccogliere istanze, tendenze, rabbia e frustrazioni che, chiosa Fatur, oggi come allora, sono le stesse. CCCP attuali, tanto quanto 40 anni fa.

Questa non è una mostra celebrativa del Comunismo, tanto meno dei CCCP. Questo è un concerto statico, uno spettacolo legato ad un mondo musicale, ad un immaginario e, come ha ricordato Fatur in apertura, ad un’avanguardia artistica. Chi andrà a Reggio Emilia a questo assisterà. La critica alla storia ci sta, come il ritorno a Berlino finale, che diventa quel Patto di Varsavia sotto il quale rifugiarsi per cercare una stabilità, e cioè un’idea forte, attorno alla quale si era creata un’idea artisco-musicale. Oggi, è ancora possibile? Questa è la domanda forte che circola, uscendo da questa mostra.

La mostra ai Chiostri di San Pietro, curata dagli stessi CCCP, è dunque una riflessione sulla rilevanza delle loro idee e della loro musica nel contesto attuale. Si tratta nei numeri, di 1800 mq, 28 spazi espositivi, un percorso che comincia con le sagome metalliche dei tre VoPos di Berlino al fianco della via Emilia, in contrasto con la scritta “Felicitazioni!”, che si addentra nel Chiostro Piccolo, passa per il Chiostro Grande e si snoda su due piani con installazioni, opere d’arte inedite, fotografie d’archivio mai pubblicate, supporti audiovisivi, costumi di scena.

Il piano terra è diviso in 7 sale, ognuna dedicata a un disco dei CCCP: ogni sala ne riporta il nome e le atmosfere che lo contraddistinguono. Al primo piano cambia l’atmosfera, dalla linearità del piano terra si passa al caos rigoroso dei 17 spazi espositivi. Qui i titoli sono più evocativi, dedicati a spettacoli, canzoni luoghi d’affezione e approfondimenti storici. 

Partendo da Reggio Emilia, la mostra proietta il visitatore in uno spazio umano illimitato, collegando di volta in volta Berlino est e ovest, l’Europa delle frontiere, Beirut, il mondo arabo, URSS e paesi satelliti, la Cina, Hong Kong, la Mongolia, Kabul, Palestina, Israele, Mosca, Leningrado e trasformando vorticosamente quei luoghi in periferie e centri di un unico impero mentale. Gli allestimenti della mostra sono a cura di Stefania Vasques, scenografie di Stefania Vasques e CCCP, light designer Pasquale Mari con Gianni Bertoli. Contributi artistici di Arthur Duff, Roberto Pugliese, Stefano Roveda e Luca Prandini. La mostra è realizzata grazie ai Fondi europei della Regione Emilia-Romagna.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana

Info e biglietti: www.palazzomagnani.it/exhibition/felicitazioni-cccp-fedeli-alla-linea-1984-2024/
Pacchetti turistici: www.palazzomagnani.it/pacchetti-turistici/

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