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Nick Elliot “The Italian Job”

La prima mostra italiana del fotografo rock inglese

Roma. Mi incammino intorpidito dal freddo, nonostante sia il 28 marzo e almeno sulla carta dovrebbe essere primavera, verso la Medina Art Gallery per assistere al vernissage della mostra fotografica “The Italian Job” di Nick Elliot, aperta fino al 3 aprile.

Arrivato alla mostra vengo accolto molto calorosamente da Nick Elliot e dalla curatrice italiana Raffaella Clementi che mi aiuteranno a capire meglio quello che poi sarà un vero viaggio nell’universo di Elliot. L’artista, molto conosciuto nel Regno Unito, è alla sua prima mostra qui in Italia dove presenta 25 dei suoi scatti. Penso che l’Italia sia il centro culturale più importante del mondo mi dice Nick e credo che qui capiscano cosa sto cercando di fare con la mia arte. Si dimostra da subito una persona molto alla mano, suvvia cerchiamo di cancellare questi stereotipi dei britannici freddi e distaccati, rock sia nell’attitudine che nel look, e capace di entrare subito in sintonia con chi voglia parlare della sua arte.

L’esposizione si apre con gli scatti fotografici musicali che osservo con molta attenzione. Sulle pareti ci sono molti dei grandi nomi del Rock e, a questo punto, potrei snocciolare la lista degli artisti per allungare il paragrafo e finirebbe così ma, da fotografo musicale, guardo piuttosto con sguardo analitico le immagini rimanendo colpito come, alle volte, quest’ultime sfuggano alle regole della composizione fotografica. Le immagini mostrano la personalità interiore dell’artista e quello che fanno mi spiega Elliot sono scatti molto profondi, non sono reportage. Hai dannatamente ragione Nick, gli scatti devono raccontare, e soprattutto emozionare.

Dalla stanza principale si sviluppa uno spazio secondario. Proprio in questo spazio inizia la Dark Art del fotografo britannico. Le foto esposte sono un pugno nello stomaco sussurrano solitudine, gridano dolore, suggeriscono confusione e questi scatti, quasi sempre volutamente sottoesposti affinché domini il buio sulla luce, ci fanno entrare senza filtri nella parte più intima di Nick Elliot.

Sono autoritratti, gli scatti sono tutti su di me mi dice e documentano il mio percorso emotivo degli ultimi 40 anni. L’artista si ferma un attimo poi prosegue La Dark Art nasce dalla perdita di mia madre. Dopo di lei ho perso mio figlio ed ho perso mio padre, poi ho perso mia moglie e ho rischiato di perdere la vita perché ho tentato il suicidio.

Dietro i suoi grossi occhiali scuri immagino gli occhi di chi ha visto l’inferno. Non so che dire. Resto impietrito. Posso solo riguardare quelle foto e vedere ancora più forte il dolore, la confusione e la solitudine, ma percepisco anche il potere catartico dell’arte e quegli scatti all’improvviso non sono più sanguinanti, ma piuttosto su quella immagini ci vedo le cicatrici di un’anima rinata. Resilienza, ecco se non odiassi così tanto questo sostantivo così abusato e violentato, potrei usarlo come sottotitolo per l’arte di Nick Elliot.

Non ho guardato questa mostra solo con gli occhi di un fotografo, né solo con quelli di un amante del Rock. Per capirla davvero, servivano occhi diversi che non si accontentano di vedere, ma che riescono a sentire: quelli dell’anima.

Articolo e foto di Daniele Bianchini

Nick Elliot online:
Sito Web: https://www.nickelliott.photography/

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