Un gradito ritorno quello degli Armor For Sleep. La band del New Jersey ha pubblicato il 9 settembre su Rude Records il suo quarto album di studio dal titolo “The Rain Museum”. Dopo 15 anni di assenza dalla scena, la chitarra del suo fondatore Ben Jorgensen torna a suonare per la gioia dei fan del gruppo statunitense che negli anni compresi fra il 2003 ed il 2007 aveva confezionato tre ottimi lavori, prima dello scioglimento ufficiale avvenuto nel 2009.
La cifra stilistica della band era basata sua una miscellanea sonora molto composita, fatta da Rock alternativo, indie, un tocco di Psichedelia e qualche venatura Post Punk, elementi che hanno creato l’alchimia giusta per decretarne un buon riscontro di pubblico. L’ultimo lavoro realizzato in sala di registrazione dal gruppo statunitense “Smile For Them” risaliva addirittura al 30 ottobre 2007. Da allora, salvo sporadiche apparizioni in contesti live che li hanno visti tributare un saluto ai molti supporter, i componenti della band non hanno più condiviso alcun progetto musicale. Nonostante alcune esperienze da solisti o con altri gruppi, probabilmente fra i musicisti è prevalsa l’idea di provare a riannodare il filo del discorso bruscamente interrotto, di tornare a unire le loro forze per una ripartenza con nuova linfa e creatività.
L’idea di un tour, agli inizi del 2020 è stata vanificata dalla pandemia, tuttavia la band ha approfittato della pausa forzata per gettare le basi di un nuovo lavoro, concretizzatosi nei primi mesi di questo anno. Ad anticipare l’uscita dell’album, due singoli pubblicati questa estate. Il primo di questi è stato “How Far Apart” del 7 luglio 2022, brano carico di energia, riverberi di chitarra e potenti ritmiche, un collage degli ingredienti che hanno decretato il successo della band fin dai primi anni 2000. Un pezzo dal ritornello accattivante adatto a passaggi in FM. Il secondo singolo “Whatever, Who Cares”, rilasciato il 4 agosto 2022, è un altro bel rocker intriso di sapori post punk.
Jorgensen, frontman della band, ha ideato un concept album, che nelle sue prime intenzioni doveva raccontare una Terra post – apocalittica in cui la pioggia è talmente rara da essere diventata, come suggerisce anche il titolo, un’attrazione da museo. Mentre il musicista elaborava tale ambizioso progetto, l’arrivo della pandemia ed alcune vicissitudini personali, pur non impedendo di concludere la stesura della trama, hanno lasciato in lui un’impronta indelebile, tale da fargli rivisitare il concept in chiave più ampia.
“The Rain Museum” è la storia del mondo e dell’umanità con le sue sofferenze, un racconto dei momenti bui di un’esistenza in attesa di una nuova alba che possa riscattare il dolore. Ecco allora che i brani acquistano nelle loro partiture il sapore di un Pop sognante, immaginifico ed evocativo. Sono queste intense emozioni ad ispirare lo sviluppo delle 12 tracce che compongono l’album, 42 minuti di musica legati da affascinanti trame.
Detto dei singoli, il lavoro inizia con il brano eponimo “The Rain Museum”, uno strumentale che muove i suoi primi passi con le note del piano per poi evolversi verso atmosfere incantate interrotte da incisivi riff di chitarra. Un’evoluzione corposa contrassegna anche le linee sonore di “See You on the Other Side” e “World Burn Down”, brano questo dove una brevissima introduzione dai ritmi quasi country/folk, lascia immediatamente spazio a un bel Rock elettrico con qualche sfumatura post / punk.
“New Rainbows” è forse uno dei momenti più intriganti e significativi del disco. Un pezzo contrassegnato dagli arpeggi dell’acustica e una suadente linea melodica. Superlativo Jorgensen nella parte cantata, belli i cori a colorare le partiture del pezzo, dove viene esibito anche un bell’assolo di chitarra. La posizione centrale nella tracklist potrebbe non essere casuale. Il testo infatti allude alla tematica cardine del concept, un’atmosfera cupa pronta ad essere rischiarata da una nuova luce di speranza.
A fare da cerniera con la seconda metà del disco il secondo strumentale costituito dall’interludio “I’m Not Myself”, un pezzo dai sapori ambient, in cui risuona una melodia malinconica ed inquietante, eppure molto suggestiva. “Rather Down” è un’altra bella traccia dai sapori introspettivi in cui emergono tinteggiature psichedeliche a completare una linea armonica coinvolgente. I temi indie riaffiorano anche in “A Teardrop (On the Surface of the Sun)”, ancora demarcata da un ritornello efficace ed espressivo, che rimanda a qualche reminiscenza dei primi Nirvana. L’album si chiude con “Spinning Through Time”, che rappresenta anche il brano più lungo con i suoi 4’44’’. Ancora un bel piano a disegnare paesaggi sublimi, una traccia dalla splendida atmosfera, pervasa nel suo finale da riff sferzanti.
Dedicherei una nota anche alla copertina del disco dove un ritaglio di lussureggiante primavera reclama spazio in una cornice di desolato e anonimo deserto. Un’immagine molto potente nella sua semplicità, la poetica rappresentazione di come anche nell’inferno più arido sia possibile trovare un angolo di paradiso.
Articolo di Carlo Giorgetti
Tracklist “The Rain Museum”
- The Rain Museum
- How Far Apart
- See You on the Other Side
- World Burn Down
- In This Nightmare Together
- New Rainbows
- I’m Not Myself
- Whatever, Who Cares
- Rather Down
- A Teardrop (On the Surface of the Sun)
- Tomorrow Faded Away
- Spinning Through Time
Line Up Armor For Sleep: Ben Jorgensen Voce Chitarra / Peter James “PJ” DeCicco Chitarra / Anthony Dilonno Basso / Nash Breen Batteria e Percussioni