Cosa resterà di questo anno? Prima che finisca cogliamo le ultime perle di una lunga collana. Il 5 ottobre ha fatto il suo ingresso fisico nel mondo “Iperborea” di Beatrice Antolini per La Tempesta/Orangle Records.
Mentre fuori il mondo va così di fretta che sembra implorare un personale schianto, mentre la musica più popolare prende direzioni talvolta confuse miscelandosi a gossip televisivi, qui ci troviamo davanti a uno strano intimo castello che vive per fatti suoi, isolato e con dei propri battiti che puoi sentire se poggi le orecchie sulle sue pareti di antico mattone. Hai l’impressione che se entrassi, qualcuno lì dentro ti racconterebbe qualcosa. Un po’ come, dopo aver percorso un viale dalle tinte autunnali, arrivare davanti a un gran bel cancellone di ferro battuto da cui inizi a osservare la struttura: ha un che di gotico, di medievale, di tribale e di cyber. Una gran bella convivenza di fantasmi del passato, presente e futuro. Detta così c’è da farsela addosso forse, soprattutto se ti chiami Ebenezer Scrooge. Invece sei molto incuriosito a entrare perché tutto questo somiglia a un fantastico libro fantasy, con la fortuna di non dover portare a spasso enormi cani bianchi volanti con doppiatori intorpiditi.
I dettagli di questo castello/disco non sono mai scontati, talvolta ci sono sorprese improvvisamente elettroniche in tappeti orchestrali scritti (come tutto) dalla Antolini, la padrona del castello, e diretti da Valentino Corvino. Una produzione con nomi stranoti nel panorama bolognese e non. I dettagli, dicevamo, sono elettrici su tessuti talvolta barocchi: ci sono dei cavi nell’oro. La padrona semina indizi dorati e glitch improvvisi nella realtà. “Iperborea”, ha una scaletta che gioca a essere il più delle volte una scacchiera di brani lenti e altri movimentati ma mai in maniera scontata: se in uno tocchi con un dito il cuore della terra, nel successivo lo usi per indicare il cielo; un modo per restare in quota e non essere risucchiato né da giù né da su. Un’alternanza di battito lento e battito veloce attraversate da una convivenza di anime diverse, eppure della stessa persona: la padrona che ha le chiavi di questo castello isolato da tutto.
Il primo battito è lento; parlavamo di timore prima, quando eravamo davanti al cancellone di ferro, giusto? Partiamo con il primo brano: “Il timore”. Un inizio levigato con sobbalzi improvvisi, interferenze elettroniche che grattano le cuffie. Lentamente entri in un corridoio camminando su raffinati tappeti di violini che ti conducono a meravigliosi cori paralleli che si uniscono su uno specchio come fa una mano con il suo riflesso. Molto, molto affascinante. Siamo all’inizio non di un’avventura, ma di più avventure sonore che si intrecceranno. Dove siamo finiti?
Secondo passo nella scacchiera: stavolta cede il turno al battito accellerato. “L’idea del tutto” ci ributta nel traffico con una carica molto ritmica e a tratti tribale per atterrare in una chiusura dolce fatta di granuli scintillanti. Anche qui, le rifiniture di questo castello non sono mai scontate, sono piccole opere a sé commissionate apparentemente da piccoli artigiani a parte: eppure, è la stessa persona a cucire il tutto. In qualche modo, tornando alla cronologia del brano, tale coda ci prepara alla successiva “Farsi raggiungere”, una danza dolce, una giravolta autunnale di un’altra epoca. Beat veloce prima, beat lento adesso. Quindi ora è il turno di quello accellerato. “Trionfo e rovina” ha dei bassi gommosi su orchestrazioni impetuose, le parole sono usate come tasti: “trionfo e rovina” e “logico” vengono battute più volte come dei beat. Ha un che di racconto cyber, bluvertighiano, una voce metallica che interviene verso la fine. Le voci di questo album spesso hanno una levigazione vagamente metallica, robotica.
Beatrice Antolini ha il suo timbro, sa governare bene tutto il racconto da lei stessa arrangiato: è un altro album prodotto da lei e che vede la partecipazione di Valerio Grutt in alcuni testi scritti a quattro mani con l’autrice stessa. Lei ha quel tocco tutto “italiano” differente per esempio da una proposta musicale più “islandese” in questo genere di intrecci orchestrali ed elettronici (anche nei testi) ben noti: parlo di tessuti scelti su cui si svolgono modi di usare la nostra sillabazione consapevolmente alla propria storia e ai propri noti precedenti: tende alla miglior luce della scuola di questo paese degli ultimi decenni.
“Generazione cosmico” continua il racconto cyber: “Traiettorie di balene / sistema operativo”. Anche qui le orchestre dipingono contorni. Ancora finali sorprendenti, ancora dettagli inaspettati. “L’arte dell’abbandono” è un regalo al mondo. Chitarre di Adriano Viterbini, è un carillon e un tuffo in un lago. Può farsi amare da generazioni indie meno recenti, più recenti del decennio scorso e da quello attuale. Questa canzone ti fa capire che bisogna scavare nella musica per trovare piccole gemme, sempre: in strade provinciali oltre a quelle principali, la musica ha una bellezza che non si svela sempre subito.
Un inizio pinkfloydiano per la title track, “Iperborea”: ninfe elettroniche ballano in qualcosa di secoli fa. Anche qui i dettagli attingono da campionari sonori accuratamente scelti. “Pensiero laterale” danza su drum machine tribali e azzardiamo: un po’ la sorella di “Generazione cosmico” e non perché siano simili ma sembra che l’una apra e l’altra riprenda questo filone. Torna il battito lento. “Restare” chiude il disco con strofe che variano sul finale in minore. Creature elettroniche si affacciano nella cuffia destra e nella cuffia sinistra: si crea man mano un paesaggio centrale. Tutto nel finale sfuma in maniera immediata come se avessi visto un fantasma. Il disco finisce e mi ritrovo fuori dal cancello del castello.
Articolo di Mirko Di Francescantonio
Prossimi concerti:
21/12/24 – Firenze / Glue (free entry con tessera Glue)
28/12/24 – Rosà (VI) / Vinile
10/01/25 – Bologna / Covo
Track list “Iperborea”
- Il timore
- L’idea del Tutto
- Farsi raggiungere
- Trionfo e rovina
- Generazione cosmico
- L’arte dell’abbandono
- Iperborea
- Pensiero laterale
- Restare
Line up Beatrice Antolini: Beatrice Antolini: prod, voce, pianoforte, basso, batteria, chitarra elettrica, percussioni, synth, tastiere, arrangiamento per orchestra / Valentino Corvino: primo violino e direttore / Adriano Viterbini: chitarra acustica su “L’arte dell’abbandono” / Mattia Boschi: violoncello su “L’arte dell’abbandono” / Antonello D’Urso: chitarra acustica su “Farsi raggiungere” / SonoraCorde ensemble: archi su 1, 2, 3, 4, 5 e 9
Beatrice Antolini online:
IG: https://www.instagram.com/beatrice_antolini/
La tempesta: https://www.latempesta.org/
Orangle: https://www.oranglerecords.com/