Non tutto quello che viene creato a Roma deve essere sempre descritto come prodotto coatto, par excellence! O no? Se così fosse, infatti, quanta arte, o comunque musica made in Roma dovremmo buttare e catalogare come volgare, solo perché ci si esprime in lingua romana. Motivo per il quale sono convinto, dopo parecchio ascolto, che questo quarto lavoro della band Bobby Joe Long’s Friendship Party (d’ora in poi con l’acronimo BJLFP, con il quale si firmano anche loro stessi), che questo album non sia né trucido, né coatto, ma uno dei progetti più interessanti fra quelli usciti negli ultimi mesi. O meglio, tutta la trilogia è cosa molto buona e giusta. “Roma Est” (2016), graffiante ‘esordio’, un diamante grezzo, direbbe Federico Fiumani, della produzione italiana underground; ma poi anche “Bundytismo” (2017), ormai letteralmente introvabile se non sulle piattaforme, per poi arrivare a questo terzo capitolo intitolato “Aoh!” (pubblicato nel 2022) tipica espressione coatta, almeno per chi, vivendo al Nord, guarda Roma principalmente attraverso le serie Tv e i servizi in borgata delle trasmissioni cannibali. Nel mezzo “Semo solo scemi” (2019) che, a mio modo di vedere, è (quasi) altro rispetto al percorso dei tre album sopra citati.
Comunque, qui vale la pena parlare di questo ultimo lavoro, tirato in 500 copie in vinile per Aldebaran Records. Numerate a mano, anche perché 250 copie sono nere, e 250 copie sono trasparenti. Quindi, non resta che far torto o subirlo e, dunque, ascoltarlo sulle piattaforme (ma io vi consiglio di acquistarlo, perché questo è un album che serve avere in casa).
L’ascolto non è immediato. “Roma est” lo era, ma questo no. I testi sono decisamente molto più raffinati. Non c’è nulla di trucido, ispirato al Monezza per capirci, o di coatto. C’è una lingua che ormai è sdoganata dall’ampio successo di Zerocalcare, ad esempio. Una lingua e una parlata che portano questa band a metà strada, e dunque perfetto mix, fra Giancane (altra bella esperienza musicale romana) e gli Offlaga Disco pax di Max Collini. La grande differenza, almeno con quest’ultimi, è che qui non si parla di provincia, ma di città e, soprattutto, di metropoli. Una metropoli, però, stratificata.
Quella della città eterna, e non quella dinamica e ricca di Non-Luoghi, o tutta da bere, o già ormai bevuta, che risponde al nome di Milano. E se Roma capoccia, o Roma Capitale, è il cuore di questo concept, quello che ne risulta, allora, è che la vita nella città eterna, e cioè come si vive in questa tentacolare metropoli granitica, non deve essere cosa facile. Ecco perché sempre più spesso viene descritta o con una metafora, ormai trita, di “La Grande Bellezza”, oppure con l’altra, quella sempre attuale a ben vedere, e cioè come la discesa all’inferno che anche qui, in questo album, viene narrata in modo eccellente.
Diciamola così, e in modo chiaro. Come si deve vivere male, di questi tempi, a Roma. O meglio, a Roma si incontra ormai sempre più spesso il male di vivere. Non solo, questo spaesamento è, alla fine, una cartina torna sole di una situazione diffusa in tutto il Bel Paese (lo diceva già, per i buon gustai, negli anni ’90, Paolo Rossi in una canzone storica dei Modena City Ramblers degli esordi… ma li era solo una battuta!.. Vediamo chi la ricorda!). E così le nove tracce di “Aoh!” sono la narrazione di questa discesa all’inferno che si dipana in tutto l’album, fino però all’ultima traccia, bellissima, quella “C’è da dire” che, per me, è l’uscita a riveder le stelle di dantesca memoria, o la più bella parafrasi di “M’importa na sega” dei C.S.I. di T.R.E.
Seguiamo il viaggio della band romana allora, che non può partire che dal Limbo, dove ci sono le anime non troppo colpevoli e, allo stesso tempo, dove tre fiere fanno bella mostra di sé insieme alla coda di chi attende di entrare all’inferno. La citazione doppia del primo brano è folgorante. Il giovane che dimostra tutto il disinteresse metropolitano fa da eco a Laura Palmer, icona degli anni ’90, grazie al capolavoro di David Lynch. Laura Palmer, lo sappiamo tutti, è stata la figura che più ha inquietato gli adolescenti anni ’90. Soprattutto perché Lynch ci ha lasciato sospesi per mesi, e per anni. A ben vedere questo senso di sospensione è il valore del Limbo, appunto. E così gli anni di piombo soppressi dal sipario delle macerie di un muro è sintesi straordinaria di questa sospensione (si può andare, con la mente, anche a quel cadevo di Lindo Ferretti nel suo lavoro solista “Co.Dex”, ma il testo di BJLFP è decisamente più incisivo). E così, proseguendo, bomberini, sciarpe del Borussia, e teste rasate, Pietro Maso, sassi dal cavalcavia, Capaci, Mani Pulite, Il Vampa e Cupe Vampe sono quel preambolo all’inferno che ci attendeva già negli anni ‘90. E’ un percorso senza un filo rosso / E’ una gioventù mutilata nel quarto d’ora dopo / Che ti viene addosso, e così si sintetizza tutto il disagio di Zerocalcare e lo si rispedisce al mittente, con una sola frase. Ottima capacità di scrittura, davvero.
“Mortacciloro”, con il suo Pe’ capisse! Quest’oggi è sadness, è il viaggio di chi non poteva andare più giù di così, e proprio in quegli anni ’90 dove si sognava, invece, di volare. E’ la presa di coscienza di cosa siamo rimasti dopo la fine della storia di Fukuyama e di chi ci ha fatto credere eterni, e io etterno duro, recitava sempre la porta dell’Inferno di Dante. Se te parlano de Pil / Fatte il segno della croce / Perché non c’è economia che riparte / Se non fai lo scalpo / A chi non c’ha voce e ancora, per spiegarlo meglio, Ma che bello è / Quando i media dicono la loro / Dentro e fuori dal coro. Serve altro per far capire cosa c’è piombato addosso alla fine degli anni ’90? Dal perbenismo neppure disinteressato, fino al politicamente corretto. Questo è il vero inferno, e BJLFP non hanno paura a dirlo, cantarlo e metterlo in musica. Bravi, davvero.
“Stuff Da Night Starker” è il cuore di questa discesa nell’inferno romano nazionale, perché non solo gli anni ’90 ci hanno cambiato nell’essenza, ma hanno modificato tutto quello che c’era di generativo. Hanno reso arido ogni rigagnolo che poteva portare acqua feconda. E così come Ciacco, nel VI° de “L’Inferno” di Dante, inveisce nel suo canto politico contro Firenze, così qua BJLFP snocciolano i loro incontri infernali sempre alla ricerca di una Roma dove poter vivere senza essere stereotipati. Vorrei tornare nell’antica Roma / Per poter dire Romolus e Remolus / Al primo antico che passa / Per ricevere così poi chiari ed inequivocabili epiteti in latino … ed è solo l’incipit di uno dei testi migliori dell’album.
E il viaggio, poi, si fa serio fra Bela Lugosi e il Vate, personaggi che servono per descrivere altre balze, o gironi, di questa Roma eterna, non più città, ma condizione d’esistenza. Un piacere vero, poi, ascoltare tutto il lato B del vinile, a volume alto e brillante.
La fine, perché non la voglio far lunga, dato che dovete ascoltarlo questo lavoro, e cioè l’uscita a riveder le stelle, che Dante vive alla fine di ogni cantica, i BJLFP la vivono anche loro alla fine di questo album. Si tratta del brano “C’è da dire” che, in epoca musicale diversa, sarebbe – non me ne vogliano i musicisti romani – la “Siamo solo noi” degli anni ’20. E così, in un mondo dove tutto è compravendita / Pensa che fico se ce tieni er punto / se c’è mori d’inedia, ci ricordano,per poi arrivare alla sintesi somma di questo testo davvero poetico, e che, sia chiaro, può apparire volgare solo se si decontestualizzano dall’insieme le singole parti della canzone. Infatti quel verso, e cioè Fosse per me, sui muri, solo caz…, freg… e stron… chi legge, è sintesi estrema di un atteggiamento che, finalmente, rigetta il politicamente corretto imperante, per dire le cose come stanno: ci si può disinteressare, con libertà, di quello che deve, per forza, essere interessante. E questa, forse, è la più bella uscita a riveder le stelle che si potesse concepire, al termine di questo viaggio all’inferno.
Manca solo il dedicare qualche riga allo stile musicale. La band è composta da Henry Bowers (voce, testi, produzione), Arthur Ciangretta (chitarra, arrangiamenti, produzione), Peter Spandau(basso, arrangiamenti, produzione), Donald Renda (batteria), DJ Myke(scratch) e Tommy Bianchi(programmazione, drum machine, synth e sax). Le cronache affermano, poi, che il gruppo sia anche denominato Oscura Combo Romana, una band drama-synth-coatto-wave di Roma Est, nata all’interno di un movimento artistico denominato 03:33, con l’intento di proporre contenuti attraverso un linguaggio diretto (coatto) e di sperimentare sonorità attingendo a una vasta gamma di stili che fluttuano tra la dark-wave e il synth-pop.
Insomma, i BJLFP si muovono fra new wave e post-punk, e lo fanno con grande sapienza. Non rigettano nulla. “Chi ha ucciso Laura Palmer?”, per fare un esempio, già dall’iniziale giro di basso, e dall’atmosfera del mood, rimanda a “17 Re” dei Litfiba, con quei suoni cavernosi tipici di quell’esperienza. Poi c’è il suono della new wave che conta, e cioè atmosfere alla Joy Division e soluzioni ritmiche che rimandano ai Depeche Mode, ai Simple Minds e così via, fino al punk generativo dei Ramones, ben espresso in “C’ho tutto un sogno Ramones”. Per poi arrivare a suoni più malleabili, di matrice pop/new wave, che sorreggono “C’è da dire”. Fra Maroccolo e Saturnino, insomma, nel giro di basso che rende questo brano il motivetto, ma non tormentone, di questo bellissimo album.
Qui si vola alti, insomma. Su tutti fronti. Ed era ora. Un ottimo lavoro.
Articolo di Luca Cremonesi
Tracklist “Aoh!”
1. Chi ha ucciso Laura Palmer?
2. Mortacciloro
3. Stuff da night starker
4. Notte de Varpurga
5. Bela Lugosi’s Tanz
6. VateWave
7. C’ho tutto un sogno Ramones
8. Happy Birthday
9. C’è da dire