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Davide Van De Sfroos “Manoglia”

Uno dei suoi album migliori, un ottimo ritorno a casa, in un mood sonoro dove è signore e Re

Fuori il 13 ottobre su BMG il nuovo lavoro in studio di Davide Van De Sfroos dal titolo “Manoglia”, ed è un disco molto interessante. Per capirlo a fondo serve mettere da parte gli ultimi due album di inediti usciti in questi anni, e cioè il recente “Maader folk”, e quello precedente, “Goga e Magoga”. Li si ascolterà in altre occasioni. Questo “Manoglia” va diritto come un fuso al primo capolavoro del cantautore comasco, “Akuaduulza”, terzo album della sua produzione, uscito nel 2005, con il quale Davide Van De Sfroos definitivamente si impose con la sua lingua, il dialetto laghée, in un’epoca dove l’inglese non veniva ancora capito dalla maggior parte delle persone. A quel punto la scommessa andava giocata, come fecero Pagani e De André: lanciare il sasso della lingua dialettale, lavorare sui contenuti, e rimaneggiare il Folk, il Rock e il Blues. Il tutto in salsa nostrana, ma non troppo, a dir la verità. Van De Sfroos non è mai stato così provinciale come alcuni suoi colleghi che utilizzano la lingua dialettale. Uscito dalle sue valli, il cantautore, con o senza Sanremo, si è saputo imporre conquistando, con le sue forze, un ruolo decisivo nella canzone d’autore italiana.

“Manoglia” è un ritorno alle origini. Non è un disco acustico, ma minimale. Non c’è troppa struttura musicale, ma c’è tutto quello che serve. Sono undici tracce intime, costruite negli anni, ma non troppo in là nel tempo. Il singolo, la straccia che dà il titolo all’album, è stato scritto appena terminato il confinamento. Le altre dieci sono canzoni che il cantautore aveva nei cassetti. Nessun obbligo di produrre un album alla base di questo lavoro. C’era solo la voglia di condividere, dopo aver messo in circolo il live dello scorso anno, un ottimo lavoro (pur se la selezione uscita con il Corriere della Sera anni fa resta imbattibile come esecuzione live), con nuove canzoni che sono un diario intimo dell’autore.

Il rapporto con la natura è centrale, e già della prima traccia è chiaro. Il legno, materiale per costruire le maschere, metafora della nostra esistenza; la magnolia, le cui foglie sono ciò che ci resta in mano, una volta che il tempo passa, come ci aveva già cantato in uno dei suoi grandi classici. Poi ci sono ancora le foglie, nella traccia che chiude l’album, dove nel finale si sfocia nella psichedelica e nell’elettronica, ma anche, a ben vedere, nel canto sciamanico.

Due tracce, poi, sono molto intime, e qui Van De Sfroos dimostra che la sua forza è sempre quella di saper raccontare storie. Che le senta narrare dai altri, che ne sia testimone e poi le sappia mettere al meglio in musica, poco importa. Questa resta la sua grande dote, figlia di quei riferimenti che non ha mai nascosto: Dylan, Waits, De André e Guccini, e altri ancora. “Zia Nora” e “El Giuvanonn”, sono i classici racconti che hanno reso famoso altri personaggi della vita del cantautore, dal minatore a Genesio, da El vagabuund a Nona Lucia, e tanti altri ancora, tutti personaggi che popolano le storie del cantautore, e la storia di vita di Davide Bernasconi, in arte Van De Sfroos. Storie che il dialetto ha reso immortali, perché quella è la lingua con la quale vanno cantate queste vite. “Zia Nora”, con la nostalgia del tempo passato, e la voglia che quegli attimi tornino così come erano, è un appello ad una vita vera che si è vissuta, pienamente, e fino in fondo. L’arpeggio iniziale di “El Giuvanonn” porta subito ad una dimensione di fuoco, di racconto e di memoria. Una canzone che non avrebbe stonato nella stalla de “L’Albero degli zoccoli” di Olmi.

Un album davvero bello, che ci restituisce un Van De Sfroos distante da sperimentazioni che lo avevano, in parte, allontanato da quella dimensione narrativa genuina, aspetto che ha sempre caratterizzato la sua prima produzione. Legittimo il tentativo di andare oltre, di sperimentare duetti, di cercare ritmi differenti. Tornare a casa con un album così intimo, compatto, con tema centrale forte, quello del rapporto uomo natura, non tanto per salvarla, quanto per ritrovarsi, come essere viventi, in comunione, è un bel regalo che Van De Sfroos si è fatto e ha fatto ai suoi fans.

Muoviti come un ladro che ha trovato la perla giusta
Muoviti come un gatto quando evita il serpente
Muovi le tue mani con le rughe come onde
Traccia dentro il vento la canzone che non c’è

“La canzone che non c’è” è un altro brano che conferma questo stato di grazia che permea il nuovo album. La forza è la stessa di un altri grande brano iconico, e cioè “El teemp”, solo che qui, nella nuova canzone, il tempo non è passato in vano. Dentro il vento, in conclusione, è stata tracciata una scia, e questa strada, leggera, è quella che ha percorso Van De Sfroos per dare corpo ad un viaggio intimo, introspettivo e privato.

I semi piantati nella serra artistica e creativa di Davide, curati con pazienza, costanza e amore, hanno dato vita a questo splendido esemplare di Manoglia” sotto al quale ognuno di si potrà sedere, per coglierne e apprezzarne tutti i colori e gli odori, lasciandosi permeare da un senso di magia, aprendo così un dialogo con quel materiale che è il legno, capace di comunicare gentilezza e calore nel suo vivere, e trasformarsi costantemente, regalando la sua memoria attraverso i suoi nodi.

Questo disco, e chiudo davvero, ha una profonda impronta naturalistica e ambientale. È la ricerca di un rapporto con la natura che ci circonda, non è un lavoro sull’eco-ansia. Lo possiamo immaginare scritto in un prato, vicino a un fiume, davanti alle montagne. Insomma, in uno spazio aperto, e il titolo lo “Manoglia” (“magnolia” in dialetto laghée) è, in fin dei conti, per Van De Sfroos un grande albero da cui germogliano 11 foglie, l’anima di questo lavoro.

È questo il tuo bicchiere appoggiato sul tavolo sporco
macchiato dalle cose pensate…rotto dalle cose mai fatte…
Lo giri e lo rigiri, lo vuoi capovolgere
È il solito bicchiere ma non riesci a finirlo
Lo giri e lo rigiri, lo vuoi capovolgere
È il solito bicchiere ma non riesci a finirlo
E siamo qui con in mano foglie di Magnolia

In conclusione, non temo a sostenere che si tratti di uno dei suoi album migliori, un ottimo ritorno a casa, in un mood sonoro dove è signore e Re. A questi si aggiunge un momento di vera grazia compositiva. Uno dei suoi migliori lavori e, allo stesso tempo, uno degli album da avere del 2023.

Articolo di Luca Cremonesi

Track list “Manoglia”

  1. La Ballata Del Mascheraio
  2. Forsi
  3. Crisalide (Le Ali Del Falco)
  4. Manoglia
  5. La Canzone Che Non C’è
  6. Shandeme
  7. Zia Nora
  8. Ankainkoo
  9. El Giuvanonn (Il Becco Del Merlo)
  10. El Mekanik
  11. Foglie Al Vento

Presentazione del disco durante questi appuntamenti instore in giro per l’Italia:

Venerdì 13 ottobre – Milano @ Feltrinelli (P.zza Piemonte) ore 18.30
Sabato 14 ottobre – Varese @ Varese dischi ore 14.00
Sabato 14 ottobre – Como @ Frigerio Dischi ore 17.00
Domenica 15 ottobre – Lecco @ Discoshop ore 15.00
Lunedì 16 ottobre – Roma @ Discoteca Laziale ore 17.30
Martedì 17 ottobre – Bologna @ SEMM ore 18.30
Mercoledì 18 ottobre – Verona @ Feltrinelli (via Quattro Spade) ore 18.00
Giovedì 19 ottobre – Brescia @ Latteria Molloy ore 20.30 – in collaborazione con Feltrinelli Librerie
Venerdì 20 ottobre – Bergamo @ NXT Station (Piazzale degli Alpini) ore 21.00 – in collaborazione con Feltrinelli Librerie
Sabato 21 ottobre – Sondrio @ La pianola ore 16.00
Lunedì 23 ottobre – Mestre @ Festival delle Idee – Centro Culturale Candiani ore 18.30 – in collaborazione con Feltrinelli Librerie
Mercoledì 25 ottobre – Torino @ Oratorio San Filippo Neri ore 18.00 – in collaborazione con Feltrinelli Librerie
Sabato 28 ottobre – Perugia @ Sala dei Notari
Lunedì 30 ottobre – Lugano @ RSI ore 20.00

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