Tornano i Deadburger con il loro nuovo album “La chiamata” in uscita il 20 novembre su Snowdonia. A ben sette anni dal precedente “La fisica delle nuvole” la band fiorentina, ora più che mai una band “multi-città” come da loro stessi definita, adotta, come per il precedente lavoro, il monicker Deadburger Factory. L’estensione del nome originale richiama a certi laboratori creativi, negli anni ’70 avremmo detto “collettivi” che spesso fondono e incrociano vari tipi di arti, musicali, figurative e altro, come appunto fece negli anni ’60 la Factory di Andy Warhol. Senza andare però a scomodare paragoni con un nome o l’altro direi invece che i Deadburger Factory sono una band dalla forma mutevole, un combo che si muove ampliando o meno il proprio organico a seconda delle esigenze, ferma restando l’originale ossatura della band che vede alla guida Vittorio Nistri insieme ai fidati e inossidabili Simone Tilli, Alessandro Casini, Carlo Sciannameo.
Più che una band di ricerca, I Deadburger Factory sono ora come ora una band alla ricerca di una dimensione sonora che risulti appagante tanto per l’ascoltatore quanto per i musicisti nel soddisfare la loro necessità di condensare e esprimere il loro stato d’animo attuale. Uno stato d’animo sempre figlio dei tempi e del momento, che in questo album si esprime principalmente attraverso una prepotente, debordante pulsione ritmica: la batteria è infatti uno dei protagonisti se non il protagonista principale di questo lavoro.
La bellezza di otto batteristi suona su “La chiamata”, tutti i brani hanno doppia batteria e l’atmosfera che si respira in tutto il lavoro è quella del tamburo, della percussione che si erge a elemento catalizzatore dei sentimenti di frustrazione, rabbia, speranza, e voglia di riscatto in cui l’uomo della strada vive, ed è al tempo stesso strumento di guerra e cura.
Ideato come la naturale prosecuzione del precedente “La Fisica delle nuvole” e in netta contrapposizione al suono di quel disco, “La Chiamata” punta sulla fisicità e l’opener “Onoda Hiroo” ne è subito chiara dimostrazione, martellante e accattivante; la seguente “Un Incendio Visto Da Lontano” pur incorporando elementi jazz nei passaggi di piano e nell’uso del contrabbasso è ingombrante e per niente rassicurante, muovendosi dinamicamente su una ragnatela di percussioni che sorregge l’intero brano.
La title track “La chiamata” è ancora un brano potente e intenso tutto incentrato sulla vocalità ossessiva di Simone Tilli e su un arrangiamento che ancora pesca dal Jazz e dal Rock, con interventi vincenti di sax e break batteristici sempre trascinanti e mai fuori luogo. “Tryptich”, brano del 1960 scritto da Max Roach, dovrebbe essere sulla carta una cover, ma finisce per essere un canovaccio sul quale due batteristi e le voci si inseguono a cavallo fra improvvisazione e partiture scritte, i suoni delle percussioni e delle voci filtrati e processati costituiscono alla fine un unico canto intenso e tragico.
Lo sciamano, il druido, l’uomo della medicina o come volete chiamarlo, è una figura ricorrente in questo album, a partire dalla grafica di copertina, bisogna dire curatissima, passando per il ricco booklet, fino al contenuto stesso del disco, è lui con le sue parole antiche e il suono del sacro tamburo a indicare quella che dovrebbe essere la strada verso la salvezza. Nel brano “Tamburo sei pazzo” il ruolo dello sciamano è ricoperto prima da Alfio Antico nella prima parte ancestrale e primitiva, e da Simone Tilli nella seconda, entrambi si confrontano a modo loro con il tamburo come estensione della loro voce, dei loro pensieri e dei loro desideri.
La seguente “Manifesto cannibale” è una composizione composita che vede all’opera il solo quartetto di base coadiuvato dalla solita doppia batteria, un brano che durante i suoi nove minuti si allunga e si contrae come un verme fra suoni ossessivi cavalcati dalla voce di Tilli, riff di chitarra dal sapore anni ’70 e Noise Rock, il risultato è notevole.
Chiude “Blu quasi trasparente” dissacrante celebrazione del nuovo luogo di culto del terzo millennio, il centro commerciale. Si tratta di un pezzo che in alcuni tratti richiama a certe cose di Bowie ma è talmente pregno di input e atmosfere differenti che alla fine sfugge a ogni citazione e sbarazzatosi della melodia iniziale si tramuta in un vero e proprio mantra che fra interventi di basso e sax proclama il nuovo verbo “Happiness is a warm mall”. Disco intenso, forte e coraggioso, libero da schemi, ben prodotto e ottimamente suonato, uno dei migliori dischi italiani di questo strano e sciagurato anno.
Articolo di Andrea Bartolini
Track list “La Chiamata”
- Onoda Hiroo
- Un incendio visto da lontano
- La chiamata
- Tryptich
- Tamburo sei pazzo
- Manifesto cannibale
- Blu quasi trasparente
Line up Deadburger Factory: Vittorio Nistri Tatiere, elettronica, voce / Simone Tilli Voce e strumenti vari / Alessandro Casini Chitarra / Carlo Sciannameo Basso / Silvio Brambilla Batteria / Lorenzo Moretto Batteria / Pino Gulli Batteria / Zeno De Rossi Batteria / Cristiano Calcagnile Batteria / Bruno Dorella Batteria / Simone Vassallo Batteria / Marco Zaninello Batteria / Alfio Antico Voce, percussioni / Lalli Voce / Cinzia La Fauci Voce / Davide Riccio Voce / Silvia Bolognesi Contrabbasso / Edoardo Marraffa Sassofono / Enrico Gablielli Clarinetto, flauto, sassofono / Claudio Macchia Chitarra