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Hellamor RedStoneChapel

Hellamor/Red Stone Chapel “Major-League Heavy Rock”

Due progetti diversi e distinti, “Major-League Heavy Rock”, un disco split che vede due band “sfidarsi” sul campo

Hellamor e Red Stone Chapel, due band, due progetti diversi e distinti, “Major-League Heavy Rock”, un disco split che vede due band “sfidarsi” sul campo – o sullo stage – che più li caratterizza, fuori il 9 aprile 2021 su Go Down Records. Iniziamo con una piccola confessione: non ho mai recensito un album split. Questo tipo di album ha infatti due band sui due lati del vinile che li ospita, una visione romantica vedrebbe le due band – qui Hellamor e Red Stone Chapel – condividere stretti stretti gli stessi spazi, ma indossando una mascherina. Loro hanno scelto di materializzare questo incontro con uno “scontro” tra squadre che propongono generi affini e musica molto compatibile.

Ma scopriamo chi sono questi loschi figuri che arrivano dalle terre tedesche. Partiamo con Hellamor, un quartetto heavy che calca palchi dal 2004. La formazione è stabile solo dal 2013, e da allora hanno raggiunto un totale di cinque demo. La miscela sonora che ci si aspetta pesca dalla tradizione dura e pura, da rifermenti alle chitarre di Zakk Wylde a atmosfere cupe e profonde nate dall’ascolto puntuale dei Black Sabbath.

La band che troveremo sull’altro lato, all’altro angolo del ring, sono i Red Stone Chapel, numericamente superiori di due unità rispetto agli Hellamor, hanno quattro lavori in discografia dal 2009 in poi, ma il debutto vero e proprio l’hanno avuto due anni fa con Omega Boombox. Prima dell’ascolto mi documento e mi aspetto di ascoltare dello Stoner sporco di ruggine, grasso, olio motore e Southern Rock. E da qualche parte, come sempre quando si parla di Southern, gradirei vedere gli occhioni neri di Daisy Duke.

Lasciando alle spalle la presentazione e i convenevoli mi trovo a immergermi nel disco, anche se prima dell’ascolto mi godo il Capro sulla copertina “splittata” blu, bianca e rossa. Gradisco non poco, date uno sguardo che merita parecchio. Ma passiamo ad ascoltare i 4 brani degli Hellamor, primi padroni di casa:

Impattiamo contro “Fallen Saint”, apertura grossa, potente, con un rullante mitragliante e un mid-tempo coinvolgente. Le sonorità fanno più volte l’occhiolino a Tony Iommi e soci per un brano da più di 6 minuti (si, lunghetto). “Hourglass” è il secondo brano, più trascinante, più saltellante tra Black Label Society e Pantera, ha una ottima spinta e il kick della cassa picchia esattamente al centro del cervello ricordandoci di agitare la testa ascoltando la musica. Il terzo brano “I Can Hear It” è casa di chitarroni e ci lascia il sapore coerente con il resto del lavoro degli Hellamor, ammetto che dei quattro brani è forse un passo indietro.

Infine “Never Taught Me” chiude questo primo lato tornando molto sabbathiano. Anche questo brano rasenta i sei minuti e rialza la mia attenzione, è un brano che ha ottime aperture per il respiro dell’ascolto. A fine brano noto una cosa (e l’ho notata a ogni singolo ascolto) che un po’ mi disturba: quattro brani, seppur lunghi, permettono di farsi “la bocca” su un genere, su una band, ma la sensazione viene subito interrotta per la fine del quarto brano, 22 minuti circa non permettono di mettersi sufficientemente comodi, per questo mi permetto di pensare che forse un quinto pezzo (almeno) avrebbe aiutato.

Con il gusto di Heavy ancora sulle labbra, giro il disco ed è la volta dei Red Stone Chapel. Tiro subito in ballo il gusto personale che pone questo genere più nelle mie corde e l’incedere del primo brano “The Paper King” mi fa subito prendere una boccata d’aria rovente mista a Whiskey on the rocks e polvere spinta da folate di vento bollente. Bene. Il calore nella voce di Dimi Tzouvaras per un attimo mi fa dimenticare di non essere in Texas ad Austin, all’ombra della statua di Stevie Ray Vaughan, ma essere nel mio studio dell’estremo ponente ascoltando una band tedesca. Bene. Il lavoro dei Red Stone Chapel è di ottima composizione e qualità di registrazione/mixing/mastering almeno quanto l’altro lato degli Hellamor.

Dettaglio che già pone questo split come un lavoro magistrale. Ma proseguiamo con l’ascolto, con i 3 minuti abbondanti di “Progress in Work”, che è estremamente swampy, con tanto di armonica (a Billy Gibbons piace questo elemento) e mi regala un brano molto divertente, duro ma allo stesso tempo leggero e molto godibile. “Genius Junction” è…live! Hanno inserito un brano live come terza traccia dello split (e anche come quarta), e se dal vivo sono cosi godibili non vedo l’ora varchino tutti i monti e i km che ci separano per fare un giro nel nostro paese.

Il brano è nuovamente trascinante, chitarroso, basato su riffoni semplici, convincenti e caratteristici del genere. Nuovamente molto godibile, a parte il finale in cui dice un sacco di cose in una lingua che non conosco. Arriviamo alla chiusura dello split, “Thieves in the Attic”, che come già detto è un altro brano live. E quindi su quattro brani ben due sono live, e questo insieme alla brevità del lato (15 minuti circa) rende questa parte meno goduriosa di quanto sperato, perché avrei volentieri sentito almeno mezzora di musica di questa band. Peccato.

Tiriamo le somme, quindi. Hellamor e Red Stone Chapel. Due band tedesche che arrivano in Italia grazie a Go Down Records. Un lavoro molto potente, di alto livello, godibile e variegato a sufficienza per non stancare, peccato per un lato B corto, ma so che è solo uno step e che si potrà ascoltare altro di queste due band.

Vi lascio ai chitarroni. Andateci piano col whiskey.

Articolo di Marco Oreggia

Tracklist “Major-League Heavy Rock”

Lato A Hellamor

  1. “Fallen Saint”
  2. “Hourglass”
  3. “I Can Hear It”
  4. “Never Taught Me”

Lato B Red Stone Chapel

  1. “The Paper King”
  2. “Progress in Work”
  3. “Genius Junction”
  4. “Thieves in the Attic”

Line up Hellamor

Ralf: Voce / Nino: Chitarra / Klaus: Basso / Adrian: Batteria

Line up Red Stone Chapel

Dimi Tzouvaras: Voce / Nico Viehl: Chitarra / Dennis Barmbold: Chitarra / Jonah Schreiber: Chitarra

Christoph Beyer: Basso / Kris Seibert: Batteria

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