Il 10 aprile, senza annunci né avvertimenti, i cani pubblica “post mortem” per 42 Records, su tutte le piattaforme digitali. Nessuna promozione, nessun anticipo. Soltanto l’uscita. Così com’è: silenziosa, determinata, inattaccabile. E, proprio per questo, necessaria. Non è un ritorno. È una continuità che ha scelto di non manifestarsi per nove anni. Un silenzio deliberato, pieno, produttivo. “post mortem” non marca un ricominciare, ma un proseguire. È la prova che Niccolò Contessa non ha mai avuto bisogno di esserci per contare. Perché la sua presenza o meglio, la sua traiettoria è diventata struttura.
Tredici brani inediti. Nessun concept ufficiale, ma un’evidente articolazione interna: il disco si divide idealmente in due blocchi, separati dalla title track. Un punto esatto narrativo ed emotivo attorno a cui ruota tutto. La morte, in questo contesto, non è allegoria né chiusura. È uno snodo. Un’interruzione che ridefinisce, ma non cancella. Contessa non è un artista nel senso contemporaneo del termine. Non cerca visibilità, non si presta al racconto di sé. È rimasto fedele a una linea precisa: lasciare che siano le canzoni a dire tutto. Un principio quasi anacronistico oggi, ma che restituisce alla sua opera un’autorevolezza rara.
“post mortem” è un disco che lavora sull’osservazione. Non c’è nostalgia, non c’è rammarico. Non c’è nemmeno disillusione. C’è invece una consapevolezza netta, adulta, radicale: il tempo passa, e non si può ignorarlo. Ma si può attraversarlo con lucidità e con misura. È questa la dimensione che l’album restituisce: quella di una crescita che non si proclama, ma si assume.
Il linguaggio è preciso, controllato, levigato. Contessa affina la scrittura, la asciuga, la spinge verso una semplicità che non è povertà espressiva, ma rigore. La domanda che attraversa “io” “chi mi ha fatto cadere?” trova una risposta implicita: “io”. È una presa di responsabilità. È l’accettazione che maturare significa anche imparare a rispondere di sé. In “buco nero”, la quotidianità si comprime in gesti meccanici, resi assurdi da un senso d’inadeguatezza persistente. È la narrazione dell’insignificanza, ma senza compiacimento. In “Colpo di tosse”, il tono si fa più diretto: è un brano che sembra contenere una visione precisa e forse definitiva su cosa sia diventata oggi la musica alternativa, svuotata di urgenza, trasformata in esercizio estetico.
Ma “post mortem” non è un album che lamenta. Non c’è polemica. C’è distanza critica. C’è una forma di rispetto per la musica come veicolo di senso, come spazio di riflessione. In “Felice”, si apre un momento sospeso. Il brano non rivela il suo significato in modo univoco: lo lascia sedimentare. Il riferimento ad atmosfere vicine alla tradizione più sofisticata della canzone d’autore italiana è evidente, ma trattato con cautela, senza derive imitative. È un’affinità linguistica e concettuale, non una citazione.
Dal punto di vista compositivo, l’album è essenziale. La produzione è funzionale alla parola: nessun orpello, nessuna concessione. Le sonorità si fanno da parte, per lasciare spazio all’intenzione. L’equilibrio fra suono e testo è chirurgico. È un lavoro che rifugge la spettacolarità, e proprio per questo conserva forza. Sotto la superficie compatta e anti-spettacolare del disco, si intravede una possibile mappa di lettura più ampia, quasi letteraria. Senza mai dichiararlo, “post mortem” si dispone come un attraversamento tripartito: una progressione emotiva che ricorda, per struttura e profondità, la scansione simbolica dell’Inferno, del Purgatorio e di un Paradiso possibile. Non si tratta di un riferimento diretto, né di un’operazione concettuale esplicita. Ma l’ordine dei brani, il tono, la densità crescente della scrittura sembrano suggerire un percorso: dalla crisi alla presa di coscienza, fino a un’apertura minima, incerta, ma reale.
L’inferno è quello della disgregazione quotidiana “buco nero”, “io”, “colpevole”, il purgatorio è l’elaborazione interiore che attraversa i legami, la vergogna, il senso di colpa “carbone”, “madre”, “felice”, il paradiso se così si può chiamare è la possibilità di stare nel mondo senza fuggirlo, anche solo per un istante in “un’altra onda”. Una struttura sotterranea, mai ostentata, che conferma la capacità di Contessa di costruire dischi che vivono su più livelli, parlano a chi vuole ascoltare, ma restano leggibili anche nella loro superficie più immediata.
Contessa non si reinventa. Non ha bisogno di dimostrare nulla. È rimasto fedele a una voce che ha plasmato, e che ora padroneggia con un grado di consapevolezza pieno. Non c’è alcuna ansia di aggiornamento. “post mortem” non cerca di adattarsi a un sistema: lo osserva, lo decodifica, e se ne tiene a distanza. L’ultima traccia, “un’altra onda”, non promette nulla. Non offre conforto, non offre chiusure simboliche. Ma resta impressa per la sua capacità di descrivere, con pochissime parole, l’istinto elementare di voler restare a galla. Di rialzarsi. Anche quando nulla lo garantisce.
“post mortem” non è una fine. È un punto fermo. È il lavoro di un autore che ha saputo crescere evitando il rumore, che ha scelto di parlare solo quando aveva qualcosa da dire e che oggi lo fa con una chiarezza e una sobrietà rare. In un tempo che confonde visibilità e rilevanza, questo album è l’eccezione che definisce la regola. Non si impone, ma resta. Non insegna, ma suggerisce. Non consola, ma comprende. Ed è esattamente questo che rende Niccolò Contessa, ancora una volta, indispensabile.
Articolo di Silvia Ravenda
Track list “Post mortem”
- io
- buco nero
- colpo di tosse
- davos
- colpevole
- f.c.f.t.
- post mortem
- felice
- nella parte del mondo in cui sono nato
- madre
- carbone
- buio
- un’altra onda
Line up i cani: Testi e Musica Niccolò Contessa