È stato veramente piacevole ascoltare questo “Terra senza terra”, nuovo full lenght di Ilaria Pilar Patassini, fuori dal 5 maggio per Parco della Musica Records. I contenuti da evidenziare in questo pregevole lavoro della cantautrice romana sono talmente tanti che quasi non so da dove cominciare. Iniziamo dunque con il raccontare brevemente la sua carriera, giunta con questo lavoro al quinto disco, segno evidente di una grande prolificità artistica. Il suo ultimo album “Luna in ariete” risaliva al 2019 e aveva già ricevuto numerosi plausi. Questo nuovo lavoro porta avanti un percorso dove convergono mirabilmente tutti gli aspetti della sua variegata musicalità contraddistinta da un cantautorato di eccellenza che vede coinvolte, in una magica miscellanea, classicismo, letteratura, Folk, Jazz e musica popolare, ma soprattutto e, mi piace evidenziare questo aspetto, tanta poesia.
Ilaria ha collaborato con grandi nomi della musica italiana e internazionale, come il direttore d’orchestra e producer britannico Geoff Westley e il poliedrico Peppe Servillo. Hanno inoltre scritto con lei e per lei, tanti nomi importanti, primo fra tutti Mauro Ermanno Giovanardi. Nel nuovo disco si consolida il sodalizio con il chitarrista e produttore artistico Federico Ferrandina, che aveva già contribuito alla realizzazione del precedente lavoro.
Proseguiamo il nostro excursus sulla presentazione del disco parlando della sua musica che per la forma può apparire minimalista nello sviluppo, ma è invece molto ricca, composta da infinite sfumature da saper cogliere e apprezzare. Una strumentazione prevalentemente acustica dove il piano e la chitarra trovano una perfetta sublimazione con la dolcezza degli archi e propongono deliziose tessiture sonore. Emerge anche una calda mediterraneità e non mancano momenti più ritmati e spunti jazz.
Undici tracce che scorrono con agilità e freschezza, lasciando l’ascoltatore coinvolto per la loro originalità. Lo possiamo senza dubbio definire un disco estremamente consapevole per la moltitudine di argomenti che spaziano tra riflessioni personali e considerazioni su una società che si sta sgretolando, imbrigliata in schemi prefissati e dettati dal potere di pochi. Questo modello sociale conduce a una spersonalizzazione che va a scontrarsi con il desiderio di spontaneità, empatia, togliendo il terreno sotto i piedi: un habitat precario, instabile e senza precisi riferimenti, una società liquida forse ancora impreparata all’incalzante transizione fra il mondo analogico del passato recente e un futuro digitale. Il significato del titolo dell’album ci narra una condizione umana di smarrimento che porta a fuggire una miriade disperata di persone da una dimensione soffocante e di privazione idealizzando, per esempio, luoghi che non esistono. “Terrestri senza terra” dunque, condannati a vagare esuli alla ricerca di un’identità smarrita. Il pezzo eponimo ci guida in questo esodo con una deliziosa commistione di Pop, Jazz, Funk e un pizzico di Psichedelia, il tutto impreziosito dal timbro sublime di Ilaria.
L’incipit dell’album “Antefatto in do minore” dà subito la misura della bravura della cantante, che sembra giocare con la sua voce nelle tonalità di una melodia a cappella: un fascinoso prologo al resto dell’opera. Ecco che la track list disegna le trame più variegate, una gamma di colori assortiti attinti da una sofisticata tavolozza. I climi si fanno contemplativi raccontando di emozioni, di atmosfere intrise di naturalità e conforto in “Il mare che passa”. Il testo della canzone “Di mandorlo in fiore” è ispirato al leggendario brano di Sergio Endrigo “Ci vuole un fiore”, una poesia scritta con Gianni Rodari solo in apparenza semplice, ma che racchiudeva importanti concetti. Tutto si aggancia ad un fiore/e forte vibra di bellezza e di pazienza ci comunica nei suoi versi Ilaria, come a voler evidenziare che spesso nelle cose più genuine risiedono le grandi virtù. Esprime concetti affini il brano “In tempo di pace” a proposito del quale la cantautrice ha rivelato che sono state preziose le considerazioni di Tzia Gavina Puggioni, donna sarda ultranovantenne, divenuta famosa dopo un’intervista a una televisione locale in cui riuscì a spiegare con le parole più spontanee del mondo che se esiste una crisi economica è proprio perché si è perso l’amore verso le cose semplici e si cerca pane migliore di quello fatto con il grano. Un’affermazione candida e disarmante, ma di una verità assoluta, che fa pendant anche con quanto sopra affermato, ispirando Ilaria il brano che spicca per un vivace intermezzo dalle tonalità jazzy.
Ma i riferimenti corrono anche alle vicissitudini recenti del periodo pandemico, un momento in cui tutti noi abbiamo vissuto un avvenimento stravolgente a cui non eravamo pronti, con un mescolarsi di sentimenti che trasformavano la compassione e l’empatia suscitata in quei frangenti in un’esperienza dal sapore dirompente come raccontato in “Le infinite voci del mondo”. In questo brano il timbro di Ilaria assume tonalità incantevoli, di un lirismo vellutato e avvolgente, così come nelle intimiste sonorità di “Del dire addio”, che Patassini dedica a un amico prematuramente scomparso, Pierre, con cui aveva condiviso tanti bei momenti. Il piano e il violino conferiscono al pezzo un sapore dolcemente malinconico.
Nei due brani “Niagara” e “La tosse del sabato sera” emerge la volontà dell’artista di mettere a nudo tutta la conflittualità che una società di tipo patriarcale ha imposto allo status femminile. Ilaria nel promo ci parla di come la donna sia una funambola del quotidiano, non perché naturalmente multitasking, ma per gli schemi sociali che la portano a cercare di preservare gli equilibri, tenendo insieme i pezzi e conciliando talora anche quello che non si può. È quindi importante far comprendere alle nuove generazioni quale sia l’enorme carico fisico e mentale che può gravare sulle spalle delle donne, per cercare di favorire un futuro libero da stereotipi patriarcali. “Niagara” racconta le esperienze di Maria Spelterini, funambola italiana che attraversò le famose cascate nel 1876; “La tosse del sabato sera” descrive invece con il sorriso la stanchezza delle madri vinta dall’amore smisurato per i figli.
È proprio l’amore un altro grande protagonista dell’album, questo immenso sentimento capace di regalarci gioie, dolori, incontri, addii e ritorni come nel brano “Chance”; amore, la forma più evoluta e pura di percezione che trova conferma nell’accettazione reciproca, il traguardo più complesso e ambizioso, ma anche l’essenza della vita come in “Il passo indietro dell’amore”. Curioso l’incedere di questo pezzo dalle molteplici sfaccettature: si passa infatti da un arrangiamento per archi a un crescendo rossiniano, che sfocia in un Post/Punk, per poi concludersi di nuovo con le raffinate atmosfere iniziali.
In un contesto musicale così ricco di peculiarità, non meno suggestiva appare la copertina dell’opera: una bella foto di Ilaria che danza come rapita dalle note della musica. “Terra senza terra” è un affresco sul mondo di oggi con le sue molteplici venature, a volte anche crude, ma non manca tuttavia una ventata di ottimismo e solarità. Auguriamo davvero ogni fortuna a questa sensibile e eclettica interprete, che con questo nuovo disco si erge verso un’eccellenza in grado di posizionarla ai vertici della canzone d’autore nostrana.
Articolo di Carlo Giorgetti
Tracklist “Terra senza terra”
- Antefatto in Do minore
- Al mare che passa
- Chance
- Le infinite voci del mondo
- In tempo di pace
- Del dire addio
- Niagara
- Di mandorlo in fiore
- Il passo indietro dell’amore
- Terra senza terra
- La tosse del sabato sera
Line up Ilaria Pilar Patassini: Voce, cori / Federico Ferrandina Chitarre, piano verticale / Andrea Colella Basso, contrabbasso / Roberto Terenzi Pianoforte / Alessandro Marzi Batteria, percussioni Quartetto dei Solisti Lucani: Fabiola Gaudio Violino I / Brunella Cucumazzo Violino II / Annamaria Losignore Viola / Enrico Graziani Violoncello
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