Osservare un’orchidea, ammirarla nella sua sinuosa forma, prendere atto che sotto ogni foglia o petalo si nasconde un nuovo colore e si respira una naturalità candida e rigogliosa. È questo ciò che ho provato ascoltando “The Orchid”, uno dei brani di questo “Museum”, terzo album solista di JFDR fuori dal 28 aprile 2023 per Houndstooth. Un disco di un’artista davvero particolare, dove si fondono armoniosamente atmosfere eteree e meditative, sonorità delicate che, a parte qualche spunto psichedelico e new age, si possono definire inedite e all’avanguardia. Un lavoro che sembra nascere da un’altra dimensione, dove i brani catturano momenti fugaci in un movimento senza tempo, come se le lancette dell’orologio si fossero improvvisamente fermate, per far godere di un attimo eterno, capace di donare freschezza e purezza, ritrovando quella dimensione di benessere necessaria all’animo umano.
Eppure, questo album nasce dopo un momento non semplice per l’artista, un periodo di stasi creativa e di riflessione probabilmente legato al triste periodo della pandemia in cui furono cancellate le date dei tour così necessari per trasmettere al pubblico le peculiarità della sua originale musica. Il suo ultimo disco “New Dreams” di grande riscontro, era appunto datato 2020, ma la carriera di questa artista islandese, cantautrice e polistrumentista, il cui nome abbreviato è lo pseudonimo di Jófriöur Akadóttir, ha una storia già ampiamente consolidata e longeva, iniziata nel 2009 e trascorsa in precedenza in gruppi Folk/Pop/Elettronici come Pascal Pinon e Samaris, prima di approdare alla acclamata carriera solista. Numerose le sue collaborazioni con artisti internazionali e anche nella realizzazione di colonne sonore come quella per il pluripremiato film islandese “Backyard Village”. Proprio questo aspetto suona congeniale alla musicalità della vocalist: le atmosfere disegnate dalla sua leggiadra arte comunicativa sembrano legarsi in perfetta simbiosi con situazioni cinematografiche, grazie alla loro profonda vena evocativa e suadente.
A volte accadimenti casuali fanno risvegliare passioni sopite ed è un po’ ciò che è capitato a Jófriöur agli inizi del 2022 nel momento già menzionato di crisi esistenziale rispetto al suo lavoro. Ripulendo casualmente il proprio computer da vecchi file, riscopre alcuni demo del 2018 rimasti inutilizzati, quelle che lei definisce come idee perse nel tempo, trovandoli assolutamente considerevoli di interesse. Come fosse una scintilla, questa nuova motivazione unita all’incoraggiamento del compagno, ha conferito nuova linfa creativa all’artista riportandola in studio a New York, dove aveva già registrato i precedenti album, per incidere nuova musica. Ritrovati gli stimoli giusti, l’estro inventivo necessari per dare vita a questo nuovo lavoro, a fine febbraio, la vocalist lo ha portato a compimento. Forse è proprio questo il motivo per il quale uno dei pezzi ha per titolo “February”, quasi un ringraziamento dell’artista per la verve ritrovata.
L’album trasmette nelle sue nove tracce questo senso di freschezza, autenticità e sensazioni positive. Ecco che proprio il pezzo nominato in apertura “The Orchid” esemplifica al meglio questa armonia sonora con una perfetta commistione degli strumenti che non si sovrappongono e conferiscono un andamento flessuoso al brano, deliziando per gli intarsi fra sintetizzatori usati con parsimonia e dolci note di contrabbasso e arpa. La soavità della melodia è sublime e piacevole da ascoltare. Un inno alla vita espressa in tutte le sue forme, dal dolore alla rinascita solo così potevano sentire il dolore, solo per rinascere di nuovo. L’artista definisce l’orchidea come il fiore più bello al mondo, capace grazie alla sua bellezza di incarnare fertilità, creatività e mistero, tutti ingredienti che partecipano a quel risveglio interiore che la vocalist vuole comunicare con la sua opera.
La voce di Jófriöur è di una delicatezza quasi angelica, dai toni eterei, le atmosfere toccanti e talora celesti vanno dritte al cuore dell’ascoltatore sorrette dalla struttura minimale, ma estremamente efficace. L’artista configura questa sua particolarità comunicativa assimilandola a un’assenza di peso, un senso di movimento e sollevamento al contempo, come un fenomeno gravitazionale. Anche le parti ritmiche di percussioni e basso rimangono sottili quasi a conferire una spinta verso l’alto come nel pezzo “Life Man” dove i suoni assumono un aspetto di pura avanguardia per la loro insolita ma non di meno affascinante linea. Ne è un esempio anche il brano “Spectator”, con i suoi delicati arpeggi di chitarra e spirali di tastiere in sottofondo a creare questo clima soave, e il dolcissimo piano di “Air Unfolding” che rifinisce una colorata melodia.
Ma il viaggio in questo universo onirico passa anche attraverso il sussurro quasi impercettibile e le atmosfere sognanti di “Valentine”, così come da quelle rarefatte di “Sideways Moon”, mentre la sopra menzionata “February” disegna proprio quei climi da movie che l’artista riesce così bene a esprimere. L’unica strumentale è costituita da “Flower Bridge”, un acquarello dalle tinte tenui. Il suono dell’arpa accompagna le movenze di “Underneath The Sun”, con la voce di Jófriöur superlativa a chiudere il disco, quasi un crogiolo di tutti gli elementi che nelle intenzioni dell’artista conducono verso una redenzione da ritrovare, guidando l’ascoltatore alla purezza riconquistata.
Perché è esattamente di purezza che sembra raccontarci l’album, a partire dalla sua copertina. Una fotografia in bianco e nero, un solido bianco sovrastato dall’artista stessa, immortalata in una gestualità che coniuga la forza dell’equilibrio con la grazia delicata dell’innocenza. Un messaggio di luce, di speranza e di rinascita. Questo album è un passo verso qualcosa, mi sento proprio nel bel centro di un nuovo progetto di lavoro. Le parole della cantante riflettono nuova luce e vitalità dopo i problemi esistenziali superati; un passo di ulteriore crescita per un’artista che ha già riscosso molteplici successi ma che sente ancora in sé una forte spinta motivazionale, come se il percorso fosse appena iniziato e capace di regalarle e regalarci ancora intense emozioni con la sua voce che sembra viaggiare nel vento.
La tradizione islandese portata avanti con grandi risultati da Björk e Sigur Rós trova in JFDR un’altra talentuosa interprete. La sua musica di qualità rappresenta un’innovazione che proietta i suoni classici verso una sperimentazione importante e decisa. Il mondo d’oggi viene così elevato nella visione eterea di uno spazio sacro e incontaminato che esprime fiducia rispetto a scenari futuribili positivi.
Articolo di Carlo Giorgetti
Tracklist “Museum”
- The Orchid
- Life Man
- Spectator
- Air Unfolding
- Flower Bridge
- Valentine
- Sideways Moon
- February
- Underneath The Sun
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